Negar Javaherian, protagonista di "Melbourne" |
di Mariuccia Ciotta
Negar Javaherian e Peyman Moaadi |
Una
valanga di elogi ha inebriato il 34enne Nima Javidi, regista iraniano di Melbourne,
lungometraggio d'esordio, presentato alla Settimana della critica di Venezia, e uscito nelle sale italiane qualche settimana fa, “attesissimo”.
Discepolo di Asghar Farhadi, Oscar 2012 per il miglior film straniero
con Una separazione, Javidi ne assorbe stile e architettura, ispirato,
dice, da Hitchcock e Polanski per il suo thriller tutto in una stanza, dove una
giovane coppia, Amir (Peyman Moaadi, protagonista di Una separazione) e
Sara (Negar Javaherian) si prepara a lasciare l'Iran per la never-land,
l'Australia.
Peynan Moaadi |
Il “dentro”
dell'appartamento, in subbuglio per il trasloco, è violato dal “fuori”, i
rumori della modernità, cellulari, campanelli, citofoni che assediano i due
eccitati per la nuova prossima vita, e dove lei, bellissima, potrà finalmente scoprirsi (chissà) la testa
velata.
Ma il senso di colpa per la fuga - leit-motiv del cinema
iraniano che passa il visto di censura - si materializza nel corpicino inerte
di una neonata, figlia dei vicini, affidata alla coppia da una baby-sitter
irresponsabile. La piccola non dorme, è morta. Perché? Quando? E parte la
suspense, una tensione crescente, la paura di essere scoperti, i sospetti
reciproci e lo scambio di accuse tra Amir e Sara. Nessuno dei due chiama
l'ambulanza per timore di un fermo di polizia e di perdere l'aereo. E il
cadaverino giace avvolto nelle fasce, testimone dell'innocenza abbandonata,
chiara metafora dell'Iran, la patria non si lascia (Farhadi insegna). Ma è
l'abilità di Javidi nella costruzione dello psico-dramma a incantare pubblico e
critico, la stessa di Una separazione,
rete di coordinate (im)morali che si propongono come “universali”.
Nima Javidi |
In un paese dove i maggiori
cineasti sono esuli come Amir Naderi e Abbas Kiarostami o agli arresti
domiciliari come Jafar Panahi, condannato a 6 anni di reclusione e a 20 di
interdizione (non può girare film né rilasciare interviste), il giovane Nima
Javidi dichiara: “Non credo che ci sia
molta differenza tra il produrre un film in Iran o altrove”. I suoi aspiranti alla libertà, i coniugi che
sognano Melbourne, saranno dunque puniti.
E' vero che il nuovo corso
della repubblica islamica presieduta dal più conciliante Hassan Rouhani sembra
dare i suoi frutti, tanto che la decana del “cinema delle donne”, Rakhshan Bani-E'temad, ha avuto il visto dopo
anni di attesa per i suoi timidi quadretti al femminile, Storie, passato
sempre a Venezia. Ma il film di Javidi non mostra segni di ribellione
etico-estetica, e si propone di rivolgersi innanzitutto al pubblico iraniano,
altro che riconoscimenti internazionali riservati ai “disertori”, simulando una
godibile confezione all'occidentale (L'appartamento di Billy Wilder!).
Il finale di Melbourne sembra aperto, ma non lo è affatto assicura il
regista.
Quell'aeroporto non sarà mai raggiunto, perché “Io credo che non solo in Iran, ma ovunque
nel mondo, chi lascia il proprio paese rifiuta di assumere le sue
responsabilità. L'emigrazione di per sé ha il sentore della mancanza di responsabilità”.
Un aspetto che “cercavo in realtà di tenere nascosto”. Chi ha occhi, però,
vede.
Nessun commento:
Posta un commento