Da Alfabeta 2.
di Roberto Silvestri
Uno spaghetti western al dente
The Sisters Brothers di Jacques Audiard
(concorso)
Peccato. Il compianto attore Harry Dean
Stanton veniva dal Kentucky e aveva faccia, postura e etica giusta,
per partecipare all'attuale revival western Usa che riparte - grazie
alla riabilitazione di Tarantino e Alex Cox - dalla “versione
spaghetti”, per incastonarla di nuovo nel paesaggio giusto e
politicamente corretto del genocidio indiano (questa volta siamo in
Oregon, a meta '800). Non tutti i bravi attori hanno la profondità
tettonica di un viso da roccia. E c'è poco da essere grotteschi
quando si tratta di conquista del west.
Dopo i 6 episodi di frontiera dei
fratelli Coen, anche The Sisters Brothers è
attratto dalla corsa all'oro (a indiani già massacrati, e a
centinaia di migliaia). La produzione è Francia, Belgio, Romania e
Spagna, e il film potremmo definirlo (visto che l'ossessione centrale
per l'odontotecnica) uno “spaghetti western al dente”. Ma è la
moglie americana del protagonista assoluto, Charles Reilly, a
dirigere il progetto e a far tenere sempre il primissimo piano sul
marito. Inoltre i coproduttori belgi, i fratelli Dardenne devono aver
chiesto a Jacques Audiard di aggiungere tocchi chic qua e là (“...e
qui citami Johnny Guitar”) e differente ”prestige” (un
po' di chimica d'avanguardia, Charles Fourier e la comunità
utopistica da fondare a Dallas, l'innovativa pasta dentifricia,
appunto, e un tono crepuscolare) al genere più commerciale (e
demodé) della storia. Di condire insomma “alla francese” un
doppio buddy-movie (Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhal e Riz Ahmed, più
gigioni del solito, completano il quartetto) che ruba al nostrano
filone cowboy il machismo e il cinismo, ma talmente usurati da
trascinare i cattivissimi protagonisti, che in fondo in fondo hanno
però un cuore tenero, due sicari a contratto di pistolera
precisione, e le loro due ultime prede, coppia “pacifista” e
“anarchica”, ma geniali inventori di un sistema chimico per
scovare pepite di infallibile efficacia, verso una inevitabile e
differenziata e stereotipata punizione finale. “Caccia all'oro”
fa comunque pensare, obliquamente, a Trump. I soldi che ha ereditato
dagli antenati vengono infatti proprio dai bordelli dell'Alaska che
facevano più soldi delle pepite giganti...C'è della malizia nei
Coen e in Audiard jr.
La sacra famiglia secondo Videla
La quietud di Pablo Trapero (Argentina,
Fuori concorso)
L'argentino Pablo Trapero nella falsa
commedia sentimentale o tragedia obliqua “La quietud” fuori
concorso, torna ai giorni neri della dittatura militare e dei traumi
irreversibili che hanno martoriato il paese. Questa volta il dramma
si svolge in una paradisiaca tenuta, con cavalli, servitù e immenso
terreno, dove due sorelle giovani, bellissime e super corteggiate, si
ritrovano al capezzale del padre, alto avvocato di stato. L'inizio è
brillante, molto sexy, a colori patriottici ben sottolineati. Tutto
un delirio di bianchi e di azzurri come la sacra bandiera patria. Con
una steady-cam fissa sulla nuca di una figlia, ma più alta,
penetriamo in questo gioiello borghese delle Pampas e sembra che il
punto di vista della storia sia proprio quello di un equino che segue
la padrona ovunque. Poi a poco a poco torna la serietà, prima una
cupa immersione negli intrighi sessuali delle ragazze, innamorate
dello stesso uomo e ben coscienti della cosa, perché il fatto “le
avvicina di più eroticamente”, poi addirittura scopriamo che la
loro madre è stata violentata dal padre, complice dei torturatori e
ripagato proprio con quella tenuta sontuosa strappata a prigionieri
politici in cambio della vita. Poi con un uxoricidio... Insomma il
cinema argentino continua a scavare nella Historia Oficial e a
trovare altri orrori.
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