Mariuccia
Ciotta
Il
Canada dell'Orso e il Kondike di Jack London sulle tracce di
Zanna bianca si trasferiscono nella steppa mongola dove il
francese Jean-Jacques Annaud, frequentatore di montagne e deserti,
trova L'ultimo lupo, il bad woolf , mitico animale
impossibile da addomesticare, simbolo del “selvaggio” come il
popolo nomade di pastori che vive tra vento furioso, terra brulla e
un cielo disegnato di nuvole premonitrici.
Colossale
viaggio dentro l'iconografia dei Tartari, impresa titanica,
produzione cinese, il film non racconta la tenera amicizia tra
“lupetto”, il piccolo salvato dalla morte, e Chen Zen (Shaofeng
Feng) lo studente di Pechino spedito nella Mongolia interna durante
la rivoluzione culturale del 1967 per “educare” i pastori e
studiare le loro condizioni di vita. Né “animalista” né
favoletta antropomorfa, L'ultimo lupo è un grande cantico
sulla resistenza all'autodistruzione umana più che sull'estinzione
della specie dei canidi dalle lunghe zampe, gli occhi fosforescenti e
il pelo folto che fa gola ai trafficanti di pellicce. Il destino è
comune, la terra condivisa, il paradiso lo stesso, là dove finiranno
i cuccioli stanati da buche profonde e lanciati nell'aria in un
gesto rituale, ma solo quando l'equilibrio tra predatori e vittime
sarà infranto.
Piani
ravvicinati dei musi espressivi - i lupi, allevati al mestiere di
attore in tre anni di pre-produzione, si prestano al gioco - e
sequenze notturne mozzafiato con una mandria di cavalli al galoppo
affiancati dal branco affamato che li porterà strategicamente a
finire in un lago di ghiaccio dove formeranno un arabesco di criniere
cristalline, gelide statue stagliate nel nulla.
Jean-Jacques Annaud e il suo attore Cloudy |
Annaud
gira in 3D il film commissionato dalle autorità cinesi che gli hanno
affidato un testo prezioso, Il totem del lupo (2004),
bestseller mondiale, frutto dell'esperienza diretta dello scrittore
Jiang Rong, che passò più di dieci anni in missione per conto di
Mao in Mongolia, e il cui vero nome è Lu Jiamin, allora giovane
guardia rossa ribelle (poi arrestato in piazza Tienanmen), allergico
ai diktat del partito, rappresentato nel film dallo stolto capo
dell'autorità di Pechino mandato a sorvegliare studenti e pastori.
E'
la Cina dell'industrializzazione travolgente, dell'aria tossica e
della devastazione ambientale la protagonista in controluce, ma anche
quella consapevole e sofferente di Chen Zhen, il ragazzo venuto dalla
città, innamorato della terra primordiale e del saggio capo tribù,
che sa bene come trattare i coinquilini lupi. Libro e film, fuori
dall'esotismo, mettono in campo la questione di un patrimonio da
salvare in contrasto con l'avanzare della modernità, i contadini
dell'est mongolo che bonificano la terra e conquistano spazi a nomadi
e lupi, nemici assoluti da sterminare. Saranno inseguiti con le jeep,
presi a fucilate e sfiniti in una fuga interminabile, come succede al
leader del branco, Cloudy, davanti al quale perfino il capetto cinese
in divisa cede alla commozione.
Il
problema non è “rispettare la natura”, ma difendersi dal suo
tracollo indotto, impedire che il furto delle carcasse di gazzelle,
deposte nel “frigorifero” segreto dei lupi, il lago ghiacciato,
sia saccheggiato completamente e scateni l'aggressione su pecore,
cavalli e uomini. In cambio della soffiata fatale, il mongolo
traditore otterrà una radio a transistor. La metafora si allunga
sulla Cina futura che spiana villaggi, abbatte quartieri, edifica
grattacieli e collassa nello smog venefico. L'inversione di tendenza
degli ultimi anni - compreso il trattamento riservato agli ormai
migranti mongoli dell'ovest - è all'origine di L'ultimo lupo
e dello sdoganamento del libro di Lu Jiamin, concentrato sulla
relazione mai pacificata tra Chen Zen e il suo “lupetto”,
allevato di nascosto, nutrito con la razione di carne dello studente
maoista, difeso dalla furia del villaggio dopo il morso letale a un
bambino, salvato in extremis dal frutto del progresso, la
penicillina.
Il
regista di L'amante (censurato in Cina), Il nome della
rosa, Sette anni in Tibet ha realizzato per conto di Pechino una
seconda edizione rivista del libretto rosso, che, dicono le
cronache, è l'unico scritto più letto di Il totem del lupo.
Shaofeng Feng e "lupetto" |