lunedì 2 settembre 2019

MOSTRA DI VENEZIA. Martin Eden. Se ogni uomo è un 'isola, w gli arcipelaghi








Roberto Silvestri

Carlo Cecchi (con il cappello) e Luca Marinelli in "Martin Eden"
Martin, proletario bruno dai mille mestieri e dai mille viaggi (Luca Martinelli), con la passione della scrittura e avido di cultura, si innamora a San Francisco della bellissima e bionda Elena (Jessica Cressy), rampolla di una ricca famiglia aristocratico-borghese che conosce per aver salvato da un pestaggio brutale suo fratello Arturo. La frequenta, si fa prestare libri, migliora grazie a lei l'inglese e il francese, l'aggiorna sui suoi progressi e sui suoi eterni fallimenti editoriali, mentre frequenta i circoli socialisti, attraverso l'amicizia di un ricco, vecchio e adorato intellettuale, Russ Brissenden (un Carlo Cecchi di strepitosa potenza, piuttosto critico nei confronti di quella "porcellana cretina" della Elena), pur entrando in conflitto non solo con gli spocchiosi borghesi che hanno studiato all'università e credono di sapere tutto mentre sono ignoranti di tutto, ma anche con le posizioni gradualiste e positiviste della Seconda Internazionale e con quelle anarchico-individualiste più drastiche. Insomma "socialisti sarete voi" urla in faai borghesi, e sembra credibilmente un Toni Negri. Anche Elena si innamora di Martin, o meglio si infatua di quella energia prepotente e sfrenata, che è simile a quella della sua classe rampante e devastante borghese. Ma si crogiola anche nella propria superiorità sociale e generosità compassionevole ... Al momento giusto andrà dove la porta l'ipocrisia.
Nietsche e Spenser, per il suo evoluzionismo sociale, sarebbero da coniugate con Marx, secondo Martin, per creare una soggettività democratica responsabile e ben equipaggiata, evitando di consegnare la sorte dei lavoratori, inebetiti dallo sfruttamento intensivo, nelle mani della demagogia riformista. Gramsci non era poi così lontano da Martin Eden, negli anni in cui studiava, deviandolo in soggettivismo, l'attualismo di Gentile... Kropotkin avrebbe spiegato bene la cosa. Evoluzionismo non vuol dire sopravvivenza del più forte, ma della specie che ha più forti capacità di resistenza collettiva
Però. Attenzione. Qui non siamo a San Francisco. Ma sotto il Vesuvio.
Il romanzo di Jack London Martin Eden (1909) il romanzo americano più letto e tradotto nel mondo, è invece completamente radicato negli Stati Uniti di Theodor Roosevelt, frutto della cosiddetta “Progressive Era”, quando erano state infatti promulgate le prime leggi quasi-a-favore dei lavoratori (riduzione dell'orario di lavoro, pensione, contro la nocività, assistenza sanitaria...) che impedirono comunque per decenni la crescita e il decollo di un pericoloso movimento socialista simile a quelli europei. Non fu la generosità compassionevole, però, ad attuarle, ma lotte poderose e innovative, con picchi di autodifesa terrorista (Molly Maguires), tra massacri operai di agenti privati dei padroni e inedite convergenze tra culture proletarie diverse e anche antagoniste, ma per la prima volta obbligate a amalgamarsi.
Questo era il romanzo. Ma il film de-localizza una love story impossibile simile come atmosfera a La tragedia americana di Dreiser o a Aurora di Murnau – fortemente contestualizzata nella San Francisco all'inizio del XX secolo (dove nascerà l'America socialmente più avanzata e democratica) - in una Napoli aristocratica e decadente più che borghese, che potrebbe essere comunque qualunque città portuale europea, Marsiglia, Odessa, Porto.... E gioca con il tempo, andando avanti e indietro, tra 800 e anni '50 del '900, in una trasposizione trasognata dell'intero secolo che ha visto l'individualismo assoluto - prima evocato, poi criticato da London nel finale tragico del romanzo - strumentalizzato da aberranti e autoritarie soluzioni fasciste. Il super-uomo equivocato, non inteso come libertà responsabile di ciascun individuo, uomo o donna, bianco o nero, mai schiavizzabile ma attesa spasmodica del “dominatore biondo”, del trascinatore di popoli, dell'ottimizzatore finale di un presunto “spirito dei popoli e delle razze”, dell' uomo solo al comando cui sottomettersi. Il contrario di quel che ci ha insegnato London con questo libro. E che il regista del film comprende e diffonde con le immagini visive e sonore, sue e di altri, perfettamente. Luca Marinelli non aeva proprio il compito facile di incorporarsi nel sanculotto bolscevico wobblie spartakista partigiano no global femminista araba sessantottino settantasettino ... e devo dire che nonostante l'ardua impresa ce l'ha fatta. 

Pietro Marcello, cineasta napoletano indipendente, piuttosto indomabile nella costituzione d'immagine e nel flusso immaginario - un filmamer che maneggia il materiale di repertorio con la stessa maestria e passione di Gianbattista Marino a incastrare nei suoi poemi barocchi ogni isotopo di repertorio classicista, e che sicuramente avrebbe adorato la versione teatrale di Majakovski e Burljuk del Martin Eden visto l'amore che ha per il cinema sovietico - dopo aver vinto molti tornei underground, come il Festival di Torino, è alle prese per la prima volta con un classico della letteratura mondiale. Martin Eden forse è - per chi si fida dell'americanista Beniamino Placido, il “grande romanzo americano”. London non è stato considerato però in Italia uno scrittore di prima fascia, né da Pavese, nè da Vittorini, né da Pivano. Sia gli Accademici della Crusca che gli Accademici della Rabbia (beat) lo elogiano come avvincente prosatore per ragazzi, ma dalle “ambigue” connotazioni politiche e pericolo sesfumature esistenziali, quando i suoi romanzi diventano più autobiografici e ambiziosi (anche per Fofi) e perdono il rassicurante punto di vista di classe del Tallone di ferro (1907), prima parte di un fondamentale dittico. Chi fa parte dell'associazione segreta “Lettori di Jack London”, fondato proprio da Lenin e Trotskij, a cui Placido aderì, sa bene che la grandezza di questo sommo artista consiste nel fatto di avere scritto il racconto più anti-razzista che esista, Chinago. Ma anche dal fatto che London è impregnato di cultura biblica. Laparola chiave èer capirlo è ebraica, “hesed”. Che significa qualcosa come solidarietà, ascolto attento, affettuosa intelligenza dell'altro. In contrario, l'antidoto del “disturbo narcisista della personalità” che abbiamo visto declinare anche come “narcisismo mediterraneo” nel bel film di Costa gavras a favore di Varoufakis.Già. London è uno scrittore antico ed ha alle spalle mitologie antiche. La Widerness, la frontiera aspra e selvaggia,, è il deserto della Bibbia. Errare nel deserto (tra i ghiacci o nell'immensità del mare) fa scoprire, quando siamo soli con stessi, che abbiamo bisogno degli altri. Affettuosi e feroci. Il cinema “è un linguaggio segreto che serve per comunicarci dei segreti”. Come la letteratura.
Pietro Marcello si è anche trovato per la prima volta a duellare con il grande budget e i ferrei schemi operativi di una coproduzione internazionale, italo-francese, in questo caso, Rai-The Match Factory, e con i suoi compromessi creativi di rito, bisogna usare quell'attore, quel montatore, rifare questo, tagliare quell'altro...

Un po' come Jack London che si buttava a capofitto, nei suoi pericolosi viaggi esistenziali, nelle esperienze al limite e in capo al mondo, da Polo Nord agli atolli dell'immenso Oceano Pacifico, dalle fabbriche disumane della Costa dei Barbari ai sommovimenti sociali d'inizio '900. Uscendone a stento vivo e raccontandoci un po' cos'era il marxismo americano, quello che costituirà il primo sindacato orizzontale interraziale e poco comprensibile per chi ritiene che il movimento socialista sia una lunga litanie di lamentele paternaliste . Missione impossibile, dunque stuzzicante. E superata. Abbiamo l'imressione dopo aver visto il film che è confermata la convinzione che ogn iuomo è un'isola, come scriveva un allievo di London, Hemingway. E che sarebb ora di organizzare una sorta di Stati Uniti delle comunità isolane. Un arcipelago rosso.  

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