martedì 29 settembre 2015

Roca and Roll. Janis. Solo domani, a Roma all'Adriano

Roberto Silvestri

Domani mercoledì 30 settembre i romani non possono perdere, alle ore 21, al cinema Adriano, Janis Little girl blue film non classico dedicato ai nove anni d'oro (1962-1970), sue origini e conseguenze, della wicked woman più adorata dal movement, la ragazzina cattiva e immorale, di una bellezza talmente abbagliante da sconfinare nei territori aspri del brutto, là dove secondo Karl Kraus si tocca lo stato della favolosità, che ha sconvolto il mondo, non solo del rock-soul. Proiezione unica-evento che si spera lancerà il docubeautiful in tutta Italia, a tenitura fissa. Perché Janis e Jimi sono stati gli angeli custodi melanconici ma inossidabili di un magnifico esperimento alchemico di massa avvenuto nella seconda metà del secolo scorso (e riuscito solo a metà) che ha profetizzato una sorta di liberazione dei costumi, rigenerazione della moda world e globalizzazione anti sistemica dal basso...  Lei bianca dalla voce miracolosamente black, lui black che suonava e cantava come Bach avrebbe gradito. Rock come moltiplicazione delle identità vocali e spirituali.  

Jimi & Janis
Si fa sempre l'amore in quattro, oltretutto, anche quando si crede di farlo in due. Parola di Lawrence Durrell che era più di un raffinato scrittore, un conoscitore dei nostri angoli interiori più dark, individuali, bisex e collettivi. Ora, quattro è anche il cuore numerico delle rock band del periodo d'oro, 60-70. Beatles, Rolling, Equipe 84.... Monterrey/Woodstock... . E cos'è una rock band, soprattutto californiana, se non overdose totale, transproduzione di trance, emozioni forti ed estreme in interfaccia, che si scambiano, in poliritmia, elettricità e corpi, palco e platea, musicisti e pubblico?

Blues e nuova consonanza, in crescendo frenetico, che non temono alcuna concorrenza allucinogena, perché hanno azione estroversa e contagiante. Feedback, la doppia articolazione dell'attivazione spirituale e della rigenerazione materiale. E anche. Raddoppiamento di un gigantesco orgasmo che tutto è fuorché simulato.
"Erano anni in cui credevamo di amarci davvero tutti", pig e square a parte, e non solo a Haight Ashbury, il quartiere hippies di San Francisco (poi annichilito con l'aids), come racconta bene Janis, (che fuori concorso è stato presentato alla Mostra di Venenzia 2015), bio-doc sulla pop star texana fuggita dal sud razzista proprio nella zona meno Amerika d'America, sopravvissuta per 27 anni alla catastrofe della civiltà occidentale.

I genitori, i parenti, gli amici, i compagni di scuola, le lettere del suo archivio, i musicisti dell'avventura con la Big Brothers and the Holding Company, i presentatori tv, i suoi amanti e le sue amanti (una parte soltanto, per lo più sono tutti scomparsi), i colleghi celebri e dimenticati la dipingono forte, piena di vita e di umorismo, "cattiva" come solo i veri buoni sanno essere, quasi inconsapevole del suo divino dono vocale, visto che da piccola era stata cacciata in malo modo, blue note, dal coro religioso di Port Arthur perchè di intonazione eccentrica.
Poi la fuga in California, il Movement, l'alchimia acida tra folk, country, jazz; il contratto con la Columbia, l'abbandono della sua prima band, il viaggio d'amore a Rio ("quel posto per fighetti"), i mille doloriche svanivano per incanto sul palcoscenico, Andy Warhol, la morte che ce la toglie via prima del previsto (molto prima dei 33 anni canonici), il disco d'oro, il grande successo di Cheap Thrills, la divinizzazione che serve sempre a smussare i lati insostenibili di una vita coraggiosa, fino all'ingresso nel 1995 nella Rock and Roll Hall of Fame, il Gremmy alla carriera e alla memoria del 2005, la conquista del 28° posto (?) nella classifica redatta dal periodico veteromaschilista Rolling stone dei cento singer migliori di tutti i tempi.  Restano di lei 8 album dal vivo e una ventina di raccolte in lp.

Un mito inscalfibile, Janis, non solo perché ha anticipato (muore a 27 anni) il rinascimento femminista perfino su Melody Maker e Rolling Stone, ma perché ha combattuto i fantasmi suoi e gli incubi del suo paese con una sincerità espressiva totale, dandosi completamente, totalmente al suo pubblico ("sul palco sembrava che si smembrasse davanti a noi, che si squarciasse il petto", racconta una sua groupie, l'attrice Juliette Lewis), con la voce roca, gli urli beat di Ginsberg, gli "scat" di Billie Holiday e i "gotta gotta gotta" rubati a Otis Redding e agli altri operai del soul.


Nemici da sempre  i fanatici del Kkk subiti da piccola (nella natia Port Arthur, "il posto più merdoso della terra") e gli  orrori in Vietnam, i bombardamenti di Nixon, My Lay, che l'hanno via via uccisa per troppa sensibilità. Joplin se ne intendeva di emarginazione, ingiustizie, le parole delle sue canzoni lo provano, le registrazioni dei suoi concerti ci sconvolgono ancora per la forza ipnotica del suo "contatto di massa" (rivedere le sue performance a Monterrey e a Woodstock fa capire come si verificò un contatto magico tra le teorie lettriste di Isou e la cosmogonia di Edgar Varese in un solo corpo vulcanico). Janis infatti era così veloce nella somatizzazione della sofferenz che senza eroina e tutti gli antidoti possibili a salvarla, per tutti gli anni di attività pubblica, naturalmente fuori dal paradisiaco e magico momento del concerto, sarebbe morta certamente molto prima di dolore per i dolori del mondo.

Sui titoli di coda dell'hippie-movie John Lennon, un'altra vittima della gang Hoover/Nixon, fa capire che è stata una generazione davvero forte la sua per scampare all'autoannientamento totale da overdose. Forse non ci crederete ragazzini di oggi, ma questo è stato il favoloso, eccitante, floreale, guerriero per la pace, inebriante ventennio sessanta settanta. Altro che anni di piombo. A meno che non si alluda, con questa espressione ripetuta a pappagallo per colpa di Vespa senza sapere bene cosa voglia dire, al nostro libro sacro dei morti, da Hendrix a Janis, da Lennon a Brian Jones, fino a John Belushi, là dove li si confonde con Malcolm X, Luther King, Fred Hampton, i fratelli Soledad, Pinelli, i morti dlele stragi ancora senza colpevoli.
Il documentario Janis, distribuito dal braccio operativo del  Biografilm Festival, è di Amy Berg, filmaker losangelina impegnata politicamente e premiata permanentemente (ha sfiorato l'oscar nel 2006 per Deliver us from evil) . La voce bianca più nera della storia musicale non viene inserita nell'atmosfera sociopolitca di quegli anni perché tutti li conoscono (quanti documentari sono statai realizzati sulle comete del rock) ma dando spazio spazio soprattutto ai parenti della vittima, e mai la parola agli studiosi e ai critici musicali, per arricchire i lati privati della grande rock star nella sua breve vita, felice/infelice. Ma dopo gli anni 70, reggae e punk a parte, qualche fiammata glam, e certo hip hop, la musica rock è diventata un affare come gli altri, un business più addomesticabile.

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