giovedì 20 settembre 2018

Mostra di Venezia 75. La favorita, ovvero il libertinaggio femminista. E The Mountain, un americano scopre Daumal


Una farsa da camera da letto come lezione di storia (*)

La favorita di Yorgos Lanthimos




di Roberto Silvestri
VENEZIA
L'Hollywood Reporter nei giorni scorsi ha polemizzato con la Mostra del cinema criticandone la scorrettezza politica a proposito di “quote rosa”. A Toronto un terzo dei film invitati è diretto da donne, a Venezia molto meno. Venezia guarda con troppa enfasiprofetica alla notte degli Oscar dimenticando che la maggior parte delle cineaste interessanti appartengono ai tre mondi, un po' dimenticati quest'anno. Non sempre bisogna però ricorrere al sesso del regista per conoscere il sesso di un film. E l'America Latina comunque è molto ben rappresentata.
Le tre belle opere in concorso di oggi, il poetico e crudele The mountain di Rick Alverson, il proustiano Roma di Alfonso Cuaron e la satira in costume che tanto a fatto pensare all'atmosfera Tom Jones, cioé La favorita del greco fuori casa Yorgos Lanthimos hanno, infatti, alle spalle due produttrici come Sarah Murphy e Gabriela Rodriguez e, il terzo, una sceneggiatrice coi fiocchi (e dal fraseggio libertino) come Deborah Davis. E sono tutte e tre ipnotizzate dalla centralità narrativa dei personaggi femminili.
Una madre pazza che scompare nel nulla, una tata indimenticabile e tre donne che all'inizio del 700 governarono l'Inghilterra e ne cambiarono irreversibilmente il destino politico (non a caso anche Thathcher e May, la regina Vittoria e Elisabetta...).
Semmai sarei più rigido sull'elenco degli invitati ai party ufficiali, onde evitare la presenza di ingombranti maschi inquisiti, peraltro ministri e dunque più che tollerati dal popolo festivaliero che sta dando prova di scarso talento critico ma di realismo nervoso.
A Lanthimos è stato affidato un copione non suo, proprio come a Chazelle. Ma il regista greco è riuscito ad aggiungere al progetto internazionale – una commedia in costume con Emma Stone e Rachel Weisz, sugli intrighi di corte, ambientato durante l'epoca della dimenticata regina Anna (ultima degli Stuart) - quel tocco di eccentricità che ha sempre contraddistinto il suo sguardo, più che “indigesto”, sulla Grecia di oggi. E lo ha fatto con mezzi esclusivamente visivi. Ha chiesto a scenografi, costumisti, parrucchieri e star di esagerare, sempre. Ha utilizzato il grandangolo abusandone e l' “oscurità Kubrick”, fino al ridicolo, per distorcere le prospettive spaziali e mentali. 
Ci invita infatti a penetrare i labirinti crudeli e dark di uno scontro a tre, tipo “Eva contro Eva” ante litteram, ma di forte contenuto politico, mentre ogni figura e spazio coinvolto in quel gioco di potere diventa sempre più grottesca e rococò, cioé comica nella tragedia. E drammatica fu la lunga guerra tra Parigi e Londra, e lo scontro politico tra Tory falchi e Whig colombe, tra aristocratici conservatori bellicosi e mercanti rampanti che non vedevano l'ora di arrivare alla pace e alla ripresa dei commerci, quelli sì davvero cruenti. Dietro a tutte le frivolezze che fanno epoca - le corse delle anatre e delle aragoste o il consumo di ananas o il lancio delle arance - dietro la fragile e malata regina Anna (Olivia Colman), la vera mente lucida del Palazzo, Lady Sarah Churchill duchessa di Marlborough (Rachel Weisz) e la giovane e furba intrigante “decaduta” e proletarizzatra che le soffierà il posto, Abigail Masham (Emma Stone), ecco che la farsa da camera da letto (a pulsioni lesbiche) ci indica costantemente il fuori campo, non perde mai il contatto con la storia vera, di allora e di oggi.
La regina Anna (Olivia Colman, istrionesca ma moderata) che non ebbe prole, nonostante 17 gravidanze, seppe riunificare il paese, portarlo alla modernità parlamentare bipartitica e utilizzare la gelosia e soprattutto l'intuito razionale delle sue due amanti, per indicare al Regno Unito quella strada, non anti Europea, e mai Brexit, che evitò a Londra isolamento economico e futuri decollamenti regali.

The Mountain, fare l'elettroshock alle immagini

The Mountain di Rick Alverson


Più inquietante e complesso, seducente e repellente, si intuisce anche dal poster, è The Mountain, diretto con originalità fotografica stupefacente da un beniamino del Sundance, quella strana personalità inafferrabile di nome Rick Alverson.
Un ragazzo quasi catatonico che lucida le piste ghiacciate di hockey, alla morte del padre allenatore di pattinaggio artistico teme di impazzire come la madre campionessa che lo ha abbandonato e vegeta in manicomio chissà dove, e accetta dunque di seguire uno psichiatra dai metodi antichi e oggi molto criticabili in giro per gli ospedali fotografando pazienti, lobotomie e trattamenti “estremi”.
Un “colpo di fulmine” lo porterà tra le braccia di una ragazza schizofrenica, malata più di lui. La prova d'amore sarà misurabile in watt.
Il film è figurativamente scolorato, come se fosse pensato da Roy Andersson ed è paralizzato dalle iconografie anni 50, come neanche Paul Thomas Anderson o Todd Haynes saprebbero fare.
Il regista tratta e guarisce quell'immaginario “morto”, non solo metaforicamente, con la terapia, fuorilegge ormai, dell'elettroshock. Che però a livello di immagine si rivela feconda. Non mi ricordo di aver mai visto riprese di stanze immobili disabitate, a camera fissa, che fossero così sul punto di muoversi ed esplodere senza usare il grandangolo. Proprio l'effetto che fa una facciata barocca di Pietro da Cortona. Così il clou di questo viaggio verso il 'monte analogo', punto di guarigione da ogni malattia dello spirito: cioé lo stravagante incontro-scontro tra due scuole di recitazione molto “eccentriche”, quella americana, rappresentata dal surrealista pop Jeff Goldblum e quella francese che ha trasformato l'azione scenica grazie a Denis Levant, e al suo guru Leo Carax, in pura vibrazione tantrico-sessuale. Fanno scintille esplosive i loro corpo a corpo.
Fanno scintille e palle di fuoco magiche proprio come il fulmine quando colpisce la terra (e in Siria si raccolgono dopo tartufi afrodisiaci di immane potenza). Come l'elettroshock, quando cerca di riequilibrare certe particolarissime “deviazioni” psichiche.Nel 2014 un film francese, fantastico, in quattro parti, proibito in Francia perché non demonizzava come vuole la legge l'uso dell'elettroshock, Foudre (fulmine), già fecondava in forma poetico-documentaristica quello che The Mountain partorisce in forma di racconto. Siamo davanti a un'opera affascinante e oscura che crescerà nel tempo proprio come il capolavoro di Manuela Morgaine.


(*) da Alfabeta2

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