mercoledì 16 settembre 2015

Tutti pazzi per la Pixar, "Inside Out"





Mariuccia Ciotta

CANNES



Tutti pazzi per la Pixar, applaudita a Cannes sui titoli di testa di Inside Out (fuori concorso) e, come al solito, qualche “buu” all'arrivo del logo Disney, come se adesso non fossero la stessa company, diretta da John Lasseter. Dimenticata la matrice creativa della major di Mickey Mouse, si applaude anche in Italia dove il film è appena uscito, sempre ai film d'animazione dell'ex Studio di Toy Story. Dalla sala Lumière, zeppa di pubblico (la stampa relegata agli angoli) che è venuta giù per il giubilo collettivo quando in coda sono partite le gag extra destinate agli adulti fino alle estasiate critiche dei nostri giornali oggi. Ma.

Dirige Peter Docter, il geniale spilungone di Up (Oscar), co-sceneggiatore, alle prese qui con il “quartier cerebrale” di una bambina, Riley, 11 anni, dove si annidano le cinque emozioni primarie: la gioia, la tristezza, il disgusto, la paura, la collera, in gara per il bene della bambina, e rappresentate da altrettanti personaggi. La monella dalla zazzera blu elargisce felicità, quella rotondetta e occhialuta malinconia, la verde è schifata dai broccoli, un ometto dagli occhi a palla e il naso lungo vede pericoli dappertutto e un botolo rosso s'incendia di rabbia se Riley, giocatrice di hockey su ghiaccio, manca la rete.

Il film corre sul doppio canale dell'inside e dell'out in un continuo andirivieni, una struttura a specchio, e se il mondo reale è disegnato con verosimiglianza morbida e antropomorfa, effetto Final Fantasy, i cinque manovratori mentali hanno l'aspetto di pupazzi acrilici, tutti avvolti in pixel lanuginosi, forme elementari che non tengono il confronto con i bislacchi alieni di Monster & Co, dal quale Docter (il film è suo) trae ispirazione. E che entravano anche loro nell'inconscio infantile con l'intento di spaventare i piccoli addormentati in un allenamento estremo per “incontrare e conoscere la paura”. Inside Out al contrario detta le regole del vivere pacificati, e rimette in campo la famiglia, come nel temibile Gli incredibili, violazione massima delle favole, dove lo status è sempre quello dell'”orfano”, il bambino solo di fronte a mostri, streghe, orchi... Il fatto è che non siamo in una favola, ma a San Francisco, dove i due teneri genitori si sono trasferiti, senza tener conto dei sentimenti della figlia. Riley è nata in Minnesota, e lì ha i suoi amici, il suo laghetto di pattinaggio, i suoi ricordi. Il Golden Gate non la affascina e nemmeno le salite vertiginose, né la famosa strada che precipita tra le aiuole, e quindi fa il broncio, risponde male a papà e mamma, medita la fuga. Ed ecco i magnifici cinque all'opera per bilanciare i furori adolescenziali.

Costa meno in termini produttivi creare un mondo “falso” dentro un film d'animazione che già lo è (accade in La principessa e il ranocchio), e abbandonare la cura e i dettagli del “reale”, così addio alla città della Beat Generation, certo più magica della mente Luna Park di Riley, un labirinto con grandi scaffalature che contengono palline lucenti e colorate, i ricordi della bambina, e dove alla consolle si alternato i cinque personaggi, affannati in grandi manovre per strapparle un sorriso o farla intristire al punto giusto da impedirle la ribellione.

Il panorama fantastico dell'ultramondo è senza meraviglie, un elefante rosa di stoffa, “l'amico immaginario”, è sotto la quota accettabile di comicità, le “isole” intitolate alla famiglia, all'onestà, all'amicizia, etc sono grigie accozzaglie di simboli, niente a che vedere con l'Isola del jazz e l'Isola della melodia di epoca Silly Simphonies. La riduzione a forme cubiste di miss Gioia e miss Tristezza, che si sono perse nei meandri del “quartier cerebrale” e hanno lasciato la bambina catatonica, sono pallide copie della fantasia onirica dei classici. Sembra che Inside Out viva di rendita (per esempio, del corto disneyano sullo scontro tra razionale e irrazionale nella testa del protagonista, Reason and Emotion, 1943) e di un budget modesto, mascherato con il fracasso ripetitivo del campo controcampo.

Certo, Gioia è una ragazzina punk carina, e la sequenza delle evoluzioni sui pattini in parallelo con la bambina in “carne e ossa” è incantevole. Peter Docter ce la mette tutta ma la nefasta influenza di film che strizzano l'occhio ai cosiddetti maggiorenni (quelli che mancano di luccicanza) lo conduce verso la mitragliata di “quadretti” che infestano Inside Out. Quanto fa ridere la replica delle “cinque emozioni” in formato adulto, con latin-lover brasiliano abitante del cervello materno, o l'assenza di pulsioni desideranti in quello di un gatto.

La Pixar sarà meglio che si rivolga alla lampada Luxo e faccia appello alle sue di emozioni.


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