Roberto Silvestri
Carlo Cecchi (con il cappello) e Luca Marinelli in "Martin Eden" |
Martin, proletario bruno dai mille
mestieri e dai mille viaggi (Luca Martinelli), con la passione della
scrittura e avido di cultura, si innamora a San Francisco della
bellissima e bionda Elena (Jessica Cressy), rampolla di una ricca
famiglia aristocratico-borghese che conosce per aver salvato da un
pestaggio brutale suo fratello Arturo. La frequenta, si fa prestare
libri, migliora grazie a lei l'inglese e il francese, l'aggiorna sui
suoi progressi e sui suoi eterni fallimenti editoriali, mentre
frequenta i circoli socialisti, attraverso l'amicizia di un ricco,
vecchio e adorato intellettuale, Russ Brissenden (un Carlo Cecchi di strepitosa potenza, piuttosto critico nei confronti di quella "porcellana cretina" della Elena), pur entrando in
conflitto non solo con gli spocchiosi borghesi che hanno studiato all'università e
credono di sapere tutto mentre sono ignoranti di tutto, ma anche con
le posizioni gradualiste e positiviste della Seconda Internazionale e
con quelle anarchico-individualiste più drastiche. Insomma "socialisti sarete voi" urla in faai borghesi, e sembra credibilmente un Toni Negri. Anche Elena si
innamora di Martin, o meglio si infatua di quella energia prepotente
e sfrenata, che è simile a quella della sua classe rampante e devastante borghese. Ma si crogiola anche nella propria superiorità sociale e generosità
compassionevole ... Al momento giusto andrà dove la porta
l'ipocrisia.
Nietsche e Spenser, per il suo
evoluzionismo sociale, sarebbero da coniugate con Marx, secondo
Martin, per creare una soggettività democratica responsabile e ben
equipaggiata, evitando di consegnare la sorte dei lavoratori,
inebetiti dallo sfruttamento intensivo, nelle mani della demagogia
riformista. Gramsci non era poi così lontano da Martin Eden, negli
anni in cui studiava, deviandolo in soggettivismo, l'attualismo di
Gentile... Kropotkin avrebbe spiegato bene la cosa. Evoluzionismo non
vuol dire sopravvivenza del più forte, ma della specie che ha più
forti capacità di resistenza collettiva
Però. Attenzione. Qui non siamo a San
Francisco. Ma sotto il Vesuvio.
Il romanzo di Jack London Martin
Eden (1909) il romanzo americano più letto e tradotto nel mondo,
è invece completamente radicato negli Stati Uniti di Theodor
Roosevelt, frutto della cosiddetta “Progressive Era”, quando
erano state infatti promulgate le prime leggi quasi-a-favore dei
lavoratori (riduzione dell'orario di lavoro, pensione, contro la
nocività, assistenza sanitaria...) che impedirono comunque per
decenni la crescita e il decollo di un pericoloso movimento
socialista simile a quelli europei. Non fu la generosità
compassionevole, però, ad attuarle, ma lotte poderose e innovative,
con picchi di autodifesa terrorista (Molly Maguires), tra massacri
operai di agenti privati dei padroni e inedite convergenze tra
culture proletarie diverse e anche antagoniste, ma per la prima volta
obbligate a amalgamarsi.
Questo era il romanzo. Ma il film
de-localizza una love story impossibile simile come atmosfera a La
tragedia americana di Dreiser o a Aurora di Murnau –
fortemente contestualizzata nella San Francisco all'inizio del XX
secolo (dove nascerà l'America socialmente più avanzata e
democratica) - in una Napoli aristocratica e decadente più che
borghese, che potrebbe essere comunque qualunque città portuale
europea, Marsiglia, Odessa, Porto.... E gioca con il tempo, andando
avanti e indietro, tra 800 e anni '50 del '900, in una trasposizione
trasognata dell'intero secolo che ha visto l'individualismo assoluto
- prima evocato, poi criticato da London nel finale tragico del
romanzo - strumentalizzato da aberranti e autoritarie soluzioni
fasciste. Il super-uomo equivocato, non inteso come libertà
responsabile di ciascun individuo, uomo o donna, bianco o nero, mai
schiavizzabile ma attesa spasmodica del “dominatore biondo”, del
trascinatore di popoli, dell'ottimizzatore finale di un presunto
“spirito dei popoli e delle razze”, dell' uomo solo al comando
cui sottomettersi. Il contrario di quel che ci ha insegnato London
con questo libro. E che il regista del film comprende e diffonde con
le immagini visive e sonore, sue e di altri, perfettamente. Luca Marinelli non aeva proprio il compito facile di incorporarsi nel sanculotto bolscevico wobblie spartakista partigiano no global femminista araba sessantottino settantasettino ... e devo dire che nonostante l'ardua impresa ce l'ha fatta.
Pietro Marcello, cineasta napoletano
indipendente, piuttosto indomabile nella costituzione d'immagine e
nel flusso immaginario - un filmamer che maneggia il materiale di
repertorio con la stessa maestria e passione di Gianbattista Marino a
incastrare nei suoi poemi barocchi ogni isotopo di repertorio
classicista, e che sicuramente avrebbe adorato la versione teatrale
di Majakovski e Burljuk del Martin Eden visto l'amore che ha
per il cinema sovietico - dopo aver vinto molti tornei underground,
come il Festival di Torino, è alle prese per la prima volta con un
classico della letteratura mondiale. Martin Eden
forse è - per chi si fida dell'americanista Beniamino Placido, il
“grande romanzo americano”. London non è stato considerato però
in Italia uno scrittore di prima fascia, né da Pavese, nè da
Vittorini, né da Pivano. Sia gli Accademici della Crusca che gli
Accademici della Rabbia (beat) lo elogiano come avvincente prosatore
per ragazzi, ma dalle “ambigue” connotazioni politiche e pericolo
sesfumature esistenziali, quando i suoi romanzi diventano più
autobiografici e ambiziosi (anche per Fofi) e perdono il rassicurante
punto di vista di classe del Tallone di ferro (1907),
prima parte di un fondamentale dittico. Chi fa parte
dell'associazione segreta “Lettori di Jack London”, fondato
proprio da Lenin e Trotskij, a cui Placido aderì, sa bene che la
grandezza di questo sommo artista consiste nel fatto di avere scritto
il racconto più anti-razzista che esista, Chinago. Ma
anche dal fatto che London è impregnato di cultura biblica. Laparola
chiave èer capirlo è ebraica, “hesed”. Che significa qualcosa
come solidarietà, ascolto attento, affettuosa intelligenza
dell'altro. In contrario, l'antidoto del “disturbo narcisista della
personalità” che abbiamo visto declinare anche come “narcisismo
mediterraneo” nel bel film di Costa gavras a favore di
Varoufakis.Già. London è uno scrittore antico ed ha alle spalle
mitologie antiche. La Widerness, la frontiera aspra e selvaggia,, è
il deserto della Bibbia. Errare nel deserto (tra i ghiacci o
nell'immensità del mare) fa scoprire, quando siamo soli con stessi,
che abbiamo bisogno degli altri. Affettuosi e feroci. Il cinema “è
un linguaggio segreto che serve per comunicarci dei segreti”. Come
la letteratura.
Pietro
Marcello si è anche trovato per la prima volta a duellare con
il grande budget e i ferrei schemi operativi di una coproduzione
internazionale, italo-francese, in questo caso, Rai-The Match
Factory, e con i suoi compromessi creativi di rito, bisogna usare
quell'attore, quel montatore, rifare questo, tagliare quell'altro...
Un po' come Jack London che si buttava
a capofitto, nei suoi pericolosi viaggi esistenziali, nelle
esperienze al limite e in capo al mondo, da Polo Nord agli atolli
dell'immenso Oceano Pacifico, dalle fabbriche disumane della Costa
dei Barbari ai sommovimenti sociali d'inizio '900. Uscendone a stento
vivo e raccontandoci un po' cos'era il marxismo americano, quello che
costituirà il primo sindacato orizzontale interraziale e poco
comprensibile per chi ritiene che il movimento socialista sia una
lunga litanie di lamentele paternaliste . Missione impossibile,
dunque stuzzicante. E superata. Abbiamo l'imressione dopo aver visto il film che è confermata la convinzione che ogn iuomo è un'isola, come scriveva un allievo di London, Hemingway. E che sarebb ora di organizzare una sorta di Stati Uniti delle comunità isolane. Un arcipelago rosso.
basta con le marchette robbè ;))
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