lunedì 5 settembre 2022
Mostra di Venezia 90. Seconda parte. Guadagnino e Padre Pio. Di Roberto Silvestri
Athena di Romain Gavras Concorso
Più che dal papà Costis Costa Gavras, la cui profondità e radicalità dello sguardo politico-sociale ha comunque incorporato, deformandola appena, Romain ha rubato a Kathryn Bigelow i segreti dei piani sequenza vorticosi e complicati. E per i primi venti minuti il film ti inchioda sulla poltrona perché, rendendo omaggio a John Carpenter e a Distretto 13 Brigate della morte, e perfino a Mad Max III, si assiste a una azione ribelle riuscita e entusiasmante, di solito viene censurata nei film che ricevono finanziamenti pubblici. I black block parigini, neri e beur, di un suburbio degradato e gelido, dopo l'uccisione di un ragazzo del quartiere per mano – si ritiene - poliziesca, si impadroniscono di armi, caschi, giubbotti antiproiettili e automezzi della polizia, facendo un'irruzione imprevista ed esasperata nel commissariato dove si svolge la solita conferenza stampa piena di promesse e retorica. Abdel, fratello della vittima, un militare (Dani Benssalah), cercherà di impedire altre vittime e trovare un compromesso con i reparti speciali della polizia che hanno circondato i manifestanti, asserragliati nella loro fortezza dopo aver fatto uscire le famiglie, e rapito un poliziotto. Ma l'uccisione anche di un secondo fratello, Karim, leader dell'ala irriducibile e dunque “pazzoide” (Sami Slimane), scatenerà l'inferno..... Nel suo terzo film, scritto anche con Alexis Manenti e Lady Ly (I miserabili), un guerrilla-movie che si avvale di una drammaturgia secondaria non molto originale e di personaggi stereotipati, l'adrenalina di spegne via via e la scienza della moltitudine in lotta scompare: si prepara un finale salva Stato.
Bones and All di Luca Guadagnino Concorso
Non si cannibalizzano da sempre i teenager? I giochi di potere su di loro non sono orrendamente sadici, come vediamo in Ucraina da mesi morire a frotte senza un perché? Ed ecco la magnifica vendetta, il grosso “ti mangio vivo” di Maren e Lee, a nome della Z generation..
Un “duetto per cannibali”, Taylor Russell eTimothée Chalamet, rovesciato rispetto al film del 1969 di Susan Sontag sul riflusso dei rivoluzionari. “Grazie a questo film ho deciso di non suicidarmi”, potrebbe scrivere a Guadagnino qualche spettatore centennial.
Ha infatti il sapore di Twilight il neo Badlans che Camille De Angelis ha spolpato per farne un un film politico (politico perché è bello, perché gli attori si muovono bene, anche Chloe Sevigny lascia a bocca aperta) scritto con David Kajganich e che ci e si trasporta nel cuore degli States, dall'Ohio all'Illinois, all'Iowa e al Nebraska: lunghe strade vuote, distributori di benzina deserti, sobborghi in cui i cartelloni pubblicitari sono due volte più alti delle case circostanti. Atmosfere e panorami dark e marginali, “non luoghi” che sputano “non libertà” grazie ai totali del bielorusso Arseni Kachaturian, che forse ha letto le poesie di Weldon Kees. Guadagnino inventa un tragitto antitetico, ma solo geograficamente, rispetto a quello di Easy Rider (il soundtrack possente, è ugualmente epocale). “Born to be wild”, cantavano lì gli Steppenwolf, e qui l'inizio è identicamente selvaggio. Non si va da Los Angeles a New Orleans, come con Hopper e Fonda, ma qui i ragazzi si impadroniscano del camion assassino: sono in cerca di gore e vendetta e, questa volta, di happy end. Uno scandalo per un horror, dar speranza. Forse Bob Dylan avrebbe regalato a Guadagnino la canzone che negò a Hopper perché quel finale gli sembrava troppo cupo e avrebbe preferito che si bruciasse quel pick-up....
Questi cannibali sono ovunque, una comunità di diversi, e si capiscono al volo o al fiuto, e sanno come ridurre all'osso la malvagità redneck, la giocondità del potere di classe e di razza, la vigliaccheria degli adulti, il risentimento dei vecchi eredi dell'alterità nativa (Mark Rylance). Hanno una loro etica, opposta ma profonda come quella dei guerrieri della Papua Nuova Guinea di una volta, che mangiavano i nemici uccisi per glorificarne il coraggio. Questi sono più ”vegetariani”, non sopportano la carne morta come invece in L'impero dei sensi. Easy rider in fondo non significava “il ganzo che vive con la pollastrella”? Fin dentro la morte, anche nella versione “la ganza che vive col pollastrello”.
Monica di Andrea Pallaoro Concorso
Non totali, ma soprattutto primi piani (e insistentemente di profilo); sempre l'Ohio, ma più metropolitano (Cincinnati), con i bar, i camionisti, gli interni cupi...; una cinamatographer 'aliena' come Katelin Arizmendi per dare immagini corpose e seduttive al copione scritto dal duo Andrea Pallaoro e Orlando Tirado, ancora insieme a Venezia dopo aver fatto vincere una coppa Volpi, per Hannah, nel 2017, a Charlotte Rampling. Anche qui c'è una mattatrice delle scene e dei set, Patricia Clarkson (Lontano dal Paradiso, Il miglio verde …) mamma morente di Trace Lysette, trans ripudiata che torna a casa per assistere e curare chi quasi non ricorda di aver ripudiato. Film d'atmosfera, di sgaurdi sfuggenti, di dialoghi azzoppati sul nascere, ellittico fino alla perversione.
Margini di Niccolò Falsetti Settimana della critica
La scena street punk di Grosseto 2008. O meglio Edoardo, Jacopo e Michele. Tre amici: uno, sposato con figlio, moglie cassiera, è impermeabile a ogni ipotesi di lavoro salariato. L'altro lavora in un night, sottopagato. Il terzo suona anche la classica e lo aspettano a Parigi per una registrazione. Insieme però spaccano: temperano bene le deformazioni armoniche e stropicciano con eleganza le melodie oblique. Ma: non hanno un soldo, non hanno appoggi politici, non riescono a esibirsi, li cacciano dalla cascina dove provavano, sono senza impianto e puntano tutto sull'accoppiata agognata con una mitica band americana, i Defense, idoli dell'hardcore, che a fatica riescono a far deviare in Toscana, da Mosca (4000 euro di biglietti aerei! Prosciugato il conto in banca). E andrà proprio tutto storto. Tranne il concerto degli americani. Trionfo. Ma qualche soddisfazione se la prenderanno lo stesso, i ragazzi. Per esempio distruggono l'orrido locale dell'amante della mamma (Valentina Carnelutti) di uno dei tre. Poi qualche bevuta, qualche battuta feroce in dialetto, l'amicizia, che li rende nonostante tutti inossidabili. Opera prima, sicuramente non ultima.
Padre Pio di Abel Ferrara Giornate degli Autori
Quoziente di difficoltà alto per Ferrara, dopo copiosi studi di storici e ecclesiastici super partes che, voluti da papa Giovanni XXIII e da Paolo VI, smascherarono non senza difficoltà stigmate, apparizioni e miracoli. Attorno a un frate, forse giusto e buono, se ci arrendiamo alla devozione popolare, ma certo simpatizzante sempre per i latifondisti, i loro sgherri e successivamente per gli squadristi fascisti e che fu strumentalizzato, in anni di ossessione anticomunista, dal potere feudale e poi dalla Dc reazionaria. Così Ferrara sfiora solo la parte miracolistica, divide il film in due parti poco comunicanti (strage dei contadini da una parte, incerto nello stile tra ballata popolare e realismo socialista) e esperienza mistica del frate dall'altra, e qui è più Friedkin e l'esorcismo che lo appassiona)), compresi i suoi numerosi scontri fisici con il demonio, ovvero con i mali del mondo presente, passato e futuro (dai dieci milioni di morti della prima guerra mondiale ai 100 milioni di morti della seconda, che lui già prevede). La parte più interessante è proprio quella mistico-horror ovviamente già ben maneggiata in passato (e grazie anche alla presenza diabolica di Asia Argento). Fare di Padre Pio un Brus o unoSchwarzkogler, un esponente ante litteram della avanguardia azionista viennese degli anni 60, è stato il colpo di genio di Ferrara.
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