giovedì 3 settembre 2015

Mostra 72. Bestie, Gangsters e Death Dogs. Inizio malissimo il concorso

Roberto Silvestri

da Venezia

Feroci guerre civili, e perfino genocidi a colpi di machete.  Bambini trasformati in macchine da combattimento tossiche come Rambo. Ragazze rapite dai più ambigui dei guerriglieri - i mercenari di Boko Haram - senza che si intervenga militarmente per fermarli, a parte in periodo elettorale. Colpi di stato a ripetizione. Processi democratici interrotti o ostruiti per volere del Fmi. Sappiamo i nomi. N'Kruma, Lumumba, Sankara...

Beasts of No Nation. Il capo dei ribelli
L'Africa è talmente ricca di millenaria cultura e materie prime, speziata di minerali dai magici e futuristici poteri tecnologici che mentre il suo Pil cresce (a beneficio di pochi caudillos ex filoamericani o ex filosovietici) si scatenano i peggiori bassi istinti rapaci neoimperialisti (a beneficio di pochissime compagnie). E più si prosciuga quel sottosuolo, più si neutralizza e avvilisce il ceto medio produttivo più si produce quotidiano e tragico esodo biblico. Sarà l'eterna punizione dell'occidente per la fine dell'apartheid a Pretoria? Bisogna interrompere l'olocausto nel Mediterraneo ma non basta incolpare di tutto solo il neoliberismo.
Qualcosa non funziona in Africa se i Compaoré si moltiplicano e i Sankara svaniscono, se gli hutu massacrano i tutsi e viceversa, e se si continua ad essere teleguidati dalle armi e dalla valuta belga o francese o tedesca o cinese o americana.
Ma non si può essere generici o qualunquisti quando si affronta il cuore del problema. O meglio, si può esserlo, se si passa alla fiaba, alla metafora pura, ma non quando nei film ibridi alcune indicazioni storico-politiche sono perfidamente lanciate sul tavolo.  Il cuore di tenebra è sempre lì. Come si riforma il modello di sviluppo mondiale? Come si forme un pensiero antisistemico egemone? Chi riuscirà, se non gli africani stessi, a capovolgere a favore dell'Africa i rapporti di forza economici e culturali tra nord e sud? Tra i pochi che hanno sviluppato una strategia di autodeterminazione c'è stato le'ex presidente del Ghana Jerry Rawlings, ottimo musicista rock, oltre tutto. E vederselo nominare come idolo di una banda di mercenari all'opera come i macellai di Ciombé raccontati da Pasolini, fa un certo ribrezzo.
Il diritto alla difesa non è mai terrorismo. I nichilisti russi allora e i ragazzini palestinesi oggi ce lo insegnano. Ma quando il diritto alla difesa colpisce gli innocenti, i disarmati, i prigionieri, gli "alieni" (per il solo fatto di esserlo) si parla giustamente di terrorismo. E quando ci si addentra, per spiegare questioni storicamente più che determinate nell'ideologia dell'oscura ferocia atavica connaturata all'essere umano, e particolrmente ad alcuni esseri umani, allora si può parlare di razzismo oltre che di "terrorismo ideologico". Gli africani sono naturalmente più selvaggi, più bestiali, più cannibali, più pedofili di un prete cattolico bostoniano, più incapaci di "rappresentarsi" dentro. Il vecchio vizio dell'orientalismo e dell'esotismo coloniale eccolo riesumarsi, agitarsi, tornare in campo e in piena forma. E in qualche modo il film che ha aperto la competizione di Venezia, Beasts of no nations, scodella tutte queste cattive vibrazioni, è un pezzo di puro terrorismo immaginario scaturito dal romanzo di un fisico e professore di sociologia di origini nigeriane e di ceto Harvard, Uzodinma Iweala. Che magari non ne ha colpa. Perché il film utilizza armi di distruzioni di massa sue proprie. Il primo piano. L'occhio di pesce. Le riprese dal basso in alto. l'illuminazione sghimbescia, la correzione colore. Vedere utilizzare perfino il cromatismo hippies da acido lisergico per dipingere la follia, che più follia non si può, della violenza selvaggia tribale e stregonesca scatenata, fa un certo senso.

Il ragazzo soldato
Cary Joji Fukunaga, il regista di True Detective, beniamino degli appassionati delle serie tv very sophisticated, che promettono il massimo della libertà espressiva mentre nascondono solo con più astuzia le catene ferree del format, era molto atteso, dopo il mezzo fiasco di True Detective 2, con questa poco interessante produzione Netflix, Beasts of No Nation, protagonista Idris Elba, nel ruolo del Comandante guerrigliero sanguinario, ambientata in un imprecisato stato africano anglofono durante una imprecisata guerra civile in un imprecisato momento storico, davanti agli occhi delle truppe Onu di interposizione e a quelli dei manager delle big company, ovviamente cinesi. Occhi distratti i primi e famelici i secondi, catturati questa volta con chirurgica precisione, come esige ogni apologo di regime. E il fastidio inizia poco dopo le prime buffe scene iniziali, quando una banda di ragazzini cerca di vendere un "televisiore dell'immaginazione" perché, sfondato di tubo catodico sono gli stessi ragazzini a mettere in scena, utilizzando lo scheletro dell'apparecchio come fosse una scena teatrale, l'effetto 3D, il combattimento di kung fu e il musical hip hop a secondo dei desideri del telespettatore-compratore. Dopo Fukanaga utilizza ogni variazione possibile del bestiario africano (particolarmente piacevole il riutilizzo della tecnica Tom Savini nella scena della doppia spaccatura di cranio di un prigioniero) perché l'uomo nero se affidato a se stesso e alle proprie radici animiste è davvero abominevole (a parte pregevoli capi di moda jungle). Un  combattente invincibile, perfetto, animalisticamente corretto. Infatti solo il messaggio cristiano potrebbe impedire alle famiglie middle class descritte come se fossimo a Payton Place a inizio film di trasformarsi di nuovo in guerrieri assetati di sangue come le belve che gironzolano attorno a quei set. Anche se alla domanda del maestro su dove vivono i leoni il ragazzo nero giustamente risponde: "Allo zoo". 

Una stessa sensibilità cristiana aleggia in "Looking for Grace" di una cineasta aussie, Sue Broks, moderatamente eccentrica nel fraseggio e nel montaggio, a mezza strada tra commedia nera e dramma adolescenziale. Controlliamo noi il destino dalla a alla zeta o c'è qualcosa che guida la nostra vita? Bisogna dire la verità o è meglio qualche bugia? Si tradisce e basta o ci sono almeno 50 sfumature nel tradimento? Una sedicenne bionda dell'estremo occidente australiano scappa di casa con l'amica del cuore per assistere a un concerto hard core dei Death Dogs. Ha preso 13 mila dollari dalla cassaforte di papà forse perché al giorno d'oggi questi concerti ormai sono inaccessibili ai teenagers....Sulla via amoreggia con un bel coetaneo bruno che la deruba, perde l'amica infuriata per cotanto tradimento sessuale e poi, ripresa dai genitori e da un detective eccentrico perde pure la madre, schiacciata da un gigantesco Tir mentre cerca di fare la pipì. Le musiche giocano con Ravel e con il jazz più light stile Keith Jarrett.

Del film di Renato De Maria parleremo domani. Anche perché chi tra Notarnicola il drastico futurista e Cavallaro "il chierichetto" passatista preferisce chi non accettò mai compromessi e non tradì, è rimasto molto male nel vedere in "Italian Gangsters" Sante Notarnicola ridicolizzato come fa oggi Il corriere della sera con D'Alema e bersani. Gli illusi, i passatisti.... Non avrà fatto Renato De Maria un film alla moda? Non ci possimao credere. Merita il film un supplemento di meditazione.    

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