Una farsa da camera da letto come
lezione di storia (*)
La favorita di Yorgos Lanthimos
di Roberto Silvestri
VENEZIA
L'Hollywood Reporter nei giorni
scorsi ha polemizzato con la Mostra del cinema criticandone la
scorrettezza politica a proposito di “quote rosa”. A Toronto un
terzo dei film invitati è diretto da donne, a Venezia molto meno.
Venezia guarda con troppa enfasiprofetica alla notte degli Oscar
dimenticando che la maggior parte delle cineaste interessanti
appartengono ai tre mondi, un po' dimenticati quest'anno. Non sempre
bisogna però ricorrere al sesso del regista per conoscere il sesso
di un film. E l'America Latina comunque è molto ben rappresentata.
Le tre belle opere in concorso di oggi,
il poetico e crudele The mountain di Rick Alverson, il
proustiano Roma di Alfonso Cuaron e la satira in costume che
tanto a fatto pensare all'atmosfera Tom Jones, cioé La
favorita del greco fuori casa Yorgos Lanthimos hanno, infatti,
alle spalle due produttrici come Sarah Murphy e Gabriela Rodriguez e,
il terzo, una sceneggiatrice coi fiocchi (e dal fraseggio libertino)
come Deborah Davis. E sono tutte e tre ipnotizzate dalla centralità
narrativa dei personaggi femminili.
Una madre pazza che scompare nel nulla,
una tata indimenticabile e tre donne che all'inizio del 700
governarono l'Inghilterra e ne cambiarono irreversibilmente il
destino politico (non a caso anche Thathcher e May, la regina
Vittoria e Elisabetta...).
Semmai sarei più rigido sull'elenco
degli invitati ai party ufficiali, onde evitare la presenza di
ingombranti maschi inquisiti, peraltro ministri e dunque più che
tollerati dal popolo festivaliero che sta dando prova di scarso
talento critico ma di realismo nervoso.
A Lanthimos è stato affidato un
copione non suo, proprio come a Chazelle. Ma il regista greco è
riuscito ad aggiungere al progetto internazionale – una commedia in
costume con Emma Stone e Rachel Weisz, sugli intrighi di corte,
ambientato durante l'epoca della dimenticata regina Anna (ultima
degli Stuart) - quel tocco di eccentricità che ha sempre
contraddistinto il suo sguardo, più che “indigesto”, sulla
Grecia di oggi. E lo ha fatto con mezzi esclusivamente visivi. Ha
chiesto a scenografi, costumisti, parrucchieri e star di esagerare,
sempre. Ha utilizzato il grandangolo abusandone e l' “oscurità Kubrick”,
fino al ridicolo, per distorcere le prospettive spaziali e mentali.
Ci invita infatti a penetrare i labirinti crudeli e dark di uno
scontro a tre, tipo “Eva contro Eva” ante litteram, ma di forte
contenuto politico, mentre ogni figura e spazio coinvolto in quel
gioco di potere diventa sempre più grottesca e rococò, cioé comica
nella tragedia. E drammatica fu la lunga guerra tra Parigi e Londra,
e lo scontro politico tra Tory falchi e Whig colombe, tra
aristocratici conservatori bellicosi e mercanti rampanti che non
vedevano l'ora di arrivare alla pace e alla ripresa dei commerci,
quelli sì davvero cruenti. Dietro a tutte le frivolezze che fanno
epoca - le corse delle anatre e delle aragoste o il consumo di ananas
o il lancio delle arance - dietro la fragile e malata regina Anna
(Olivia Colman), la vera mente lucida del Palazzo, Lady Sarah
Churchill duchessa di Marlborough (Rachel Weisz) e la giovane e furba
intrigante “decaduta” e proletarizzatra che le soffierà il
posto, Abigail Masham (Emma Stone), ecco che la farsa da camera da
letto (a pulsioni lesbiche) ci indica costantemente il fuori campo,
non perde mai il contatto con la storia vera, di allora e di oggi.
La regina Anna (Olivia Colman, istrionesca ma moderata) che non ebbe prole, nonostante 17 gravidanze, seppe
riunificare il paese, portarlo alla modernità parlamentare
bipartitica e utilizzare la gelosia e soprattutto l'intuito razionale
delle sue due amanti, per indicare al Regno Unito quella strada, non
anti Europea, e mai Brexit, che evitò a Londra isolamento economico
e futuri decollamenti regali.
The Mountain, fare l'elettroshock
alle immagini
The Mountain di
Rick Alverson
Più inquietante e complesso, seducente
e repellente, si intuisce anche dal poster, è The Mountain, diretto
con originalità fotografica stupefacente da un beniamino del
Sundance, quella
strana personalità inafferrabile di nome Rick Alverson.
Un
ragazzo quasi
catatonico che lucida le piste ghiacciate di hockey, alla morte del
padre allenatore di pattinaggio artistico teme di impazzire come la
madre campionessa che lo ha abbandonato e vegeta in manicomio chissà
dove, e accetta dunque di seguire uno psichiatra dai metodi antichi e
oggi molto criticabili in giro per gli ospedali fotografando
pazienti, lobotomie e trattamenti “estremi”.
Un
“colpo di fulmine” lo porterà tra le braccia di una ragazza
schizofrenica, malata più di lui. La prova d'amore sarà
misurabile in watt.
Il
film è figurativamente scolorato, come se fosse pensato da Roy
Andersson ed è paralizzato dalle iconografie anni 50, come neanche
Paul Thomas Anderson o Todd Haynes saprebbero fare.
Il
regista tratta e guarisce quell'immaginario “morto”, non solo
metaforicamente, con la terapia, fuorilegge ormai, dell'elettroshock.
Che però a livello di immagine si rivela feconda. Non mi ricordo di
aver mai visto riprese di stanze immobili disabitate, a camera fissa,
che fossero così sul punto di muoversi ed esplodere senza usare il
grandangolo. Proprio l'effetto che fa una facciata barocca di Pietro
da Cortona. Così il clou di questo viaggio verso il 'monte analogo',
punto di guarigione da ogni malattia dello spirito: cioé lo
stravagante incontro-scontro tra due scuole di recitazione molto
“eccentriche”, quella americana, rappresentata dal surrealista
pop Jeff Goldblum e quella francese che ha trasformato l'azione
scenica grazie a Denis Levant, e al suo guru Leo Carax, in pura
vibrazione tantrico-sessuale. Fanno scintille esplosive i loro corpo
a corpo.
Fanno
scintille e palle di fuoco magiche proprio come il fulmine quando
colpisce la terra (e in Siria si raccolgono dopo tartufi afrodisiaci
di immane potenza). Come l'elettroshock, quando cerca di
riequilibrare certe particolarissime “deviazioni” psichiche.Nel
2014 un film francese, fantastico, in quattro parti, proibito in
Francia perché non demonizzava come vuole la legge l'uso
dell'elettroshock, Foudre
(fulmine), già fecondava in forma poetico-documentaristica quello
che The Mountain partorisce
in forma di racconto. Siamo davanti a un'opera affascinante e oscura
che crescerà nel tempo proprio come il capolavoro di Manuela
Morgaine.
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