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venerdì 15 maggio 2015

Woody Allen gioca nolto con se stesso. Saul cerca David. In gara l'esordiente ungherese Laszlo Nemes.


Emma Stone e Joaquin Phoenix in "Irrational Man"



Roberto Silvestri

CANNES. Woody Allen ormai è Mozart. Uno sceneggiatore così perfetto, un direttore di attori così adorato da poter far indossare qualunque cosa a tutti i più superbi performer. Qui Joaquin Phoenix e Emma Stone, Parker Posey e Jamie Blackley. Per cui il suo nuovo lavoro, la commedia acida con delitto L'uomo irrazionale, che sta tra The rope di Hitchcock (l'estremismo esistenzialista in filosofia se male interpretato, soprattutto dagli accademici americani che semplificano Derrida, può provocare sfracelli) e la parodia del film di Margarete von Trotta su Hannah Arendt (non credo che Woody condivida la teoria della banalità del male), pur non essendo tra i suoi incastri umoristico-seriosi più riusciti merita un certo interesse, soprattutto grazie ai suoi sunti filosofici che perfezionano i bignami,  al set, un campus universitario dove non volano soltanto coltelli teorici affilati ma anche lame contundenti autentiche e alla scelta musicale di supporto, non più swing ma "moderna", finalmente un jazz più complesso e cool, il Ramsey Lewis Trio, il Modern Jazz Quartet. L'arrangiamento visuale se ne avvantaggia e le immagini vengono avvolte da una atmosfera sofisticata, brillante, cool che rende l'oggetto particolarmente chic. E non è la prima volta che Woody fa furiosamente i conti con Heidegger fingendo di interessarsi di altro.

Joaquin Phoenix e Parker Posey in Irrational Man
Jane Fonda è la prima cineasta premiata dal programma “Women in motion”. Le donne che hanno saputo imporsi dentro un'industria inguaribilmente maschilista, dalla produzione alla ricezione. Bella idea. Il suo doc, realizzato alla fine degli anni 60, con Claudia Weil, sul Vietnam e dalla parte dei vietcong, per quanto ripudiato successivamente in un rigurgito di nazionalismo dalla attrice pentita, resta una pietra miliare di anticonformismo e libertà di pensiero, due qualità rare che perfino nei paesi democratici vengono pagate a duro prezzo (Claudia Weil infatti è proprio sparita dalla circolazione, mi pare).

Emma Stone, Woody Allen e Parker Posey a Cannes
Il produttore Harvey Weinstein, che ogni anno presenta all'Hotel Majestic i suoi gioielli, cioé un listino che inevitabilmente contiene i futuri candidati ai premi Oscar (c'è anche il nuovo Tarantino, The Hateful Eight), indica in Carol, di Todd Haynes il papabile n.1 per la Palma d'oro, e in Macbeth un altro successo sicuro del festival. Interessante iniziativa dell'Hollywood Reporter, a proposito, che in un'inchiesta immaginaria sui film ideali per i membri della giuria di Cannes subdolamente suggerisce proprio un suo film come il favorito (è l'unico a cui vanno due voti). I Coen sarebbero infatti per gli “autori più spinti”, Audiard e Lanthimos (e Hou Hsiao Hsien?); Rossy de Palma, almodovariana doc, per i melodrammi dai toni forti e dunque per Chronic di Michel Franco; Jake Gyllenhaal prediligerebbe Gus Van Sant e Denis Villeneuve, anche perché ha lavorato con loro; Guillermo del Toro potrebbe avere un debole per il soft-drink real-fantasy di Matteo Garrone; l'attrice Sienna Miller è certamente per Todd Haynes e per Justin Kurzel di Macbeth perché adorerebbe Kate Blanchett e Marion Cotillard; la cantante Rokia Traoré essendo maliana non può che battersi (terzomondismo?) per Jia Zhang-Ke ma ama anche Macbeth di Kurzel... Sophie Marceau è patriottarda e dunque sta con le cineasti francesi, Donzelli e Maiwenn; infine l'enfant prodige canadese del Quebec, Xavier Dolan, si batterà per Mia Madre di Nanni Moretti, ovviamente (non ha fatto Mommy?), ma sarebbe anche un fan dell'esordiente ungherese Laszlo Nemes, 38 anni, il cui Son of Saul, Il figlio di Saul, è l'unica “opera prima” del concorso 68 e gareggia anche per la Camera d'or.

Il figlio di Saul di Laszlo Nemes
Il set e l'argomento del film (diretto dall'allievo prediletto di Bela Tarr) è Auschwitz, nell' ottobre del 1944. I russi stanno per arrivare e per liberare i prigionieri ebrei (e anche comunisti, dissidenti, rom e omosessuali) sopravvissuti alle camere a gas, agli stenti e al superlavoro. La “soluzione finale” richiede un surplus di efficienza e velocità burocratica. Il Fuhrer forza la macchina dello sterminio ai ritmi altissimi di cui parlerà Adolf Eichman, con una certa soddisfazione professionale, al processo in Israele, avvenuto troppi anni dopo, che lo condannerà a morte. Intanto anche la resistenza interna si avvicina e si prepara una rivolta nel Lager...

Alto il quoziente di difficoltà per un cineasta esordiente, anche perché il cinema civile occidentale ma soprattutto dell'est Europa ha scodellato, soprattutto a caldo, nell'immediato dopo guerra, talmente tante opere folgoranti, “per non dimenticare” l'orrore, dai capolavori di Jakubisko e Pontecorvo, Wajda e Munk, Grifi, Lanzmann fino a Benigni e Spielberg, da costringere i cineasti di oggi a un necessario spostamento di sguardo o salto di fantasia per non essere retorici o ripetitivi e per non colpire a vuoto un immaginario che non sopporta il gioco facile con i sentimenti. Ed ecco l'originalità dell'operazione di Nemes (coadiuvato alla sceneggiatura da Clara Royer). Intanto lo sguardo su Auschwitz è quello di un prigioniero ebreo, Saul Auslander, ungherese, membro del Sonderkommando, squadra speciale isolate e apparentemente “privilegiata”, perché destinate a essere giustiziate dopo, poco prima dei kapò e dei “Murmelstein”. Saul è dunque un prigioniero speciale, ha una grossa croce rossa ben visibile sul retro della giacca, e non è scarnificato come gli altri, perché deve fare lavori molto faticosi: è obbligato a trasportare i prigionieri nelle camere a gas travestite da docce, e non tutti sono inconsapevoli, a raccattare e dividere vestiti e beni personali (trafugando quel che serve, a volte, per la sopravvivenza spiccia), a pulire dai cadaveri nudi i locali avvelenati, a spalare e gettare al fiume la montagna di cenere dopo ogni cremazione dei corpi. Tra i morti, un giorno, trova un ragazzo miracolosamente ancora vivo, che crede di riconoscere come suo figlio. Un medico delle SS lo giustizia, soffocandolo. Ma Saul riesce a sottrarre il corpo alla cremazione e si impegna a trovare un rabbino, a rischio di morire, pur di per dare a quel corpo sepoltura ebraica, con tanto di Kaddish. Come un simbolo di resistenza e di rivolta. La rivolta scoppia davvero, ma...

Non è tanto importante il racconto degli avvenimenti. Quanto il lavoro con gli attori e con la cinepresa di Nemes. Un estremo naturalismo provoca, secondo la lezione di Pina Baush o di Peter Stein, e utilizzando implacabilmente e claustrofobicamente il primo piano e il “primo piano rovesciato” (cioé il protagonista è spesso inseguito in piano sequenza ad altezza di nuca semovente) un effetto astratto. Da Raffaello Sanzio. Vediamo la violenza nella sua astrazione pura e non una messa in scena. Notevole. Lo stesso effetto di perdita totale dell'identità provocato dalla situazione di un prigioniero nel lager nazi. Spossessati del corpo e del nome, numeri deambulanti, i prigionieri possono diventare qualunque cosa, trasformarsi anche in “rabbino”, per esempio, pur di sopravvivere una mezzora di più, e lo stesso sguardo può opacizzarsi sui morti (sono tutti inquadrati a distanza o in flou perché non si “vedono” più) o metamorfizzare gli spazi e i corpi, come accade al ragazzo trasfigurato in altro (probabilmente Saul non ha mai avuto un figlio, ma la prospettiva di un altro David possibile è l'unica che permette di accettare un altro, più immane, sterminio). Questo gioco tra naturalismo e sacralità è quel che fa il film molto interessante e di Nemes un sicuro talento. Nonostante un finale che perde la tensione “teatrale e documentaristica assieme” dell'inizio rifugiandosi nel narrare standard dello scontro, della fuga e dell'inseguimento. Di cui conosciamo già l'esito atroce.

domenica 22 marzo 2015

Vizio di forma. Paul Thomas Anderson e il suo film barocco, formalista, vizioso e meraviglioso


L'urlo di Doc Sportello terrorizza tutto l'occidente

Roberto Silvestri 

Sarà indimenticabile il 2014-2015 grazie a Vizio di forma. Questo film noir di Paul Thomas Anderson nelle sale da un mese - da vedere e rivedere - grande omaggio a Hawks, Bogart e Dorothy Arzner redivivi, nonostante la maggiore tristezza medidativa che perma oggi tutto il materiale conoscitivo di allora, chiarisce un punto poco illuminato: che la contestazione generale planetaria del decennio 60-70 è stata sconfitta, a nord e a sud, a est e a ovest, da una valanga di droga pesante scaraventata contro il movimento che ha ucciso i migliori, intossicato i cervelli e le tasche dei sopravvissuti, riempito le tasche dei cattivi, corrompendo, da allora, tutto il paesaggio. Tradimento dei chierici compreso. 

Il sax tenore Coy Harlingen, il secondo uomo sparito (Owen Wilson)
In Vietnam l'occidente è andato solo per rifornirsi di droga pesante rubata distruggere le economie altrui e togliere di mezzo la roba leggera. Da quando l'afghano nero, il libanese verde e il marocchino di tutti i tipi è ogm, tutto è cambiato. Come vuole Renzi. In peggio. E poi. Chi ci restituirà quelle belle anime teenager, vittime di troppe overdose? Commuovente che a farle rivivere ci sia il film di un pronipote nato nel 1970.
Joaquin Phoenix e Josh Brolin
Formalmente Inherent Vice è un noir senza ombre, piuttosto mette in scena il vizioso scontro tra foschia e neon, tra fog oceanico e inquinamento pop, tra penombra sexy e luccicanza della Borsa, tra la bellezza della pasticca blue e il resto dark del mondo. Tra lo spirito comunitario hippies e l'edonismo egoista individuale dei futuri yuppies, tra la Los Angeles dei surfer ribelli e dei Simbionesi tutti e quella degli square mal incravattati e vigliacchi, perché protetti da quel megafascista di Daryl Gates, il dittatore della polizia di Ellei. Surfer ribelli? A sud di Santa Monica sta per nascere (si intravede in una scena) il grande movimento culturale proletario degli skateboard. Imparare a solcare, dopo le onde oceaniche che finivano pericolosamente a infrangersi sui i piloni sopravvissuti ed emergenti del pontile crollato di Venice, anche le mareggiate metropolitane, con corpi più snodabili e hip hop, collegando e comunicando via graffiti i ghetti, sarà il nuovo sport dell'antagonismo sociale. Da allora ad oggi.  
Una band rock del 1970 non può che ispirarsi a Luis Bunuel
Stiamo ancora mangeggiando troppo i contenuti? Yes. Ma il contenuto è sempre la fase suprema della forma, come insegnarono alla scuola linguistica di Praga i formalisti russi. Certo. Se il sortilegio dell'artigianato collettivo riesce, se la consonanza tra assoli e ritmica deforma le aspettative, se i corpi degli attori penentrando nelle musiche di Greenwood (dei Radiohead), nei costumi di Bridges, nei tagli di montaggio di Jones, nelle scene di Crank, nelle luci opache e materiche di Elswit, resuscitano come personaggi a tutto tondo, comparse comprese, di un mondo che fu ed è ancora. 


Mickey Wolfmann, il miliardario svanito nel nulla....
Nel noir classico (1942-1948) il nero era candido e il bianco dei capelli luccinati molto conturbante, ma ferale. In questo caleidoscopio paranoico diluito nelle song di Neil Young, Can, Minnie Riperton e di surferband come The Marketts, lo spettro appare molto più complicato e terrificante. Ma la paranoia, insegnavano gli anti psichiatri dell'epoca come Cooper e Laing, fu la tecnica di difesa dalla famiglia e la sostanza mentale e "animale" autoprodotta che salvò molti. Per non farsi iniettare il virus della normalità e del conformismo, per sfuggire alla famiglia tentacolare era un toccasana.
Ricordando Shasta
Fenomenale, a questo proposito, il settimo libro di Thomas Pynchon (Feltrinelli stile libero), da cui è tratto questo noir groovy (e che Anderson, il più sobrio e barocco tra i cineasti visionari d'America, completa), ambientato nel 1969 sull'oceano Pacifico. Un fluxus narrativo storicamente e politicamente denso, esplicito e diretto nonostante le interferenze psicotrope della sostenza caotica dell'espressione. Troppo indigesto, insomma, il tutto, per festival e Academy Awards. La Mostra di Venezia di Laudadio, in fondo, non si scandalizzò forse per Boogie Nights, il primo capolavoro di P.T.Anderson,  rifiutandolo e facendo così diventare il Lido lo zimbello degli appassionati di cinema di tutto il mondo?
Con Shasta e Sortilège in una seduta di fumo
La detective story di Vizio di forma in fondo è cristallina. Se si racconta in modo diurno, la intravediamo nella foschia: sparisce nel nulla, e va ritrovato, Mickey Wolfmann (Eric Roberts), un miliardario losangelino che ha smesso di divertirsi ad accumulare tesori con la speculazione edilizia e cacciando i neri dalle loro povere case e gentrificare a forza di corrompere politici e Lapd. Insomma un uomo d'affari che è "impazzito", secondo le categorie capitalistiche vigenti. Ritrovarlo, per un detective di Gordita Beach, però non risolve la faccenda. Non è stato assassinato da quella femme fatale della moglie, ma perché la Cia lo nasconde e protegge?
Jade (Hong Chao)
Oppure si può raccontare l'indagine in modo notturno, al neon: un detective privato che vive sulla spiaggia della Los Angeles meno fighetta, Doc Sportello (Joaquin Phoenix),  ex militante dell'Sds californiano di origini italiane, coi sandali di gomma e gli amici surfer proletari, ha trovato un cocktail innovativo (hascisc, marijuana e lsd) per allargare la coscienza, risolvere il caso di Wolffman scomparso, zigazagando nelle notti buie e tempestose tra: 1. una fumata infinita sul suo divano; 2. una fiamma antica impossibile da dimenticare (Shasta Fay Hepworth, Katherine Waterston) che riappare, ama Wolfmann e chiede aiuto; 3. un membro della Black Guerrilla Family, Tariq Khalil (Michael Kenneth Williams), politicizzatosi in galera anche troppo, visto che ha trovato convergenze parallele perfino con i suprematisti ariani; 4. una bionda dark lady di miserabili e commercialistiche ambizioni; 5. un poliziotto coriaceo e completamente fuso, perché anche gli sbirri sadici hanno un'anima e delle mogli virago (il tenente Christian F. "Bigfoot Bjornsen cui Josh Brolin regala nevrotici e ambigui retrogusti comici); 6. l'avvocato inesperto di Doc, ma involontariamente efficace perché sa tutto di diritto marittimo (Benicio Del Toro è Sauncho Smilax); 7. un dentista cocainomane e pedofilo fino all'iperbole (Martin Short è il più tenero degli squilibrati nel ruolo del dottor Rudy Blatnoyd); 8. uno strozzino assassino che avrebbe fatto impazzire di gioia Russ Meyer per le sue passioni naziste  9. l'avvocato Crocker Fenway (il redivivo Martin Donovan, l'alias di Hal Hartley) che tutela i segreti indecifrabili di una strana organizzazione che si chiama Golden Fang, Zanna d'oro, come la misteriosa goletta manovrata dalla Cia per commerciale eroina e oppio dall'Estremo Oriente, controllando così il 70% del taffico mondiale di droga. ma allora eravamo ancora senza internet e Lassange...
Joaquin Phoenix
Doc, che entra nel labirinto e va a istinto e tentoni, proprio come San Spade, riesce a non sbroccare del tutto e resiste a una serie di aggressioni criminali, interne ed esterne alla Lapd, fino a aggiudicarsi una piccola fertile feconda vittoria "morale", proprio come il Movement imporrà con ogni mezzo necessario la fuga dell'esercito Usa dal Vietnam, Laos e Cambogia (bombardata illegalmente per 5 anni dal criminale internazionale Nixon). Meriterà i soldi di chi lo ha ingaggiato, la tenera casalinga Hope Harlinger (Jena Malone), l'ex tossica che non trova più il marito, Coy Harlinger (Owen Wilson), sassofonista tenore di una surf band di Topanga, diventato lurido informatore e spia dell'Fbi per colpa  della dipendenza dalla droga pesante che lo aveva trascinato, a poco a poco, tra le braccia dell'ignominia e dell'autodegradazione. Ma solo chi cade può risorgere.
In cerca di roba
Raramente un film di Hollywood ci ha restiutuito la gravità di quel frangente di storia e la tonalità erotica altissima di quegli anni. Cosa consiglieremmo a un ragazzo di oggi per capirci qualche cosa? Certo Ultimo tango a Parigi di Bertolucci. I doc di Emile De Antonio e Attica di Cynda Firestone. Ma tra il materiale meno specialistico? Psych-out di Richard Rush, Gli ultimi bagliori di un crepuscolo di Robert Aldrich, forse e Charlie Varrick di Don Siegel... Poco altro.
Paul Thomas Anderson
Il modello implicito a cui il nostro Doc, l'anti-eroe si ispira, ovviamente degradandosi nel mondo delle sostanze non pesanti tipo il whisky, è certamente il Marlowe, da quello classico alla versione di Paul Bogart che è proprio del 1969. O Moses Wine detective di Jonathan Kaplan, che è un militante della controcultura. E gli Shaft o i detective neri di Chester Himes. Ma il modello esplicito è Sharlock Holmes, l'indagatore analitico e induttivo della Soluzione di cocaina al sette per cento (romanzo scritto nel 1974 dal cineasta e produttore Nicholas Meyer che nel 1976 sarà un ottimo film di Herbert Ross). 
Non sorprende infine la centralità della donna in questo film noir così sganciato dall'epoca nella quale il noir nacque e prolificò grazie all'improvvisa presa di potere delle donne nella società Usa visto che gli uomini erano tutti a combattere in Asia e in Europa e Eleonor Roosevelt favoriva l'ascesa. Un intellettuale d'oggi di 45 anni non potrà che rovesciare anche gli ultimi bagliori di maschilismo sessantottino e l'abietta caricature che ne fece la Manson Family. Visto che il romanzo e il film si svolgono proprio durante il processo alle girl adoratrici del loro guru rock, del musicista assassino strabico

Con il vice procuratore distrettuale Penny Kimball (Reece Witherspoon)
Qui invece Doc è solo il finish, il sintetizzatore, l'ottimizzatore finale di una band di donne che in qualche modo lo manovrano affettuosamente. L'uomo di fatica di una strategia femminile di rivoluzione totale: Shasta, la sua ex; Penny, la nuova fidanzata, donna in carriera e magistrato affascinata dal comportamento schizofrenico a singhiozzo; Jade (Hong Chau), ovvero il simbolo asiatico della rivoluzione sessuale che emerge perfino al Chick Planet, club di massaggiatrici artistiche; Japonica (Sasha Pieterse), la ricca rampolla fedifraga, antenata e erede di Winona Ryder come ragazza destinta a scappare da tutte le famiglie e da tutti manicomi e correzionali per adolescenti; Sortilége, l'ex impiegata di Doc che conosce tutta la storia anche prima che avvenga, perché vede cose che noi comuni mortali non conosciamo, e infine la saggia zia Reet, che deve nascondere di certo un passato da wobblie...
Shasta, in particolare, la sua ex ragazza (Catherine Waterston, rediviva spirito libero, quasi una Babara Hershey), un ex grande amore, "eravamo gli unici due a non bucarci e per questo avevamo un sacco di tempo a disposziione per noi due", ma che ormai si sono lasciati, ma a stento, anche per il gusto di riacchiapparsi, pentendosene, di tempo in tempo, perché lei  osa intraprendere viaggi lisergici molto più pericolosi e radicali, anche nell'ambiente dei nuovi pescecani che stanno divorando la megalopoli. Ha un tale nto da Mark Davies. Senza la sua spinta, senza la sua lucidità paranoica, degna di un William Burroughs (a cui era dedicato tra le righe The Master), senza il suo erotismo dispiegato internamente nella scena più hot del film, non si capirebbe la miseria etica, estetica e erotica delle Manson Girls, le assassine per errore di Sharon Tate e dei suoi sei amici. 

L'involuzione della dark lady
Dicevamo che il fluxus narrativo è storicamente e politicamente denso, esplicito e diretto. Nel libro tutte le ramificazioni e i collegamenti sono più spiegate. Ma nel film non si sono note a pié pagine, eppure c'è tutto nello sfondo e se si sta attenti: il conflitto in sud est asiatico con tutto il carico di droga pesante che viene scodellato negli Usa; i maneggi di Hoover e dell'Fbi contro le black panthers e i fratelli di Soledad; il presidente, dal 1968, Richard Nixon e il governatore della California, dal 1967, Ronald Reagan, che privatizza tutto, anche i manicomi; il famigerato capo della polizia di Los Angeles che scatena i suoi scagnozzi come Robert Aldrich mostra in I ragazzi del coro e i motociclisti nazisti mille uso descritti da Al Adamson e Roger Corman; i disordini di Watts e il maccartismo che ancora avvelena il fuori scena di Hollywood, costringendo attori decaduti a pentirsi in maniera immonda per sfuggira alla lista nera e alla miseria nera.... E dunque la recensione merita una inquadratura politica. La citazione iniziale del romanzo è: "Sotto il selciato c'è la spiaggia", che è la celebre scritta su un muro di Parigi, del Maggio 1968, e che è anche il titolo di un capolavoro del Nuovo Cinema Tedesco, diretto da Helma Sanders-Brahms. Un film che riflette profondamente sulla sconfitta del sessantotto europeo come questo sulla sconfitta strategica del Movemen da berkeley alla Columpia a Kent. Ma il titolo del film che vuol dire?
Il romanzo
Un uovo che cade si rompe. Una finestra di vetro va in frantumi alla minima pallonata. Un martire imbottito di dinamite salverà la pelle a stento, se spintonato... Insomma un "vizio di forma" nella costruzione interna di cose, persone e istituzioni innesca potenti forze autoannientatrici. Ma la crisi (tutti gli artisti stanno elaborando sulla stessa incerta situazione economico-sociale planetaria, e Paul Thomas Anderson in Il petroliere e The Master ha indagato su cruciali rivolgimenti ottocenteschi e post bellici, economici e spirituali) che vizio di forma è? 
Un “vizio di forma” speciale perché tutela e conserva la sostanza inalterabile di un modo di produzione e di un way of life, non solo ormai privi di antitesi (perfino nella Cina comunista, dopo la fine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria) ma che senza ritmiche crisi traumatiche (i vizietti di forma?) non troverebbero preziosa linfa per la loro metamorfica espansione spaziale e crescita volumetrica. 
Japonica guida senza patente

La periodica crisi capitalistica ha ingigantito (dalla metà dell’800 ad oggi) e reso sempre più potenti e totalitari i trust Usa. Le leggi anti-trust infatti sono state create solo per tutelare meglio il complesso ‘militare-industriale’, per scatenare e favorire lo schiacciamento e assorbimento degli imprenditori medio-piccoli e come pura arma antisindacale, per impedire  l’organizzazione orizzontale e "monopolistica" dei lavoratori, che dovrebbe essere unitaria al di là del tipo di lavoro, del sesso e dell’etnia e della religione degli iscritti ma che in Usa è sostanzialmente proibita proprio...dall'Anti Trust (e Renzi, invidioso, sta studiando il sistema per scodellare quell'intuizione geniale anche in Italia). 
Ma tra vizio di forma e vizio “innato”, quello che per esempio la ruggine provoca lentamente al ferro distruggendolo, c’è una sottile differenza. In inglese Inherent Vice infatti è anche quella clausola che impedisce alle assicurazioni di pagare per un’automobile che abbia preso fuoco da sé, per combustione spontanea… Insomma è quel difetto innato e nascosto che causa il deterioramento di una proprietà, senza mettere in discussione il principio della proprietà privata. 
Benicio del Toro, l'avvocato
Il film Vizio di forma invece mette proprio in discussione la proprietà privata tornando all'epoca d'oro della controcultura e della new Hollywood quando si credeva che l'Era dell'Acquario insorgente avrebbe spazzato completamente via il vecchio mondo e le decrepite classi dominanti per accogliere come si deve il Paradise Now. E lo fa senza senza urlare, come avvienive invece tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta in un verso di Ginsberg, in un assolo al sax soprano di Coltrane o alla chitarra di Hendrix o in un inseguimento esplosivo cormaniano di macchine. Il tempo degli slogan, anche poetici, è finito.

Martin Short nelll'imitazione di Al Pacino in Scarface
Siamo ben dentro un film d'azione morale, alla maniera di Altman, Siegel e Aldrich, cineasti “revenent” che guidano la mano di Paul Thomas Anderson, un filmaker talmente viziato dal dettaglio formale delle sue opere da destabilizzare i critici più accademici e gli spettatori più conservatori. Il “vizio innato” è la rapacità. Greed contro Greed. Rapacità dei piccoli criminali (i Robin Hood, i terroristi pacifisti, gli hippies che vogliono cambiare il mondo) contro la rapacità dei grandi colossi (i cartelli) che ne vogliono costruirne uno ancora più sadico e infernale. 

Sortilége (Joanna Newsom), l'ex dipendente di Doc e voce off
E per finire la scena very hot .....