sabato 5 dicembre 2020
Gli articoli di Mariuccia Ciotta per Alfabeta2
Gli articoli di Roberto Silvestri scritti per Alfabeta2
sabato 31 ottobre 2020
Bond, James Bond.E fu Walt Disney a scoprirlo
Si sa tutto di Sean Connery? E' stato visto rivisto e adorato dalle generazioni maschili e femminili degli anni 60 (i Bond), dei 70 (i Milius, Lester e Huston); degli 80 (De Palma degli Intoccabili, Il nome della Rosa di Annaud e Indiana Jones e l'ultima crociata di Spielberg); dei novanta: i due Highlander, Caccia a ottobre rosso, Entrapment, The rock, ovvero McTiernan, Mulchay Michael Bay e Joe Amiel.
Ma i 7 007 a parte - 3 di Terence Young, 2 di Guy Hamilton, uno di Lewis Gilbert e di Irvin Kershner - che con Marnie di Hitchcock e La collina del disonore di Lumet completa la sua filmografia degli swinging sixty, la capacità di non farsi schiacciare da Bond si vede dalla crescita espressiva del decennio 70 e 80, sempre all'inseguimento di progetti anticonformisti e di qualità. Zardoz di Boorman (1974), Il vento e il leone di John Milius (su Roosevelt Theodor e l'Africa, del 1975), L'uomo che volle farsi re di John HustonI banditi del tempo di Terry Gilliam, Robin e Marian di Richard Lester (1976). E ancora con Lumet Rapina record a New York del 1971 e Assassinio sull'Orient Express con Albert Finney nel ruolo di Poirot (1974). A volte si pentirà di un film, Avengers per esempio. A volte si entusiasmerà, per Entrapment, di Joe Amiel del 1999 anche perché toccherà lì il suo cachet record, 20 milioni di dollari. Se pensiamo che per Dr.No (007 Licenza di uccidere) aveva guadagnato solo 20 mila dollari, e 1.250.000 dollari per il suo ultimo Bond, Mai dire Mai (Never Say Never Again) del 1983, quando la calvizie di un 53enne (ma aveva iniziato a perdere i capelli fin dall'età di 17 anni) dovette essere nascosta da una parrucca costata ben 52.000 dollari. La distribuzione United Artists garantiva un budget di lusso.
Il miglior saggio su James Bond, anche come icona della controcultura lounge scriverà Francesco Adinolfi in Mondo Exotica (2000), è quello di Alberto Abruzzese in Contropiano, pubblicato nel 1968 sul numero 1 della rivista marxista/operaista/trontiana. Il sociologo della comunicazione ci raccontava (scandalizzando tutti a cominciare da Cinema Nuovo, Cinema Sessanta e perfino Filmcritica) che la saga britannica è finalmente l'esempio riuscito di cinema politico, non reazionario o anticomunista come si crede (come pensava perfino Ian Fleming: "il mio personaggio letterario è un orrendo fascista maschilista, esecutore immorale di ordini superiori") ma che scavalcando quel tipo di dicotomia è proprio rivoluzionario (almeno per come l'ho interpretato io): "Il futuro di Bond ha notevoli affinità con il futuro di Marcuse. La lotta di classe diventa una dialettica di generazioni". La prova è che si chiamerà proprio The Bond (l'unione) il primo giornale underground dissidente stampato all'interno delle truppe di terra americane in Vietnam nel 1967. La fonte è il saggio di James Lewes Protest and Survives: Underground G.I. Newspapers during the Vietnam War. 2003. Greenwood editore.
I Magnifici Sette Bond sono piuttosto precoci nell'annunciare scenari geopolitici futuristi come lo scontro a venire tra democrazia e complessi militari industriali globalizzanti e totalitari (la Spectre non si può sovrapporre a Urss e Cina e al bipolarismo, piuttosto a conglomerati transnazionali dagli oscuri disegni apocalittici o predatori, guidati dai Bezos di allora, gli Adolfo Celi o i Gert Frober. In fondo la bomba atomica l'aveva sganciata la democrazia occidentale, no Mr.Truman?). Insomma è vero che Bond si scontra con una realtà futura tecnocratica per riaffermare la realtà presente della democrazia, ma apre un campo di tensioni "consumistiche", di desideri individuali possibili e inauditi e incontrollabili e destabilizzanti che molto si collegano alle elaborazioni di Marcuse e perfino di Roberto Rossellini nel magnifico saggio Utopia Autopsia 10 alla decima (Armando editore 1974). Lo sviluppo tecnologico raggiunto permetterebbe di risolvere ogni problema di fame nel mondo e di riduzione del lavoro planetario se solo si consentisse al cervello umano di svolgere in pieno la sua potenza, chiusa ancora nel segreto dei suoi dieci e più miliardi di neuroni, crescita che si vuole ritardare di parecchio per puntare alla sola crescita Pil, continuare a sottosviluppate i tre mondi e mantenere al potere assoluto l'1% del mondo. Il "cinema politico-civile" di quegli anni (i Rosi, i Petri, i Taviani i Gavras) era per noi piuttosto "moderato e cantabile": il linguaggio era ricalcato sul cinema commerciale popolare e si asservivano le immagini alla disciplina di una ricezione obbligata di massa (il messaggio umanista, lavorista e progressista) ma non produttrice di altro senso erotico eretico e utopico. Volevamo tutti, non più solo Cererentola il principe azzurro. La fantascienza stava davvero per esplodere. Invece quei film politici doc erano chiusi al presente, non aperti al passato e al futuro. E parlavano al "pubblico" massificato e non allo spettatore singolare maschile o femminile, a corpi generazionalmente nuovi, quelli della "soggettività desiderante" come la chiamava Oshima. Quella fuori dalle Chiese e dai Partiti, sciolti dal giuramento. La generazione del 'vogliamo tutto e subito'. Del "Niente di meno, di più". Del sex prismatico, delle drugs benefiche e del rock'n'roll non bromurizzato. Della tensione tecnologica-fantascientifica. Infatti Bond è un "nuovo linguaggio", che non ha più bisogno di stile né di bellezza (è ,piuttosto macchina di desiderio erotico irresistibile) come non saranno dopo di lui molti super eroi 3d Marvel, più giocondi e pedanti (Guardians of the Galaxy e Black Panther esclusi). Vince sul reale, contro una macchinazione che vuole peggiorare il presente (che già non è un granché) con una prospettiva futura assurdamente anti umanitaria. Un po' come i film western degli anni trenta-cinquanta, come spiegava Glauber Rocha, che elogiavano quella generazione selvaggia che conquistò il l'Ovest reinventando il mondo ma facendo piazza pulita (criminalmente come nel genocidio indiano) anche di un certo passato orrido (feudale, 'europeo', superstizioso, gerarchico) per riaffermare un altro presente. L'individualismo democratico, orizzontale.
Non accademico. Thomas Sean Connery nasce nel 1930, figlio di un camionista e di una domestica, nella Edimburgo della grande crisi tra disoccupazione, povertà e fuga dalle campagne per una vita migliore in città. Il fratello fa lo stuccatore. Da piccolo si rimbocca le maniche consegnando il latte, facendo il macellaio e lavorando nelle miniere di carbone, disposto a tutto per aiutare economicamente la sua famiglia. A 16 anni si arruola nella Royal Navy (poi esonerato per motivi di salute) e al rientro scopre i mondo del teatro. Dunque è un attore che non fa il liceo né l'università. Qualcosa che lo accomuna a grandi attori formati e laureati nell'università della vita, un ateneo più esclusivo di Harvard e Yale. Come vediamo dal palmares. Ci sono gli attori, più che i divi, che consideriamo più profondi e colti: Roger Moore, Melina Mercuri, Al Pacino, Peter O'Toole, Gene Hackman, Lee Marvin, Elaine May (sic!), Cary Grant, Jerry Lewis e Dean Martin, Rod Steiger, Peter Ustinov, Michael Caine, Charlie Sheen, Ellen Burstyn, Robert Mitchum, Jim Carrey, Uma Thurman, Johnny Depp perfino Robert Downey jr., Anthony Quinn, Richard Pryor, Drew Barrymore (sic!) Keanu Reeves, Carrie Fisher, Nicholas Cage. Nessuno di questi si è diplomato alla high schoool. Certo molti di questi performer sono stati educati "privatamente", a differenza di altri non diplomati celebri come Gerard Depardieu, Sidney Poitier, Steve McQueen, Tom Cruise, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Sonny Bono e Cher, Danny Aiello, John Travolta e Olivia Newton John, Quentin Tarantino, Prince, Mike Tyson, Ringo Starr, Michael J.Fox, Bo Derek e Laurence Fishbune, Rob Lowe, Courtney Lowe.
Con il toupe. La Warner Bros ha speso 52 mila dollari per creare l'acconciatura irresistibile di James Bond in Neve Say Never Again (Mai dire mai) diretto da quel beatnick di Irving Kershner nel 1983. Insomma è una questione di soldi il sex appeal? Se vediamo chi ne ha fatto uso a Hollywood ci viene questo dubbio: Bogart, Gary Cooper, Henry Fonda, James Stewart, John Wayne, Frank Sinatra, Burt Reynolds, Gene Kelly, Charlton Heston, Kevin Costner, ... Andy Warhol... Bé sono artisti, animali da palcoscenico, f for fake ... Bruce Willis no: "è un monumento all'architettura cranica" e può permettersi di essere pelato.
Il tatuaggio. Ovvio che si è tatuato sul braccio "Scotland forever" e "Mum & Dad". Quello di Robert Mitchum non sono riuscito mai a vederlo, la leggenda vuole che sul braccio abbia inciso una oscenità innominabile.
Gli amici. Pochi tra i colleghi. Roger Moore, Michael Caine e Richard Harris
Cachet. 10-13 milioni di dollari a film, dopo il boom del primo Bond, sarà il suo cachet medio. Come Clint, che arriva a 15.
Era tirchio? Sì, scrivevano i giornali scandalistici e reazionarii. "Notoriamente avaro" come Clark Gable, Cary Grant, Steve McQueen, Babs Streisand (sono considerati al contrario molto generosi De Niro, Streep, Clooney, Mirren, Stallone e Sharon Stone. E anche Mike Tyson). Ma non era affatto tirchio come prevede il luogo comune. Utilizzava la maggior parte dei super cachet in edificazione di scuole a Edimburgo per i poveri (lui era stato costretto a lasciare la scuola a 13 anni), per lotte ambientaliste e ecologiste (e, finché gli fu possibile, per finanziare il partito indipendentista scozzese), per la cultura (è stato un magnifico supporter dei festival scozzesi del cinema e del teatro). Non approfittava del suo crescente successo divistico per ritoccare in alto i suoi introiti (come si legge nell'autobiografia di John Huston a proposito di L'uomo che volle farsi re, dove oltretutto dà prova sul set di una tecnica recitativa pressoché perfetta).
Manesco? Solo nei ricordi della prima moglie, Diane Cilento: "L'ho lasciato dopo che mi ha incupito la faccia di pugni" . Ma quando si tratta di divorzi con celebrity meglio non dare ascolto ai pettegolezzi, chissà il suo avvocato cose le ha ordinato di dire. Ma, in una celebre e famigerata intervista televisiva disse a Barbara Walters che usare le mani con una donna quando se lo merita è più che giusto. Forse è per questo che il Saturday Night Life ne fece la caricatura, trasformando l'impeccabile agente segreto di Sua Maestà in un imbranatissimo partecipante a un telequiz...
Rimpianti. Doveva girare Vestito per uccidere con Brian De Palma...
venerdì 4 settembre 2020
L’importanza di Gianni Serra nella storia del cinema occidentale
La ragazzi di via Mille Lire di Gianni Serra (1980) |
Roberto Silvestri
Nel 1980 vennero presentati nella sezione Controcampo italiano della Mostra di Venezia La ragazza di via Millelire di Gianni Serra e Razza selvaggia di Pasquale Squitieri. E ci sono state alcune
Fu a proposito del bel film di Serra, non amato da una sala misteriosamente astiosa forse perché stanca di Mirafiori sud come i 35mila colletti bianchi e forse di nuovo fiera della "razza padrona".
Farassino lo amava “quel poema dai contenuti ribaldi ma dalla metrica classica”. A noi però piaceva del film di Serra proprio la metrica ribalda, i contenuti classici e un’immagine pop street pre-Bansky, ovvero un pro e prefilmico denso e profondo, le analisi socio-antropologiche e le consulenze sociolinguistiche del fuori campo, le inchieste preliminari con il videotape su come veniva gestito e perché e da chi il traffico dell’eroina, i personaggi reali che recitano se stessi, la propria miseria e la propria bellezza. Insomma quasi una applicazione del disinteresse rosselliniano per i trucchetti del cinema-spettacolo. Squitieri, tra i pochi firmatari di un manifesto di pro-arrestati del 7 aprile, era stato solo in quella occasione politicamente corretto - in politica si fanno compromessi - ma aveva poi confuso le cose: in quel film ci sembrava pronto al compromesso estetico e presto in politica ci apparve glacialmente opportunista (sfruttando Tatarella, Petacci e Berlusconi).
Gianni Serra in Africa sul set di Progetto Atlantide (1988) |
Nel reportage dalla Mostra di Venezia La Repubblica, e in parallelo anche Guido Aristarco, appoggiò dunque Razza selvaggia, che sempre della Torino degli immigrati e degli emarginatissimi trattava (ringraziando però entrambi il sindaco Pci Novelli), accontentando i palati melò del grande pubblico (non a caso produceva la Titanus pre-berlusconiana). Invece il manifesto si schierò con Gianni Serra, e con il piccolo film no budget, anche se condividevamo i limiti delle produzioni povere “statali e televisive, protette da tante mamme e funzionari”. Serra pensava più ai palati popolari delle generazioni future, a quello di un altro popolo possibile, a venire. Il film “duro” di Serra fu poi invitato dal più rigoroso London Film Festival mentre quello “sconcertante ma mai timido e insipido” di Squitieri dal più brezneviano Moskow Film Festival….
Erano gli anni in cui, parola di un caro collega di Gianni Serra - l’altrettanto militante ex documentarista Rai Antonello Branca - viale Mazzini effettivamente censurava la sostanza e i dettagli delle cose vere, e perfino la parola cancro non si poteva pronunciare nei servizi (meglio zuccherarla con “il male incurabile”, come imponeva il ligio responsabile Angelo Guglielmi). Ma di cose vere si poteva trattare.
Il quotidiano del futuro partito unico della sinistra, la Repubblicascalfariana, comunque ebbe la meglio. Di Gianni Serra non si parlò quasi più. E proprio di cancro è morto Gianni Serra il 3 settembre 2020.
Gianni Serra? Ma chi era costui? E Stavros Tornes oggi ci dice qualcosa? E Gioia Benelli? Cinema del secolo scorso, troppo pericoloso. Da nascondere, cancellare. Eppure qualcuno ricorderà, almeno vagamente, Z l’orgia del potere. E che nell’Europa moderna e fiera di essere nella Nato era intollerabile il fatto che si potessero tranquillamente tollerare i colonnelli golpisti di Atene e i loro fetidi agenti segreti del Kyp. L’anticomunismo è ancora merce benedetta, e non solo da Padre Pio.
Uno dei tre, 1970, film d’esordio cinematografico del comunista Gianni Serra, regista visivamente colto e eticamente coraggioso, oggi totalmente espulso dalla memoria, raccontava un misfatto di cronaca vera. La morte drammatica di un antifascista greco fuggito in Italia. L’inchiesta su quello strano suicidio-non suicidio. Il padre che arriva da Atene. I depistaggi, l’ambiente della sinistra non parlamentare… Lo stile era spoglio, severo, rosselliniano. La costituzione d’oggetto seria, meticolosa, fattuale, mai ideologica. Gianni Serra non a caso veniva dall’alta scuola del giornalismo di inchiesta televisivo, da TG7. Oltre che dalla Domenica sportiva, Campanile sera. Aveva lavorato e apprezzato le qualità comunicative di Mike Bongiorno e di Enzo Tortora. Aveva portato nelle sue immagini gli isotopi della pittura e della moda moderna più segretamente conturbante (anche grazie alla costumista Stefania Benelli). Da tanti film tv d’impegno : Primo trimestre (167), Un caso apparentemente facile (1968); La rete (1970), Progetto Norimberga (1971), Dedicato a un medico (1973), Diario di un no (1974), Il nero muove (1977). Fascismo, ospedali, divorzio, scuola, tragedie storiche. Fatti, ma trasformati in cinema, fatti immagine. Nessun orpello, nessuna pornografia espressiva, nessuna rappresentazione di un testo. Videotape e nagra avevano azzerato il dibattito sul realismo. Nei nuovi documentari non erano gli esperti a spiegare, come oggi in tv. Era la vita e le pulsioni dal basso molto ben articolate in un “corpo superiore”. Nulla restava - in quel film politicamente realizzato, e scritto con la compagna della vita e cineasta Gioia Benelli - del fascino ipnotico, spettacolare e coinvolgente (che allora consideravamo pericolosamente autoritario) di Costa Gavras, geniale nell’aizzare a forza di semplificazioni popolari alla dicotomia da stadio, al “noi contro loro”. No. Serra-Benelli si rivolgevano invece a spettatori, non al “pubblico” delle curve. Come Bergson ci ha spiegato che lo spirito è prodotto dalla materia, così Serra, Benelli e Stavros (il regista indie greco esule in Italia che in quel film era attore e consulente) che lo schermo produce mutazione, spesso crudele, nell’incontro/scontro con l’immaginario dallo spettatore, mai piacere zuccherato iniettato a forza di format nell’occhio alienato. L’amico e sceneggiatore di Serra, l'ex architetto e assistente teatrale di Giorgio Manganelli Tomaso Sherman, avrebbe applicato lo stesso rigoroso metodo in Ho visto uccidere Ben Barka (1978), su un altro delitto di stato, ad avvertirci sull’estremismo fanatico dei moderati (in questo caso arabi). Straub-Huillet avevano estremizzato quel procedimento nell’analisi del riarmo tedesco d’epoca Adenauer. Gioia Benelli (nipote di Sem Benelli, La cena delle beffe) estremizzò quel procedimento nell’analisi delle stratificazioni esiziali famigliari. Cuore di mamma, 1987, è un gioiello sepolto del nostro cinema. Il primo Vintemberg non è andato molto oltre.
Fortezze vuote (1975) |
Infatti Gianni Serra, morto ieri a Roma a 86 anni, è un cineasta importante, coltissimo, schivo, dimenticato, ma di bruciante attualità. Esordisce nella regia in un anno maledetto ma cruciale per il cinema italiano, il 1972. E non solo per il cinema. Mentre nel fuori campo internazionale Nixon sta bombardando la Cambogia clandestinamente, e senza che nessuno lo fermi (Trump non è un Lex Luthor inedito), facendo diventare pazzo Pol Pot, e il Cile di Allende è sotto stretta osservazione, che succede in Italia? Contestazione generale. Femminismo. Smantellamento del codice fascista Rocco. Divorzio. Aborto. Piazze furenti che terrorizzano i potenti. Perfino Il Corriere della Sera diventa (ma sarà miracolo effimero) quasi leggibile tanto che Indro se ne va. E l’odiato nemico di classe cosa fa?
Oltre ai licenziamenti nelle fabbriche indocili delle teste più calde. Oltre alle stragi à gogo pianificate dall’Innominata vestale del plumbeo e maccartista decennio precedente (1948-1958). Oltre alle denunce e ai processi a valanga per reati di opinione (che colpiscono già, non a caso, Potere Operaio e il direttore Tolin). Oltre all’uso della manovalanza nazifascista nei licei e nelle scuole, come in Furore di Steinbeck e Ford, per picchiare, provocare, schedare, arrestare e intimidire la moltitudine ribelle o depotenziarla, deviandola verso il vicolo cieco BR. Oltre alla diffusione capillare di droga (prima leggera, poi pesante) per confondere le acque e barattare con qualche dose di lisergica distrazione, porno e coca una tregua sociale. Oltre alla ramificazione della Gladio di Kossiga in ogni prefettura e questura (che film politico sull’Italia è stato Magnum Force ovvero Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan, scritto nel 1973 da Milius e Cimino!), il periodo che va dal 1972 al 1978, fase finale della ‘dittatura del proletariato’ in Italia iniziata nel 1968, è stata la distruzione tattica del cinema italiano. Bruciare gli esordi con ogni mezzo necessario. L’art. 28 ne manderà al macello tanti. Bloccare la produzione di documentari e film sperimentali. Bloccare l’università popolare di scienza delle comunicazioni anarchiche e libertarie di Trastevere, dove tra Carmelo Bene, Grifi, il Filmstudio, Brocani, Braibanti, il teatro sperimentale e la musica concreta era tutto un fuoco d’artificio di creatività, era come vivere al Greenwich Village. Bloccare per estinzione dei finanziamenti (solo 32 milioni il budget annuo!) gli Sperimentali Rai2 che Italo Moscati impone in prima serata tv e che provocheranno la messa al bando degli “indici di gradimento” perché se si scopre che si gradisce di più un no budget firmato Gianni Amelio tutto il sistema mangia soldi a tradimento che vivacchia ai confini di un colossal tv, che fine farà? L’invenzione di Berlusconi e di quella tv commerciale non sarà affatto un non sense. Che film sono quelli Sperimentali? “Sono pellicole - scrive Moscati - che parlano di ragazzi in istituti di correzione, di giovani operai nei quartieri dormitorio, di adolescenti nelle metropoli in sviluppo, di sognatori che aspirano a creare nuove condizioni di vita, di fanciulle che scoprono la realtà dei nuovi regni dei consumi, di persone che amano le armi…”. Fortezze vuote del 1975 girato in un ospedale psichiatrico (sempre assieme a Gioia Benelli) diventa una bomba spirituale di immensa potenza lanciata nell’immaginario perché la riforma Basaglia vada a buon fine. Sono film imposti dal contropotere sociale di quel decennio, ideati e diretti dalla generazione di artisti che vengono dal Csc, ma soprattutto dalla pittura o da altre arti, da scuole di cinema straniere o virtuali, come la scuola Trastevere-Campo de’Fiori (in Italia il cinema è pericoloso, considerato arte extraparlamentare, non si studia ancora all’Università o nei licei…). Romano Scavolini, fotografo di guerra in Vietnam, Mario Schifano, Giosetta Fioroni e Sandro Franchina, ovvero, la scuola di piazza del Popolo, Peter Del Monte è californiano ma viene dal Csc rosselliniano come Franco Brocani, Tinto Brass invece direttamente da Langlois, Maurizio Ponzi dalla più sofisticata rivista di cinema italiana, Cinema&Film, Bertolucci ebbe come istitutore privato Godard e Pasolini…
Gianni Serra che era nato a Montichiari (Brescia) il 14 dicembre 1933 aveva abbandonato gli studi universitari di giurisprudenza e di filosofia alla Statale per dedicarsi alla pittura. Nei primi anni 50 pittura vuol dire Parigi. A Parigi frequenta il pittore ed ecologista viennese, anzi “medico dell’architettura” Friedensreich Hundertwasser (1928-2000) e il cineasta ed ex partigiano George Franju (1912-1987), cofondatore della Cinémathèque Française, che lo incoraggiano a imbracciare la macchina da presa per "filmare la terra dal cielo", tema di molti suoi dipinti, il primo, e a trattare il fantastico come i neorealisti facevano con la strada e le sue tragedie, per non lavarci le mani di fronte ai massacri inauditi e “fuori dal mondo” che avvengono nel mondo, il secondo, maestro di Leos Carax e Gaspar Noè, maestro del cinema come arte sovversiva. Ecco cosa i decenni successivi hanno cancellato. Film come Sang des betes, il documentario della crudeltà, insostenibile, sui mattatori di Parigi (1949). La violenza che c’è non è né finta né eccitante, ma reale, bunuelliana. Si veda il controverso Una lepre con la faccia da bambina (1988), con Franca Rame, Amanda Sandrelli e Lydia Alfonsi, dove Gianni Serra e il romanzo della scrittrice e poi senatrice Pci Laura Conti non vuole e non può dimenticare il (rimosso) disastro di Seveso, la nube tossica, gli orrori pianificati del capitalismo reale (si può vedere su You Tube) e si piazza come un intruso fertile in pieno decennio di edonismo reaganiano (si vedano le furibonde polemiche che ha suscitato sulla stampa reazionaria) . O, del 1984, l’ affascianante Progetto Atlantide, con Daniel Gelin, Paolo Bonacelli e Marpessa Dijan che utilizza il tono patafisico di Alaister Crowley per un’incursione profetica tra i Tuareg, i servizi segreti, il nord Africa turbolento e i fanatismi religiosi a venire. Insomma. Se il nostro cinema fosse stato in grado di coniugare Serra e Squitieri, forse saremmo stati competitivi con Lucas e Spielberg, che quanto a sostanza storico-scientifica forte dei loro film non hanno rivali. Un esempio personale. Un giorno Gianni Serra che veniva spesso a trovarci al manifesto mi confessò desolato che dopo Incontri ravvicinati del terzo tipo e Guerre stellari il cinema europeo non aveva futuro. Tutto è finito. Il matrimonio tra Enrico Fermi e Mario Bava qui non era avvenuto. In California sì. Era però ben consapevole della sostanza conoscitiva e culturale spessa dell’epopea lucasiana. Come Elias Canetti aveva spiegato in Massa e potere andava decostruito al cinema il mito dell’eroe, la metafora del capitalista che diventa sempre più forte sul sangue del lavoro vivo che il mercato cannibalizza. E George Lucas aveva ben spiegato che bisognava farla finita con quel tipo di eroe, che dietro il mito appare la maschera della morte nera.
domenica 31 maggio 2020
Clint, 90 anni, 70 film da attore, 41 da regista, l'uomo dai due volti
Clint il bimbo gigante e papà Clinton |
con la figlia Allison |
Clint teenager, suona ilpiano nei jazz club |
grazie Don Siegel! |
Sesta regia, Il terranno dagli occhi di ghiaccio, 1976 |
con la prima moglie |
con i due oscar per Million Dollar baby |
giovedì 21 maggio 2020
Quante stellette a Michel Piccoli?
di Michel Piccoli (*)
Elogio funebre di Luis Bunuel
Michel Piccoli in La Via lattea, nel ruolo di De Sade |
Mi dispiace di non essere con voi al fianco di Serge Silberman e di Juan Bunuel. Mi dispiace di essere sollecitato, troppo spesso o forse non abbastanza, a onorare la memoria. di Luis Bunuel.
Odio la morte degli amici.
Quella di Bunuel è strana.
Da parte sua questo è normale. Non morirà mai.
Siamo dunque condannati a celebrarlo fino alla fine dei tempi.
Ma che cos'è la fine dei tempi? La morte di Bunuel segna la fine di un tempo? Di un'epoca? No. Egli sarà per sempre un fulmine e un lampo.
Attraverso la sua vita, attraverso suo incomparabile humour, la sua incomparabile luce, attraverso i suoi film incomparabili, ci illuminerà tutti, i suoi collaboratori, i suoi produttori, i suoi amici e i suoi figli e i suoi spettatori strabiliati e quelli timorosi che non hanno mai osato esserlo. Malgrado tutto questo non gli devo nessun rispetto. Perché? Perché lo sapeva.
Dopo questa mancanza di rispetto ragionata me ne sto zitto ed ecco la conclusione del mio discorso.
Un giorno uno dei nostri amici comuni, il poeta André de Richard, che ammirava, muore. E' d'altronde grazie a lui che diventai amico di Bunuel, questo meticcio grande e superbo (mi tradisco ecco che faccio ancora l'elogio di Luis Bunuel). Dunque questo amico muore. A Bunuel vivo chiedo che parli alla radio del nostro amico morto. E lui mi risponde: "Non parlo mai degli amici morti. Dò loro delle stelle come per i ristoranti: cinque stelle a Sadoul, tre stelle a de Richard".
Rido felice delle parole di Bunuel. E le rispetto. Certo senza rispetto. Quante stelle per don Luis? Si direbbe il titolo di un gioco di società. La società di don Luis è un firmamento.
Da: L'occhiu anarchico del cinema. Luis Bunuel (a cura di Valentina Cordelli e Luciano De Giusti) Editrice il Castoro 2001. Pagina 240.