giovedì 8 settembre 2022

Illegally Blonde. Marilyn Monroe fa ancora paura e Andrew Dominik ne è addirittura terrorizzato

Mariuccia Ciotta Uscita dalle mille pagine e più di Joyce Carol Oates, il corpo dilaniato di Marilyn Monroe nel passaggio dalla forma irreale della diva a quella del suo simulacro, carne da macello, ricalcata foto dopo foto, film dopo film, e sovrimpressa col volto del suo doppio terreno Ana de Armas. L'australiano Andrew Dominik (L'assassino di Jesse James per mano del codardo Robert Ford) pesca nel romanzo bio-fiction della scrittrice americana il ritratto privato dell'Attrice Bionda, inchiodata nell'espressione monotona della vergogna. I lineamenti contratti, la smorfia del dolore e del pianto, Norma Jeane scolora nel bianco e nero per riprodurre le immagini di allora e poi si accende di color pastello seguendo le variazioni stiliste di Oates, che cerca in sé le tracce di un altro Joyce.
Cattolica integralista, nel suo disgusto per Hollywood la scrittrice va alla crociata contro il simbolo della rivolta anni Cinquanta, contro il cinema del ritorno a casa, dell'imperativo matrimoniale. La magnifica parodia Gli uomini preferiscono le bionde, scritto da Anita Loos e diretto da Howard Hawks, ridotto a film da bordello. Dominik segue le istruzioni di Oates e mette in scena la vittima della macchina stritolatutto, Hollywood, vittima consenziente, che si piega alle voglie di Zanuck e di chiunque la richieda per prestazioni extra. Marilyn è l'invenzione della “bionda stupida” nelle mani di registi che la deridono e la sfruttano mentre lei si sente Norma Jeane e si ribella a Billy Wilder sul set di A qualcuno piace caldo, “non dirmi che mi muovo come una gelatina!”. Norma odia Marilyn, la “puttana” di Quando la moglie è in vacanza, schiaffeggiata da Joe DiMaggio (Bobby Cannavale), quando lei invece ama studiare Dostoevskij e Checov. E tutto sarebbe cambiato se solo Arthur Miller (Adrian Brody), il Drammaturgo, avesse avuto un po' più di pazienza. E se il Bambino, inquadrato più volte nel ventre rosato di Marilyn, non fosse stato più volte “ucciso”. Lo fa parlare Dominik, con la vocina della colpa, “questa volta non farmi male”. L'abietto si fa strada nel susseguire del tempo, dall'infanzia all'abuso di farmaci. Macchina fissa sulla copia morta, l'ordinario e distorto riflesso del Mito, la grande attrice di George Cukor, John Huston, Henry Hathaway, Jean Negulesco, Joshua Logan.
In un macabro cammino tra invenzioni sessuali, ménage à trois con i figli di Charlie Chaplin e Edward G. Robinson, il film colleziona una serie di orrori estetici e azzardi osceni come l'incontro con il presidente John F. Kennedy. Il regista cerca di raddoppiare l'effetto hard, che cadrà sotto la scure della censura, e modifica la scena scritta da Oates. Kennedy disteso seminudo sul letto. Marilyn trascinata a forza, “servizio in camera”, da due gorilla. Il presidente è al telefono e parla con qualcuno che lo avverte del danno provocato dalle sue intemperanze sessuali, mentre lui affonda la faccia di Marilyn nelle parti basse – in televisione, razzi e obelischi mimano l'erezione. Dominik gode all'idea di scandalizzare con il primo piano grondante sesso, controvoglia, della “vittima consenziente”. L'osceno, però, non sta lì, ma nell'accostamento di quest'opera con Marilyn Monroe, con la storia del cinema e con i suoi spettatori. Nel romanzo, Kennedy non discute di sesso selvaggio, ma della crisi dei missili di Cuba, del rischio guerra mondiale. E dire che Ana de Armas, alias Norma Jeane, è di origini cubane. Era il 1962, Marilyn morì il 5 agosto. L'anno dopo John F, Kennedy fu ucciso a Dallas, dagli anticastristi, probabilmente.

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