mariuccia ciotta
E' uscito nelle sale
Suburbicon di George
Clooney, passato in concorso alla Mostra di Venezia 2017
Le casette a schiera color
pastello di True Stories con
tutti gli orrori nascosti della middle-class americana,
passano dalla regia stralunata di Davyd Byrne a quella
dell'attivista, ai tempi del KKK di ritorno, George Clooney. La
figura del bianco perbenista e razzista è convertita in stereotipo,
silhouette satirica, qualcosa come i disegni dei grassi capitalisti
col cilindro di George Grosz. Ed è un nonsense perciò accusare di
manicheismo Suburbicon, luogo della felicità, un'altra “città
ideale” come quella in miniatura di Downsizing diretto da
Alexander Payne
1959, l'iconografia
d'epoca è stampata sulle Cadillac con le pinne e su Julianne Moore,
acconciatura ondulata, rossetto sgargiante, gonne a ruota, modello
Doris Day. E se la perfezione della donna ideale è deturpata
da una sedia a rotelle, ecco la gemella tutta nuova prendere il suo
posto. Julianne si sdoppia accanto a Matt Damon, americano medio e
irreprensibile, ma...
Non siamo dalle parti del
Buio oltre la siepe, anche se gli anni sono gli stessi o
quasi, 1960 il romanzo, 1962 il film, perché in Suburbicon
c'è il segno dei fratelli Coen, autori della sceneggiatura inedita
scritta nel 1986, poco dopo Blood simple, scartata dai
produttori e acquistata nel 2005 da Clooney. Il copione,
però, non è in sintonia con la presidenza Obama e il film
dovrà aspettare il ritorno alla Casa Bianca degli anni Ottanta di
Reagan per visualizzare le sagome dei suprematisti bianchi
all'assalto di una “casetta bianca”, dove abitano i nuovi
inquilini William e Daisy Meyers, african-american elegantissimi,
protagonisti reali delle lotte per i diritti civili.
L'assenza dei Coen si fa
sentire. Ed è una fortuna. La bandiera dei confederati brucia meglio
sui davanzali di Suburbicon nella regia dell'autore di Good
Night Good Luck che versa Cocacola su irriverenza autoriale e
humour yiddish, e preferisce il pop americano, la commedia politica
dichiarata. Suburbicon non ha la pretesa del mondo sofisticato
e cinico dei fratelli ma sceglie la comicità spaventosa e grottesca
di una storia vera, più vicina all'iconografia del fondatore dei
Talking Heads.
Musica hitchcockiana di
Alexandre Desplat per il thriller psico-razziale, una moglie e una
famiglia black di troppo, e al centro il ragazzino Nicky (Noah Jupe,
splendido) che farà amicizia con il coetaneo nero dirimpettaio, in
comune un serpentello e il baseball. Dovrà sventare un complotto
criminale in famiglia, tra killer, soda caustica, coltelli,
strangolamenti, sangue a fiumi. Delitti paralleli dentro e fuori le
mura di casa. Presenza indiretta dei Coen nelle vesti di Oscar Isaac,
interpretazione da premio, l'attore di A proposito di Davis
che qui interpreta un assicuratore sulfureo, capace di sentire
l'odore della truffa oltre il profumo dei pancake. La coppia
diabolica sogna il paradiso di Aruba, Caraibi, ma la macchina da
presa sale e inquadra l'inferno di Suburbicon dove solo due bambini
con guantone e palla sopravvivono.
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