Una mamma bianca, Mildred Hayes, chiede da mesi giustizia
per la bionda figlia quindicenne, stuprata e bruciata viva una notte di ormai troppi
mesi fa. Passa il tempo e… nessun indiziato, nessun denunciato, nessun arresto.
Rabbia e dolore.
Così, come avrebbe fatto Judy Holliday tanti decenni fa
nella metropoli, Mildred affitta allora per un anno tre cartelloni pubblicitari giganteschi fuori
città e fuori vista, dove incolpa con nomi e cognomi gli inetti inquirenti: “Stuprata
mentre moriva”; “Ancora nessun arresto” e “Che fai sceriffo Willoughby?
L'atto, megafonato in tv, genera scandalo e polemiche
crescenti, non solo tra i rozzi poliziotti piccati ma nell’intera comunità perché lo
sceriffo è una persona seria, un padre di famiglia rispettato, onesto e scupoloso
(oltretutto in fin di vita per un cancro). Non inventa mostri da sbattere in
prima pagina, come di solito si fa. Ma l’impasse e l’ostilità che circonda la
donna, minacciata e colpita subdolamente nelle amicizie più care, accentua il
suo furore vendicativo psicotico, da “giustiziera della notte”, causato anche
dai sensi di colpa (per un litigio quella notte fatale Mildred aveva negato l’auto
alla figlia), dai crescenti conflitti con l’ex marito, che l’ha lasciata per
una diciannovenne dalla bellezza dell’asino, dall’incomprensione del figlio e
dall’odio che le riserva il cop Dixon, uno dei personaggi cattivi più
affascinanti e sfaccettati del recente cinema, innamorato com'è dello sceriffo Willoughby e che lei crede abbia bruciato i suoi (costosissimi)
manifesti.
Così la vecchia signora indegna buca un dito con il
trapano al dentista nemico, picchia due liceali, incendia con 5 molotov
(imitando un black block) la centrale di polizia e brucia quasi vivo, ma
involontariamente, quel razzista di Dixon, minaccia con una bottiglia di vino
bianco semipiena l'ex marito e resta gelida di fronte al fatto che lo sceriffo si
fa saltare le cervella. Però fa crescere tanti fiori rossi sotto i suoi
cartelloni pubblicitari (come se fosse Morgan matto da legare nel film di Karel
Reisz) e un giorno viene a farle visita proprio lì sotto un piccolo Bambi
sperduto.
il regista irlandese Martin McDonagh |
Tre manifesti a Ebbing, Missouri, il film (irlandese) del momento, in uscita anche in Italia, si può raccontare anche in altri tre modi.
Mildred, una signora sessantenne con tuta da metameccanico incorporata, combatte
sola contro tutti, polizia compresa. Ma
questa donna è uguale a John Wayne. Cammina come lui. Guarda come lui. Implacabile per il 99%. Tenerissima per
tutto il resto. Non lotta per sé stessa e per la sua famiglia. Che anzi si
defila. Ma per un principio etico.
E anche. Una riflessione acida sulla sindrome Barack Obama President e i suoi effetti
boomerang sull'immaginario sadico del profondo sud. Però il film è stato
scritto otto anni fa….
Infine tre manifesti
contro: il machismo, la violenza alle donne e il femminicidio, riprendendo il
discorso da Coraggio… fatti ammazzare,
1983, Clint Eastwood: “solo violenza aiuta dove violenza regna”. Un caso di stupro e uccisione lì. E qui. Just in time.
Frances McDormand e Harry Harrelson (lo sceriffo Willoughby) |
Il baricentro del film di Martin McDonagh è infatti la scena della cacciata
di padre Montgomery dalla casa di Mildred. Una sequenza che si ispira a un film precedente di suo fratello, John Michael McDonagh, Calvario (2014), in cui un prete buono viene minacciato di morte come capro espiatorio per essere stato abusato da un prete maniaco, e che andrà di traverso,
in Italia, a tutti coloro che trovarono il teorema Calogero digeribile, anzi
ingegnoso. Quella dove Mildred, per rintuzzare una predica fuori luogo, fa un ardito parallelo
tra chiesa cattolica e “Crips & Bloods”. Attenzione. Da come si interpretano
le leggi di emergenza, e questa scena,
si aprono per lo spettatore due vie opposte di ricezione.
“Se per sbaragliare quelle pericolose bande di Los Angeles
(costrette alla criminalità dalla
desertificazione sociale e economica pianificata dalle big company per
distruggere i quartieri african-american e approfittarne urbanisticamente ndr)
si incriminarono tutti i membri di quelle gang per i delitti commessi solo da
uno o alcuni di loro - sostiene Midred - perché non applicare lo stesso
bizantinismo oggi contro i sacerdoti cattolici (una conventicola che ugualmente
lotta contro la desertificazione spirituale con ogni mezzo necessario, no?) visto
che un bel po’ di preti si sono resi responsabili di crimini giudicati altrettanto
abominevoli e per di più sono stati protetti dalle alte gerarchie per decenni?”. Isomma prete, fuori da casa mia.
Se si stracciano platealmente i principi etici dello stato di diritto (quel che fa l’Italia quando chiede l’estradizione di Battisti, imbarazzando i giuristi brasiliani) ogni mezzo necessario, pacifico e non pacifico, deve essere usato dal cittadino consapevole per ristabilire un patto di convivenza civile. Se no – fa capire indirettamente Mildred - si assiste inermi alla fine della direzione democratica e al sopruso del dominio di governi illegittimi che, proprio come succedeva nell’Ottocento, erano guidati da giganteschi magnati tesi solo a eliminare la concorrenza piccola, media e grande e a gonfiare i propri profitti. Contro questi governi e chi li rappresenta qui nella mia cittadina – dice Mildred - non si può che essere duri e spietati. Quando il gioco si fa duro….
Da una parte allora si glorificherà Mildred come simbolo
dell’individualismo celibe e della cattiveria liberista, tanto alla moda oggi
tra i fanatici del polically uncorrect. Quella di qualunque libertarian, né di
destra né di sinistra, convinto che uccidere con le proprie mani chi attenta ai grandi principi, proprietà
privata compresa, non sia vendetta ma giustizia. E si scambierà Mildred per Olive Kitteridge, la protagonista anti
politica della serie omonima diretta da Lisa Cholodenko nel 2014.
Dall’altra si ammirerà in Mildred una sorta di giustiziera
Marge o di Mildred Pierce mai doma, e
assolutamente scandalizzata (e non gongolante come Bannon) dal fatto che lo
stato si è estinto, lasciando ai più rapaci il campo libero e senza legacci e
impedimenti. Il simbolo stesso, quasi rooseveltiano, della liberazione indisciplinata
dalle gabbie ottuse della bigotteria della comunità wasp e della riconquista di
un campo etico comune incurante dei valori dela tradizione (imperituri e errati), proprietà
privata e dominio sui figli compresa. Insomma secondo questa interpretazione
Mildred (che non è poi sola nella lotta perché la comunità african american e i
“diversi” sono con lei) è il ritorno della politica dal basso contro l’antipolitica.
Io sono per questa seconda lettura (*).
Anche perché il regista del film Martin McDonagh, al terzo film dopo In Bruges e 7 psicopatici, ha 48 anni e dalla sua filmografia e da una serie di dettagli e sottintesi di questa opera (il più importante sottinteso riguarda una certa copertura imposta dai piani alti al presunto colpevole del crimine efferato) si comprende che ha ben metabolizzato il recente passato storico, dal Vietnam all’Iraq. E fa capire che più pericolosi dei Crips e del Vaticano è la gang dei generali che cercarono di coprire Abu Ghraib. Oggi troppo promossi. Finora i suoi lavori erano tutti incentrati su personaggi maschili (Colin Farrell e Brendan Gleason) ma questa volta con la mascolinità ha esagerato. Mildred ricorda infatti, più che gli ecoterroristi del film di Kelly Reichardt Night Moves (2013), più del pastore protestante impazzito di verità in First Reformed, un altro super mito macho, Gary Cooper che con la dinamite fa saltare i palazzi da lui progettati e orrendamente costruiti in La fonte meravigliosa di King Vidor.
Grande successo mondiale (4 Golden Globe, 8 candidature ai Bafta e tra i favoriti all’Oscar) e ben tre applausi a scena aperta (quando l’esibizione di umorismo nero diventa esibizionismo punk) in occasione della prima mondiale al festival di Venezia 2017, Tre manifesti a Ebbing, Missouri che ha vinto il Leone d’oro per la migliore sceneggiatura, è una tragedia (o una commedia nera e obliqua) dedicata platealmente a Shakespeare e a Oscar Wilde, e ai bruciati vivi innocenti di tutte le guerre d’aggressione. Ma è ambientata oggi nel cuore d’America, anzi nello stato più sudista di tutti, il Missouri. “Stato carogna”, secondo il Naacp, che sconsiglia agli african-american di recarvisi, come se fosse l'Iraq, se non “a proprio rischio e pericolo”.
Peter Dinklage e la "bombarola" |
(*) Ovviamente non siamo più ai tempi di Robert Aldrich che pretendeva per i sui film solo critiche politiche. E il regista irlandese intervistato da Sight and Sound (gennaio 2018) a proposito delle implicazioni politiche del film, così come è di moda si schernisce: "no, non potevo fare otto anni fa alcuna allusione ai tragici fatti capitati in Missouri negli ultimi due anni". E aggiunge che non condivide troppo la speranza che c'è nel film, "quella luce alla fine del tunnel". E' molto più pessimista: "C'è molta rabbia e disperazione in questo paese, oggi". Per quqnto riguarda il titolo ricordiamo che l'esercito clandestino dell'Ira si divise verso la fine degli anni 60 in Official (socialisti) e Provisional (più cattolici che socialisti).
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