"Per soli uomini" di Elisabetta Sgarbi |
Mariuccia Ciotta
I tre uomini, Gabriele, Claudio e
Giorgio detto il “Bertinotti”, sentinelle del microcosmo Ca'
Pisani, si scambiano parole in codice, allusioni in gergo e battute
ironiche sul “fuori”, lo spazio dei comuni mortali che non sanno
cosa succede di giorno e di notte nel labirinto popolato da “mostri”
guizzanti di cui sono gli dei protettori. Il luogo è off-limits, una
specie di Grotta di Chauvet con i suoi dipinti preistorici filmati da
Werner Herzog, sito prezioso di una realtà evanescente. Non a caso
il delta del Po è stato proclamato patrimonio dell'Unesco, e proprio
mentre il film usciva nelle sale, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, in questi giorni d'estate, dopo il
passaggio al Festival di Roma 2014 (e in attesa del dvd).
Gabriele Levada |
G
Sinfonia di natura e nostalgia, Per
soli uomini può dirsi un documentario poetico su musiche solenni
di Franco Battiato, film abbinato a Il pesce siluro è innocente
sotto il titolo Due volte Delta, al quale seguirà Il pesce
rosso dov'è? a chiudere il trittico, omaggio di Elisabetta
Sgarbi al fiume amato e ricorrente nelle sue opere dalla vocazione
pittorica. Ma nell'incanto di questa zona a parte e dei suoi
allevatori solitari si muove quel cinema che fa convergere il reale
con il suo doppio fantasmatico e rompe i confini tra documento e
narrazione. Osservare diventa allora un esercizio di forza
nell'avvicinarsi al soggetto per smascherarne la sostanza politica,
come accade nei lavori a distanza ravvicinata di Gianfranco Rosi e
nell'ultimo ibrido di Roberto Minervini, Louisiana, presentato
a Cannes 2015, amorevole “fotografia” di una violenta comunità
di marginali del Texas suprematista bianco.
L'arte danzante dei tre “pescatori”
in bilico sui bordi delle piscine coperte, il talento nel sentire il
vento e il sapore dell'acqua, troppo fredda, troppo calda, e la
conversazione con le creature del Po - avete mangiato abbastanza? -
si muta in una titanica lotta tra vita e morte comprensiva di uomini,
pesci e il territorio circostante che tocca il delta di tutti i
fiumi. Cormorani e gabbiani non sono più decorazioni nel cielo ma
feroci predatori pronti a lanciarsi sul popolo squamoso, difeso dai
guardiani coraggiosi ma destinato a galleggiare, riverso in
superficie, al momento della pesca.
Gabriele, il leader, torreggia, divo da
cinema peplum, e guida la brigata in ambienti incrostati di fango,
ruggine, reti disfatte, congegni per impacchettare conchiglie in uno
sforzo muscolare al limite. Il lavoro, ecco, si vede e macina
fotogrammi neanche fossimo alla catena di montaggio di Tempi
moderni.
“Duro lavoro sul fiume”, direbbe divertito Manoel de
Oliveira quando un giornale gli storpiò il titolo, Douro, lavoro
fluviale, e dal 1931 a oggi l'eco rimane nel corpo a corpo con la
fabbrica liquida. Gli uomini soli si esibiscono nella
meraviglia del non-spettacolo, è quel che fanno davvero nella loro
valle nascosta. Vertigine, sensazione di assistere a un rituale
segreto. E' la fatica di misurarsi con l'aggressione all'equilibrio
instabile di un luogo anche mentale che si vorrebbe residuale mentre
è creativo e immaginifico. Il Po segno di libertà e di invenzioni,
innocente come il pesce siluro, meno vorace e mortale dei veleni
riversati in acqua, “le ferite vengono dagli scarichi industriali”
dice Sgarbi, direttore editoriale Bompiani e creatrice della
Milanesiana (22 giugno -16 luglio), festival multidisciplinare fuori
canone, così come questo “film di avventura” e di resistenza.
Elisabetta Sgarbi |
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