sabato 13 marzo 2021
Malebolge in Brasile. Bolsonaro riletto da Pier Paolo Pasolini. Un film sul web di Regiana Queiroz
Roberto Silvestri
“La società consumista ha come destino il consumar tutto, anche i propri escrementi, cioè sé stessa”. Oggi, se Pasolini aveva ragione, 46 anni dopo Salò, e nel settimo centenario dantesco del 25 marzo, siamo catapultati fino al collo nelle Malebolge, canto XVIII, ottavo cerchio dell’Inferno, tra il versetto 111 e 116. E dall’insostenibile e dantesca lettura-invettiva pasoliniana delle 120 giornate di Sodoma come metafora del fascismo, la più alta espressione narrativa delle radici del male esposta nel libro del divin Marchese de Sade. Costruzione ambiziosa e riuscita quella di un film italo-brasiliano diretto da Regiana Quieroz, che prende il titolo da Dante Alighieri e l’ispirazione dal rapporto tra Sade, Pasolini e quel Brasile ancora una volta attratto dalla soluzione dittatoriale.
Quei dannati, talmente sporchi di sterco, infatti, che non si capisce se siano laici o chierici, cioè i ladri, falsari, ipocriti, adulatori, consiglieri fraudolenti, seduttori, maghi e ruffiani oggi, da Salò, si trasferiscono nei quartieri blindati di Rio de Janeiro, dove il quartetto malefico e perverso, presidente, vescovo, duca e magistrato hanno il nome di Jair Bolsonaro (Il presidente); Magno Malta, il deputato fondamentalista cristiano, ex senatore autore del progetto di legge per criminalizzare l’aborto sempre e comunque (il vescovo); Sergio Moro, avvocato ed ex ministro della giustizia, il magistrato che incriminò un innocente (Lula) e frodò un’elezione presidenziale; Paulo Guedes, banchiere e ministro dell’economia che dal vicino di casa Pinochet ha appreso come arricchire i ricchi e impoverire i poveri e ucciderli se necessario (il duca, simbolo di quella aristocrazia delle poche famiglie che da sempre controllano il paese e impediscono la riforma agraria a costo di sterminare di intere comunità, come quella religiosa di Canudos alla fine dell’800, episodio di messianesimo rivoluzionario che ha segnato la nascita del cinema novo brasiliano degni anni 60).
Al loro fianco, le signore che hanno eccitato le loro più diaboliche macchinazioni: Tanaina Paschoal, il deputato di stato che ha guidato la crociata anti Djlma Roussef; Damares Alves, la ministra della famiglia che ha strumentalizzato il suo essere vittima di molestie sessuali da bambina per diventare la Giovanna d’Arco dei feti, la guerrigliera antiabortista, la nemica di Darwin e dell’insegnamento scientifico nelle scuole; Alexandre Frota, l’ex porno star poi esperto in protesi sessuali maschili e grande difensore in tv degli abusi sessuali sulle donne e il filosofo Olavo de Carvalho, convinto che la terra è piatta perché come sappiamo il neo-sofismo è la nuova professione redditizia e truffaldina degli intellettuali opportunisti.
Così, mentre Jair Messias Bolsonaro, presidente del Brasile, è stretto oggi in triplice morsa, tra pandemia negata ma devastante, magistratura in minaccioso avvicinamento e incubo Luiz Inacio Lula da Silva - riabilitato dopo i processi farsa il leader del PT è pronto a defenestrarlo nel 2022 - esce in rete (gratuitamente per due settimane fino al 28 marzo) questo film di 74 densi minuti che decostruisce, con profondità e originalità estetica, acume psichiatrico e micidiale umorismo, l’ennesima ascesa dell’estrema destra autoritaria in Brasile.
Terrorizzata dai 15 anni di politiche sociali avanzate, i padroni secolari di Brasilia e la classe media, perfino intellettuale, che ormai vive le tasse come il patibolo sono infatti riusciti, con ogni mezzo necessario, a capovolgere miracolosamente la situazione.
Come hanno fatto? Tensione sociale aizzata dopo il crollo del prezzo del petrolio. Macchina del fango contro Dilma Roussef, “la guerrigliera presidente”. Si usarono gli stessi trucchi e fake news che Rede Globo aveva spacciato anni prima per far fuori il pericoloso Brizola. Se i ragazzi del funky si allenavano sulla spiaggia alla capoeira eccoli trasformati con destrezza di montaggio in pericolose bande assalta-turisti e rapina-bagnanti in prime-time tv. E poi l’impeachment. E vedremo le commoventi sequenze della autodifesa di Djlma, dal documentario Il processo di Maria Ramos, ma non le immagini dei suoi accusatori, le più imbarazzanti mai viste da chi crede che democrazia parlamentare non sia sinonimo di talebana Inquisizione religiosa.
Deformare dunque i principi garantisti della democrazia per imprigionare Lula e impedirgli di essere rieletto nel 2018 – era irraggiungibile nei sondaggi - attraverso una macchinazione tra il giudice istruttore Moro e il pubblico ministero e quel teorema car-wash che ci ricorda tanto il nostro funesto ma indiscutibile Teorema Calogero…
Il giurista italiano Luigi Ferrajoli lo commenta, nel film, già come tipico processo inquisitorio, privo del requisito di imparzialità e di separazione tra giudizio e accusa, fatto che pochi giorni fa è stato riconosciuto anche dalla magistratura federale brasiliana che ha dichiarato rieleggibile Lula.
Inventare successivamente un attentato all’arma bianca al candidato Bolsonaro, più o meno protetto dalle sue guardie del corpo e non senza qualche dettaglio andato a male (con ricostruzione chirurgica di un ano sintetico e di una “borsa” esterna a far da intestino). L’attentatore di Jair Bolsonaro, amico del figlio di Bolsonaro, Eduardo, fu assolto senza che alcuno facesse ricorso…. E qui si usano le immagini di A falada no Mito, anonimamente scaricate per riflettere su You Tube sui dettagli mediatici che ci sfuggono. Utile gioco. Ma nel frattempo il candidato, più oligofrenico e paranoico appariva, più saliva nei sondaggi, del 30% dopo la ferita all’addome. Anche questo è un sequel: nel 1989 per incolpare il PT era stato sequestrato a fine sondaggi Abilio Diniz. Ma si dimentica tutto. In Italia ci si dimentica perfino di Pinelli.
E infine l’uso dei predicatori evangelici per aizzare in tv e sui social all’omofobia e all’odio dei “pro aborto” lapidati come “assassini seriali” di cittadini-feti, assecondati da una nuova star dell’immaginario demenziale, l’astrologo Olavo de Carvalho, nouveau philosophe della destra global.
E poi, da presidente eletto, l’arresto a Siviglia di un collaboratore di Bolsonaro con 35 kg di cocaina nella valigia diplomatica (si andava a un G20).
Il ministro dell’economia e banchiere (ipnotizzato dalla scuola di Chicago) Paulo Guedes, adoratore e nostalgico senza pudori dell’Atto costituzionale n.5 che magari sarebbe da reintrodurre. E’ l’Atto che nel 1968 ratificò la svolta fascista della dittatura militare dando carta bianca al presidente Medici per sospendere i diritti politici, permettere l’uso della tortura e l’esecuzione dei prigionieri, censurare la stampa, mettere fuori legge i partiti….Da cui, corollario, l’elogio funebre al generale Carlos Alberto Brilhante Ustra, condannato come tortuatore e esecutore di prigionieri, ma poi liberato e morto nel 2015 in ospedale non in cella. L’importanza di un club esclusivo di killer, amici dei cittadini più “al di sopra di ogni sospetto”, camuffato da poligono di tiro, e pronti alla bisogna…
Ci racconta questo e altro un film che ha ben assorbito la lezione comica di Michael Moore (sono sferzanti e grottesche le vignette a forti tinte di Jota Camero che non perdono un solo episodio della storia) e tragica di Pier Paolo Pasolini.
Rimettere insieme cose che si vuole tener separate. Dare un senso spazio temporale all’apparente “non senso” di fatti sparpagliati. Essere sorprendenti e comunicativi. “La morte infatti - scriveva Pasolini - non è nel non poter comunicare, ma nel non più essere compresi”.
E per potere essere compresi bisogna dimostrare di essere estranei al “meccanismo di corruzione” vigente e che il qualunquismo afferma permeare tutto e tutti. Allora bisogna mostrarsi “poveri nello spirito”. Come era Pasolini, nonostante le sue fuoriserie e pratiche desideranti scandalose, persino per Glauber Rocha come si legge a inizio film. Oppure dichiararsi esule politico, “un patriota tradito dalla patria”, come Chico Buarque de Hollanda tra il 1968 e il 1985. E così è oggi Regiana Queiroz, che firma questo incubo horror. Ed è fuggita in Italia per poterlo finire e dopo serie minacce di morte.
Dalla mezzanotte di oggi 13 marzo 2021 è in anteprima mondiale, in visione gratuita e “politica” sul web vi consiglio di non perdere Malebolge di Regiana Queiroz.
Questo è il link, https://vimeo.com/511955024.
La scelta della data di uscita del film non è casuale. La notte del 14 marzo 2018, esattamente tre anni fa, Marielle Franco, consigliere comunale i Rio, militante del Psol (Partito Socialismo e Libertà Brasiliano), sociologa, impegnata nella difesa dei diritti umani e sessuali, è stata assassinata da un commando armato.
Le indagini sulla spietata esecuzione, nell’ottobre 2019, hanno coinvolto pesantemente (e nell’ultima parte del film verificheremo le prove e l’autodifesa di Jair Bolsonaro) lo stesso presidente della repubblica. Quali erano gli intollerabili “crimini” di Marielle Franco? Essere sfrontatamente lesbica e lavorare nelle favela nord di Rio con una tattica e una strategia opposta a quella glorificata in Tropa de elite, il dittico campione di incassi di José Padilha del 2009 e 2010: gli squadroni della morte sono l’unico deterrente necessario per proteggere l’ordine e sconfiggere droga e piccola criminalità. La nostra sicurezza in realtà è messa in crisi dalla criminalità grande (per esempio il Brasile, ex capitale del tropicalismo musicale oggi lo è dei morti per Covid), ma nessuno se ne deve accorgere. Perfino i critici cinematografici brasiliani di sinistra inneggiarono a Padilha, regista “all’americana”, magari dopo aver criticato Clint Eastwood e l’ispettore Callahan di Magnum force (Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan) che ci metteva in guardia già dal 1973 dai fascisti travestiti da poliziotti e fieri di esserlo e di farsi inquadrare, come il narciso Derek Chauvin.
Malebolge è un’opera poliedrica e di furia dantesca. Ma non è come sembra “un film di parte”. A meno che La signora in gallo e il commissario Colombo, di cui Queiroz condivide la stessa passione indagatrice, siano considerati propaganda manichea. Che i fatti debbano aprirsi, come un fiore, e non bloccarsi sul fermo immagine, è la lezione di Rossellini che Queiroz conosce. Non si fanno documentari per accumular domande e fare i cerchiobottisti, ma per dare risposte, aprire dialogo, con chi dialoga.
Così Malebolge ha la grinta di un implacabile documentario di controinformazione, come quelli della sinistra statunitense negli anni 80, in opposizione alla prepotenza neoliberista che impoveriva gli americani, fermava rivoluzioni (Grenada, Nicaragua…) e assassinava in Centro America (El Salvador, Costarica, Panama…).
Adesso sono i complotti e i maneggi criminosi ma efficaci della potente famiglia Bolsonaro da combattere e mettere in feconda prospettiva. Cucendo come fa Blob materiali tv e del web provenienti da una ventina di emittenti e spiegando, in stile cubista, davanti, dietro, alto e basso dei fatti attraverso analisti ed esperti, cosa che il populismo imperante troverà scandaloso.
Si ricostruisce così con precisione e ritmo incalzante il ruolo dei 4 “Bolso” (lui di origine italiana, padovano per parte di padre, e i tre figli Jesus, Eduardo e Flavio) coprotagonisti del mosaico sulla controffensiva conservatrice globale. Anche lì come qui il commesso viaggiatore Steve Bannon, munito di kit reazionario da vendere al miglior offerente, ha addestrato gli adepti al mantra virale: visto che le ricette economiche di Marx sono fallite la sinistra utilizza Gramsci e la scuola di Francoforte per scatenare un “marxismo culturale” che ha l’obiettivo di distruggere la famiglia tradizionale anzi unica, quella composta da mamma e papà.
La necropolitica giallo-oro esige, nello specifico, dosi tossiche di machismo, misogina, omofobia, militarismo e razzismo. E poi. Ristabilire l’onore della dittatura militare 1964-1984 perché si è opposta al comunismo terrorista ma non lo ha fatto con la radicalità necessaria, e dunque fermare subito chi indaga su torture e assassini di prigionieri avvenuti in quegli anni.
Scatenare la macchina del fango contro il nemico, che assicura sempre alti indici di ascolto e introiti pubblicitari a tv e siti commerciali. Per esempio nel caso di Haddad, l’avversario di Bolsonaro alle presidenziali, trasformarlo in pedofilo e fondamentalista gay, bersaglio prediletto dei predicatori evangelici e stampa taboid. Si è fatto lo stesso contro Hillary Clinton “prona ai poteri forti e implicata in un fosco giro di pedofili internazionali, oltre che moglie di un impresentabile marito”.
Per contro. Non criminalizzare mai il lavoro minorile e schiavistico. Distruggere l’Amazzonia in nome degli interessi agro-business: “assassinare gli indios non è reato”. Legalizzare i pesticidi letali. Censurare media, cinema e stampa. Scatenare l’intolleranza religiosa. Erodere i diritti delle donne, per esempio proibire l’aborto di ogni tipo e scherzare in prime-time tv sulla dilettevole arte dello stupro. ”Qui si violenta solo chi se lo merita”.
Il sesso come obbligo e bruttezza, gerarchia dei poteri, merce muta, non parola che costruisce intimità e libertà fifty-fifty. La sequenza tv dello “stupratore felice” Alexandre Frota, ex porno star, poi deputato federale di destra, infine traditore di Bolsonaro, è un’ottima sintesi di come sono diventate oggi le tv pubbliche o private, del mondo. O non la guardate la tv il pomeriggio? Pasolini è passato invano.
Già. Malebolge è anche un crito-film su Salò di Pasolini, ovvero un saggio critico scritto con le immagini e non solo con le parole, sul più indigesto dei capolavori del cinema, dalle consonanze strutturali e narrative profetiche (ne vedremo le sequenze chiave) rispetto a un paese che il regista, assieme a Maria Callas, aveva visitato in piena dittatura, nel 1970. E che probabilmente ha molto influenzato quel passaggio dalla “trilogia della vita”, Decamerone, Il fiore delle Mille e una notte e The Canterbury’s Tales (una redenzione che passa attraverso l’esaltazione del sesso nelle culture pre-capitaliste, come espressione diretta e carnale di un desiderio non ancora obbligato e mercificato) alla trilogia della morte, interrotta dalla morte del poeta al primo capitolo. Le più truci perversità scodellate in un gioco al massacro sado-masochista per vedere ben in faccia il potere che è fatto di soggiogati e di soggiogatori. Le violenze indicibili del film non sono come “fatti reali”, quelli di cronaca che si vedono nei Tg, ma sono meccanismi, costruzioni artistiche, che agganciavano il passato sadiano e il lontano passato dantesco al futuro genocidio culturale, alla mutazione antropologica che viviamo oggi, quando sentiamo che una regione del nord Italia vaccina solo chi è utile alla prostituzione dimenticando gli ottantenni o vediamo giocondi ragazzini in assembramento che se li chiami assassini restano muti, in silenzio, non capiscono.
Pasolini ci addestrava insomma a vedere i tg del futuro. Quando il sesso è la soddisfazione compulsiva di un obbligo sociale non un piacere estraneo al dovere e alle convenzioni sociali. Ecco perché la sovrimpressione tra inferno dantesco, libro maledetto di de Sade, film di Pasolini e neo-conservatorismo riesce perfettamente. E’ il silenzio dei brasiliani che si vede in primo piano, più assordante delle musiche nel soundtrack, Monteverdi, “fischia il vento e infuria la bufera” o la musica popolare. L’egemonia del consumismo è analoga al silenzio delle vittime di de Sade, cui viene letteralmente proibito di parlare, perché solo imbavagliando (libri, stampa, cinema) si esercita potere. Come personaggi wagneriani i brasiliani (e non solo loro) accettano il destino crudele come necessità, identificandosi con gli aggressori. Come Nietzsche potrebbe commentare: “Le esperienze atroci ci costringono a speculare se colui che le prova sia anche egli qualcosa di atroce”.
Regiana Queiroz, cineasta brasiliana, nata a San Paolo, cresciuta nell'atelier di pittura della madre, laureata in giurisprudenza (specializzazione in psicopatologia), si è diplomata alla Scuola di Cinema Televisione e Nuovi Media di Milano, dove ha vissuto per qualche anno dal 2005.
E’ tornata in Brasile dove ha realizzato una decina di documentari, tra i quali Las Penhas (sulla violenza alle donne) e As Machonistas, una velenosa serie tv sulla borghesia paulista. Ma nel 2019, dopo le ripetute minacce di morte legate alla produzione indipendente di questo suo nuovo lavoro, è rientrata in Italia.
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