giovedì 14 febbraio 2019

Archivio. Out of the Shadows. Effetto Eastwood





di Roberto Silvestri *


Dalla ostilità e dal rifiuto ottuso (pesa ancora il no della Mostra 1992 a Gli spietati, il film, poi "4 Oscar", che Eastwood aveva dedicato a "Sergio e Don", e un po' all'Italia) all'omaggio pirotecnico di Venezia 2000: 1. la miniretrospettiva (mancano solo gli invisibili Breezy e Assassinio sull'Eiger); 2. un'ovazione già nella pre-preview stampa del Lido di martedì mattina; 3. l'apologia, quasi imbarazzante. 4. Clint Eastwood - Out of the shadows, il documentario di Bruce Ricker in programma oggi raddoppia e triplica "l'effetto Eastwood", cui la Mostra di Alberto Barbera ha affidato l'apertura urlata dell'edizione 57. 
Ora è lui il cineasta numero uno al mondo, il Leone d'oro alla carriera. E' magnifico per chi è abituato a film d'apertura "monstre" e indigesti come Fort Saganne, Vatel o Il quinto elemento, vedere dispiegata la massima potenza di fuoco dei media in un mega festival internazionale di cinema, per Clint Eastwood, 70 anni, il sobrio, anarchico e incosciente decostruttore di Hollywood, che ama fare film come "li farebbero oggi Frank Capra e Howard Hawks, John Huston o Don Siegel".
E' proprio lui, il cineasta che scandalizzò la sinistra ortodossa e la destra anche eterodossa, indossando, in era nixoniana, i panni di Dirty Harry, l'ispettore Callaghan che additava il lato oscuro e paranoico della Legge e dell'Ordine costituito, e in Italia dei tanti commissari Calabresi-Macisti all'opera, da zelanti servitori-martiri della Patria. Gente che non si sognerebbe mai di dire no, come  il poliziotto di San Francisco Callaghan, agli ordini pervenuti dall'alto. L'etica deve precedere la disciplina, secondo l'insegnamento del tribunale antinazista di Norimberga. Era questa la sostanza aurea di Dirty Harry. Mentre i finti giustizieri fotocopiano in peggio i feroci criminali, come leggiamo su tutti i quotidiani in questi giorni di isteria pedofila... 


Ma Clint Eastwood è anche il cowboy anonimo di Rawhide, la piccola comparsa di origini proletarie divenuta super star anche grazie agli italiani che sognavano un 'altro western' (Tessari ha fatto una divertente imitazione di Leone) e che poi, dal 1984 fu riconosciuto (Scorsese spiega perché) anche grande autore, "maestro delle arti e delle lettere", per attestato degli accademici di Francia e poi del British Film Institute. Un uomo timido e gentile che non dice mai sul set "azione" e "cut", ma "proviamo" e "va bene, anzi benissimo", spesso "alla prima".
Sopravvissuto a stento alla Depressione, con una mamma che gli insegnò a adorare Fats Waller, e un certo risentimento mai sopito anti-democratici, Eastwood ha costruito la sua carriera lentamente, passo dopo passo, fino a gestirla da 'autonomo', diventando ancor più dell'amico Brando e del suo mito Cagney, una bomba deflagrante incontrollabile dentro la Hollywood di oggi, che lui sfrutta senza esserne mai sfruttato. 
Il suo occhio anticonformista resta quello di una comparsa, di un "extra", di un elettore onesto, di uno sconfitto dai più furbi, di un dimenticato dalle storie ufficiali, di un oppresso dagli ingiusti, di un "non raccomandato". Chi mai avrebbe potuto girare in pieni anni 80 quella follia chiamata Bronco Billy? Chi mai sarebbe riuscito a convincere la vedova di Charlie Parker a collaborare al progetto Bird, proprio lui, Dirty Harry, il "divo del box-office"? Chi poteva fabbricare poi, in equipe, con Forrest Whitaker, il fido Van Horn e gli altri, uno dei più straordinari e commuoventi inni alla cultura afro-americana, e, somma perfidia, anche un fiasco commerciale? 

Una monografia molto attesa (edita dal Castoro) sta per uscire e ci racconterà questa meravigliosa vita di Clinton Eastwood jr. detto Clint, il Walt Whitman della Wb, il Jack Kerouac del sunbelt, il Jimmy Dean più impassibile di Lester Young, capace di chiudersi, con stile e riservatezza, nella sua "immobilità dinamicissima". 
Come ricorda Don Siegel nell'affettuoso omaggio di Bruce Ricker (finora documentarista jazz, un Count Basie, un Jim Hall, e, per Eastwood, anche produttore del Thelonius Monk): "la cosa che differenzia Clint è l'energia che mette nello stare immobile". Meryl Streep ricorda Clint sul set mentre piange in una scena, nascondersi alle sue stesse cineprese: "al mio pubblico non piace vedermi così", commentava, "caspita come conosce bene il suo pubblico", commenta lei. Lezione cool di Chat Baker. Il dolore senza smancerie. E il critico jazz Nat Hantoff sottolinea la stranezza di quel bianco ragazzone del west che ha saputo capire e incorporare la sostanza del blues, l'urlo della sofferenza dei popoli (i navajos come i vietnamiti in Il texano dagli occhi di ghiaccio), delle classi oppresse anche se wasp (Filo da torcere) o degli innamorati affranti (Bird), coniugando il jazz con il western. I due massimi contributi americani alla storia dell'arte. 

(rielaborazione di un articolo apparso sul manifesto del 30 agosto 2000) 

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