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Elio Germano sul set di Il giovane favoloso, di Mario Martone |
Roberto Silvestri*
Roma
E’ allegro e rilassato Mario
Martone, nonostante lo abbia sottratto per un’ora al tavolo di montaggio
inquieto dove sta dando vera vita con Jacopo Quadri a Il Giovane favoloso, il
suo nuovo film, con Elio Germano nella parte di Giacomo Leopardi.
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Il giovane favoloso |
Budget alto, cast di primo
livello e tempo di riprese fuori dagli standard. I cavalli, le carrozze e i
costumi Ottocento che maneggia ormai da tempo. Ma dopo il successo di pubblico
di Noi credevamo, tutto è più facile.
Ministero, Rai, camera di commercio di Ancona, film commission, tutti
sorridono. Nelle sale arriverà in autunno, dopo un super festival. Che titolo
strano e glam, però. C’è la mascolinità, la femminilità e poi la favolosità. Qualcosa che va oltre i giardini
dei generi, verso i territori incantati del desiderio multiforme, dell’amore
folle anche virtuale e dell’immaginazione sfrenata. Martone, il regista
napoletano che alterna scena, lirica, video, documentario e cinema-cinema, ma che sempre di immagini
di combattimento è specialista (fin da Morte
di un Matematico napoletano e L’Amore
Molesto) ci accoglie nella stanza-ufficio romano di via Michelangelo
Buonarroti, un appartamento diviso con altre società indipendenti di cinema,
nella zona torinese-ottocentesca e dai nomi toponomatici più gloriosi della
capitale.
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Il giovane favoloso |
Il regista di L’odore del sangue, il videomilitante
schierato con il Fronte Polisario, così implicato nelle cose del mondo d’oggi,
è imprigionato però da dieci anni nel back
to the future. Un vortice magnetico lo spinge verso l’Ottocento: Leoncavallo e Mascagni allestiti all’Opera, Noi credevamo, al cinema. Operette morali da due anni in tournée
teatrale (New York, Mosca…), riducendo da 18 a 14 i dialoghi rispetto alla
prima torinese e adesso l’impresa ‘folle’ di viaggio in Italia con Giacomo Leopardi, in pieno montaggio
dopo 16 settimane di riprese (luci di Renato Berta). Non sarà un biopic
tradizionale. Anche se la mappa geografica dei set è scrupolosamente fedele:
Recanati, Macerata, Osimo, Loreto, Roma, Firenze, Pisa, Napoli…. Il tutto
girato quasi nei luoghi stessi dell’azione.
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Il giovane favoloso |
Il Giovane favoloso, da una suggestione di Ortese, è proprio spiazzante come immagine. I
nostri ricordi liceali schiacciano Leopardi più nell’avverso destino privato di
un corpo infelice (il morbo di Pott, lo stesso di Gramsci, gli schiacciava le
vertebre rimpicciolendolo), mentre Carmelo Bene e Lenta Ginestra di Antonio Negri lo riposizionano alle scaturigini
del materialismo non metafisico. Ma già i letterati contemporanei, da Gladstone
a Sainte-Beuve, colgono nel suo scrivere “quasi ogni riga” in prima persona
singolare favolosa, la libera
sensibilità temporale del moderno, il poeta e il filosofo sensuale più che
sensista che viaggia nel tempo, tra dolori e desideri profondissimi. Verso il
passato della crisi classicista e rinascimentale, con Giordano Bruno, Galilei e
Tasso e nel futuro, aprendo al Risorgimento europeo e alla messa in scena di
Rossini, dal linguaggio moderna. Che affronta la sconfitta dei Lumi e della Rivoluzione,
si mette con la sinistra atea di Hegel (“e Herzen lo adora per questo e Mazzini
lo detesta”) e riempie, incompreso, quel vuoto storico di un’Italia bigotta
espressione geografica marginale, incapace di uscire fuori dall’Italia.
Ci sono altri mondi da
costruire, collettivamente. Poetare è già farli.
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Mario Martone durante le prove di Operette Morali. Foto di Marco Ghidelli |
L’immaginazione al potere potrebbe essere uno slogan leopardiano del film,
segnale della sua attualità, almeno nei dintorni del sessantotto del XX secolo. Elio Giordano che si è immedesimato così
pericolosamente e totalmente nel protagonista - tanto da rubargli perfettamente
e inquietantemente la calligrafia – è fuggito adesso in India, ci confessa
Martone, per disintossicarsi - ma
parla del suo tentacolare Leopardi, come di un coetaneo in rivolta di oggi.
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Renato Carpentieri in "Operette Morali" |
Il poeta di Recanati da circa
un decennio ossessiona e appassiona Martone. Non riesce a liberarsene
facilmente: “e attenzione, Leopardi è irresistibile e infinito, potrei fare ancora altri dieci film su di lui”…Non li
farà e promette di liberarsi presto del XIX secolo.
Nel 2004 lo accosta una prima
volta, assieme a Enzo Moscato per l’Opera
segreta, sull’incontro-scontro tra Leopardi, Caravaggio, Ortese e Napoli:
“Sono
rappresentazioni fatte dall’esterno
di una Napoli vissuta come scoperta interiore, simili a quelle di Pasolini…Una
città che sfugge anche a chi c’è nato, come sfugge agli sforzi della politica,
ai tentativi di raccontarla, e produce in tutti rapporti di appartenenza
dolorosi”.
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"Operette Morali" |
Leopardi
vive l’ultima parte della sua vita e muore nel 1837 a Napoli, di indigestione (da
cibi marchigiani, fatti arrivare apposta), a 38 anni. Antonio Ranieri (che è Michele Riondino), l’amico del
cuore aitante e prestante che lo ha strappato all’oppressione familiare, di 8
anni più giovane, gli erigerà una maestosa tomba: “Senza metterci un bel
niente, qualche oggetto, dei vestiti, credo che abbia fatto un bel gesto
simbolico, in ogni caso, corpo o non corpo”. Martone dall’omega passa poi
all’alfa quando è ipnotizzato completamente
da Leopardi, nel 2010, visitando il palazzo di Recanati, la tres grande
biblioteque di papà Monaldo (“nel film ne risarciremo la figura”), degna di
un principe e di un re, piena di testi rarissimi e di manoscritti anche
proibiti, e quella finestra. Si
ributta a leggerlo.
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Iaia Forte in "Operette mortali" |
Ne tira fuori prima due o tre cose drammaturgiche
incastonate nelle Operette morali, corpi
voci tragitti invettive, che
retrospettivamente danno senso anche alle avventure nell’avanguardia di Falso
Movimento, alla crudeltà rispetto a ogni messa
in scena di rappresentanza. Nato nel
2004, il progetto Noi credevamo, sul
risorgimento interruptus, di faticosa
e lunga gestazione. Sarà film solo nel 2010: “Leopardi sarà una voce presente
nel film, indirettamente, una voce che non mi ha mai abbandonato”.
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Roberto De Francesco in Operette Morali |
Per Torino e
per i 150 anni dell’unità d’Italia sceglie la missione impossibile e mette in
scena, l’anno successivo, le Operette
morali. Perché? “Contengono un
teatro interno, come se ci fosse un
drammaturgo, segreto a se stesso, all’opera”. Per esempio? “Moliere, Beckett,
Koltès. Il dialogo tra Timandro e Eleandro è come il primo atto del Misantropo. Roberto De Francesco,
Alceste nello spettacolo di Toni Servillo, mi ha detto 'sentilo come lo
sentirebbe Molière', e improvvisamente sgorgava,
la tensione era simile, anche perché nella prosa di Leopardi, difficilissima da
toccare, c’è forza drammatica. Il dialogo Della
terra e della Luna è già tutto Samuel Beckett, con quel tipo di rapporto
sadico e di muoversi nell’assurdo. Nella
solitudine dei campi di cotone di Koltès, che ho diretto alla radio, è un
dialogo fitto di lunghi monologhi meravigliosi, quasi ‘ponti della lingua che
s’innalzano’, come le Operette morali”.
Resta teatro letterario? “No, c’è anche
una forte tensione dialettica. Anzi c’è scontro, conflitto. Leopardi si mette
sempre in discussione. In ’Tristano e un amico’, per esempio, gli argomenti
usati dei suoi avversari sono ‘forti’, lui spiega bene le ragioni dei nemici,
che poi sono i liberali dell’epoca che lo criticano, senza ridicolizzarli mai.
Però lui è come se vedesse oltre, come se vedesse ora. Come se li vedesse già i totalitarismi, il capitalismo
realizzato e trionfante, le guerre, tutti i mali a venire”.
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Mario Martone. Foto di Mario Spada |
Viva Leopardi!
allora. Proprio come la scritta che leggiamo su un muro di Firenze, vicino al
teatro della Pergola, dove Operette
Morali era in cartellone fino a pochi giorni fa. Un graffito rosso solare,
da centro sociale risorgimentale, un invito alla rivolta poetica. Ma non è
Martone, in vena di pubblicità, quel graffitista
della notte. Visibilmente soddisfatto però della foto che la immortala,
regalo di un amico, e che mi visualizza sul Mac. Di buon auspicio per il suo
nuovo film.
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Elio Germano in "Il giovane favoloso", nei panni di Giacomo Leopardi |
Leopardi dall’omega all’alfa secondo Mario Martone
(passi da una intervista registrata a Roma nel marzo 2014)
Sono
stato colpito dell’attenzione dei
giovani che smanettano in sala durante le Operette
morali ma ridono, reagiscono e
commentano puntualmente quel che succede sulla scena, e sono meno distratti e
intimoriti dal testo rispetto al resto del pubblico. Ho pensato che Leopardi
gli arriva dentro direttamente.
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Operette morali, il dialogo 'horror' |
Nobil natura è quella che
dice la verità e dice il male che ci è dato in sorte … così si affratellano gli
uomini consapevoli di una battaglia comune. E questo è sicuramente il lato politico e profondissimamente etico di Leopardi. Però a partire sempre
da una consapevolezza individuale. Insomma è vero ciò che è vissuto, mentre
tutto ciò che non è vissuto ed è ideologia, è falso. Mi sembra che questo è il
modo di descriverne la potenza e l’attualità. Lui non avrebbe usato parole come
ideologizzato. Ma il metodo resta
quello: è vero solo ciò che è provato individualmente, con tutte le conseguenze
possibili. E’ uno scrittore estremo, Leopardi.
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Mario Martone foto di Marco Ghidelli |
Per
capire l’attualità di Leopardi basta
guardare il nostro paese, lo stato dell’Italia di oggi. Difficile dargli torto.
E guarda l’Europa, il mondo, il capitalismo. Che cosa ne è venuto delle
rivoluzioni patriottiche e socialiste? Lo ha descritto già. Ecco perché anche Noi credevamo, senza avere a che fare
direttamente con Leopardi era un film di sguardo leopardiano. Anzi, dal Matematico napolitano ad oggi, mi
sembrano tutti leopardiani i miei film. Ma è un punto di vista in movimento. Mi
trovo in una situazione strana, sulle sabbie mobili che più mobili non
potrebbero, perché sono in montaggio e quindi è difficile avere un distacco….
Del film Il giovane
favoloso non so ancora nulla,
perché nel montarlo lo interrogo continuamente. Dunque non devo, non posso e
non voglio parlarne, per ora. Le due fasi, sceneggiatura
e montaggio sono due scritture completamente diverse, una con le parole
(Ippolita Di Majo) e l’altra con le immagini e i suoni. Durante la le riprese
non inizio mai il montaggio. Sono abituati così con Jacopo Quadri. Ho bisogno
che si chiuda la fase del set. E che poi
si apra la fase di scrittura successiva, che è il montaggio. Dove tutta una
serie di cose possono cambiare completamente. Il mio lavoro è manuale, fisico,
sensuale, tattile, acustico, non cerebrale. Più da fabbro o da falegname, che
da intellettuale. Anche Noi credevamo non era costruito su
presupposti a prescindere. Via via, nel farsi, ho preso una posizione.
All’inizio c’è stato un ascolto, una
lettura, uno scoprire cose che non conoscevo. Poi piano piano, nella
concretezza del girare e montare si forma una posizione.
All’orecchio
di Leopardi le parole ottimismo e
pessimismo suonano come parole completamente vuote. E non significano niente. Mi ricordo Claudio
Abbado che una volta mi disse: “Detesto la parola speranza, il verbo sperare.
Cosa devi sperare? Devi agire”. Mi colpì
molto. L’unica cosa importante è l’esperienza. La forza dell’esperienza.
Sapere. E la consapevolezza che non esiste verità se non quella che tu vivi
nell’azione, nel rapporto, che sia con te stesso o che sia con gli altri. Non è
che c’è un sistema politico o religioso o di qualunque altro tipo che ti possa
sgravare dalle tue responsabilità e verso il quale tu possa solo nutrire speranza…..
Leopardi
era osservato dalla sua epoca come una
strana creatura di cui certamente si vedeva la statura, ma era difficile da
inquadrare, più facile da ignorare. Non viene considerato scandaloso, piuttosto
erano quasi tutti stufi di Leopardi. Non riuscivano a capire niente di quel che
diceva, ed era lasciato nell’isolamento più totale. Gli rimaneva in mano
soltanto la tristezza, la malinconia, la disperazione. Herzen racconta che un
giorno litigò con Mazzini su Leopardi. Mazzini era proprio l’opposto,
cattolicissimo, tutto per la Causa, la fede cieca, lo detestava. Herzen invece lo amava moltissimo. E a un
certo punto Herzen dice a Mazzini: “Sembra quasi che voi lo accusiate di non
aver partecipato alla Repubblica Romana! Già, la repubblica romana era nata
quando ormai Leopardi era morto da
qualche anno, nel 1836. E per Mazzini il disincanto, la disillusione
rivoluzionaria, la consapevolezza della vanità di quel tipo di azione erano
peccati mortali.
Il
lavoro sul testo delle Operette Morali è stata un’impresa
che ci ha fatto tremare i polsi, insieme a Ippolita e agli attori abbiamo
lavorato molto a lungo prima di andare ‘in piedi’ come si dice. Siamo stati a
tavolino moltissimo, per disboscare il testo e montarlo anche diversamente, un
po’ come si fa un film. E’ un lavoro di selezione e di montaggio. Inevitabile
per ricreare un’altra ‘struttura’.
Si
sente che Leopardi amava il teatro e ha
scritto teatro da ragazzo, ed era particolarmente interessato alla questione
della ‘lingua moderna’. E perciò si interessava di comico perché con quel
registro, come fece Luciano in epoca romana, poteva toccare tutti gli argomenti
anche i più pericolosi e micidiali che voleva, dalla religione alla politica.
Abbiamo ricomposto il testo, con assoluto scrupolo filologico, assieme a
Ippolita di Majo, cercando di restituire quella scena arcana e stupenda, ma
anche irresistibilmente comica delle Operette morali, poi presentata a
Torino al teatro Gobetti. Lì abbiamo allestito una sala “illuminista”, in forma
assembleare, con parte della platea riconsegnata alla scena, attorniata dagli
spettatori. Ma nessun altro teatro l’ha voluto. Solo l’Argentina di Roma, in
coda di stagione. Ed è stato il più alto incasso dell’anno. Un inizio di
tournée faticoso, ma dopo lo spettacolo è andato ovunque, anche a New York e Mosca.
Grandissimo successo a Venezia e a Firenze dove, in replica fino a pochi giorni
fa, la dimestichezza con ‘quella’ lingua italiana è maggiore che altrove.
Questo successo ci ha convinti a intraprendere il grande progetto di Il giovane favoloso.
La poesia
più siderale di Leopardi, L’infinito, andando a Recanati, può
essere analizzata nella sua materialistà spaziale. È un’esperienza concreta. Di
cui parla. Ed è impressionante la trasfigurazione che si dà del siderale perché
le parole ti portano in una dimensione di ignoto totale, mentre la cosa di cui
parla è concreta. Tutto quel di cui lui si occupa è concreto. Sempre. Lui prova
delle emozioni e immediatamente è lì a scrivere, ad analizzare e descriverle e
a capire cosa sono. E’ devastante, sotto
il profilo fisico, umano, la continua messa alla prova della propria
immaginazione razionale. Pensa al Diario
del primo amore, bellissima poesia dedicata alla cugina: analizza tutto ciò
che accade dentro di lui come uno spietato radiografo, il che lo costringe a un continuo passaggio
dal caldo al freddo, dall’emozione impressionante alla freddezza dell’analisi,
e anche la dialettica è dentro di lui perché è in costante movimento. Iniziare
a lavorar su Leopardi ti porta a dire di non voler smettere mai, perché non si
ferma mai. Anche se hai fatto un film e credi di aver messo un punto fermo
invece non hai messo proprio niente. Quindi tu fai un viaggio. E di volta in
volta puoi farlo. Come con le Operette
morali, con il film, con i libri che leggi su Leopardi. Tutti sono dei
viaggi su un territorio in infinito movimento.
Il metodo di
lavorare parallelamente tra scena e set lo coltiva da sempre. Le riprese di Il matematico accompagnarono il debutto
di Rasoi, primo lavoro su Napoli. L’ Amore molesto incrociava
Terremoto con madre e figlia di Fabrizia Ramondino. Non parliamo di Teatri di guerra intrecciato a I sette contro Tebe anche nel cast. Come un incessante
laboratorio, con la consapevolezza che si maneggiano due linguaggi
completamente diversi. Ma con Leopardi
sono entrato in un territorio infinito,
che posso continuare a percorrere senza venirne mai a capo. Anche se ho avuto
ottimi compagni di viaggio come Elio Germano. E mentre volge al termine questo
film, mi devo frenare dal non concepirne altri tre o quattro o dieci
leopardiani….
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Barbara Valmorin in "Operette morali" |
Leopardi
non era un tipo facile ed ebbe una
vita complessa. Conobbe il mondo attraverso i libri, sapeva tutto, conosceva
ogni lingua, compreso l’ebraico e il sanscrito. Leopardi è molto avanti
rispetto al mondo che lo circonda e sfugge alle categorie del tempo.
Nell’orizzonte di Leopardi c’è un Oriente molto antico, e la sua visione del
mondo è molto divertente e aperta, come si vede nella “Scommessa di Prometeo”
delle Operette morali, con gli dei
trasformati in uomini che viaggiano dall’America all’India e fino a Londra e
commettono ovunque mostruosità allucinanti, sia i ‘primitivi’ che i ‘moderni’.
Leopardi nichilista? Nel dialogo tra Plotino e Porfirio, sono certo convincenti
gli argomenti a favore del suicidio. Le parole di Barbara Valmorin andrebbero
scolpite negli ospedali italiani, sono avanzatissime, e anche il suo discorso
sulla natura e su cosa significa contro natura. Ma quale natura? Cosa c’è di
meno naturale della medicina? Eppure poi arriva Plotino e ti convince sulle
ragioni, non morali, non religiose, per non suicidarsi: è per questo nascere
della vita in un nulla, in una foglia che si muove e rifassi in un attimo il senso della vita. E anche per non dare dolore alle persone che
ti vogliono bene, perché l’amicizia per Leopardi è un valore speciale. Il
pensiero negativo viene combattuto dall’immaginazione, dall’illusione
dell’anima come valore. E’ un discorso profondo perché è un discorso sulla
catena umana, pensa a La Ginestra,
dove diventa anche esplicito valore politico, e questo è qualcosa di
impressionante. E poi aggiungi a questo il fatto che non ha scritto un solo
rigo, che sia verso, che sia prosa, che sia lettera, che sia filosofia e o qualunque altra cosa che non
sia autobiografico. Si è messo sempre in discussione.
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Silvia, Gloria Ghergo |
Nelle Lettere è interessante cogliere la
‘personalità multipla’ di Leopardi che quasi cambia voce, tono, a seconda con
chi scrive. Non è mai lo stesso. E non certo per ipocrisia. E’ invece proprio
la pieghevolezza dell’ingegno in azione. Ed anche questa specie di dimensione
plurale, contenuta dentro se stesso che diventa politica, è proiettata rispetto
al mondo e alla società. Nella sua mente ci sono come mille voci che parlano
contemporaneamente, e la nostra mente comincia a cicalare” dice Torquato Tasso,
che è l’alter ego di Leopardi - la malinconia, la depressione, la follia - in uno dei dialoghi delle Operette”. E’ una figura in cui Leopardi si rispecchia e la visita alla
tomba che tanto lo commuove a Roma è perché non c’è niente, perché non si vede
niente, era questo niente che lo attraeva. E lo commuoveva.
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Il giovane favoloso |
Vanno ascoltate queste voci. Lui amava ascoltare. Amava la musica di Rossini, poco la
pittura, molto la scultura neoclassica, quella di Piero Tenerani, per esempio.
Vanno ascoltate anche le risate. Per esempio nelle Operette morali. E’
un elemento primario e non secondario, di Leopardi, il comico, almeno quanto il
nichilismo ‘fertile’. Non emerge nella vita, piena di sofferenze, sarebbe falso
negarlo. Nelle Operette, però, se i
dentro la sua mente, non nel suo corpo. Ma nel film hai a che fare con il
corpo. Speriamo di viaggiare con lui nel modo più complesso possibile.
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Elio Germano e Giacomo Leopardi |
E’ dentro la temperie
romantica,
fatalmente. Ma c’è un passaggio progressivo, perché la vita di Leopardi e anche
la sua opera sono molto diverse. Dalla temperatura ancora romantica delle prime
cose si cambia, via via che l’esperienza porta consapevolezza. La messa a fuoco
diventa sempre più nitida ed è chiaro che alla fine il romanticismo che ha
attraversato gli è lontano. C’è quella parte che lo accomuna a Shelley. È un
poeta che nasce nel suo tempo. Per poi travalicarlo. Quest’immagine di poeta
catapultato in un tempo che non è il suo, che appartiene a un altro tempo,
molto più vicino a noi, non saprei dire se è il novecento, è affascinante…
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Gloria Ghergo, Silvia in "Il giovane favoloso" |
Sì,
a un certo punto viene eletto deputato repubblicano, a sua insaputa. Poi i
papalini tornano al potere e non se ne fa nulla. Ma il suo impegno si vede
anche dalla reazione furibonda al libretto I dialoghetti, scritto dal padre,
quasi una parodia delle Operette morali.
Il libretto diventa un best seller in tutta Europa, ma è papalino e reazionario
a livelli spaventosi e, la cosa più allucinante, gli viene attribuito, perché
esce anonimo. Si pensa che ci sia stata una sua conversione ‘a destra’. Cosa
che lo fa andare su tutte le furie. Oltre al fatto che mai Leopardi ha venduto
in vita neanche la centesima parte delle copie vendute dal padre, che nel film
comunque viene risarcito perché il suo rapporto con il figlio è stato a modo
suo molto amorevole.
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Il giovane favoloso |
Uno scrittore totalmente erotico, in senso batailliano,
di accettazione della vita fin dentro la morte e della morte fin dentro la
vita. Ma essendo ignorantissimo in filosofia, i miei primi contatti avvengono
attraverso il teatro. Cioè io sento una voce. E’ come se sentissi un teatro che
è lontanissimo da lui. E allora è chiaro che inizi a interrogarti su questo
rapporto tra lui e il suo tempo. E su come lui viaggia nel tempo. Leopardi
infatti non è solo in avanti, ma è anche indietro. C’è un rapporto forte con la
tradizione. Il fatto che fosse un grandissimo filologo non è parte secondaria
della sua fisionomia e personalità culturale.
(*) pubblicato in parte su Pagina 99 8 marzo 2014