mercoledì 3 luglio 2013

Malick, To the wonder. L'amore sacro, l'amor profano e la Frontiera


Roberto Silvestri 



Olga Kurylenko e Ben Affleck. Orizzonte alto
Anche Michelangelo Antonioni e Alain Resnais, Carmelo Bene e Maurice Pialat facevano inferocire il pubblico. Buon segno. I film davvero brutti li dimentichiamo subito, dopo un mesto sospiro... I fischi prepotenti ed estroversi circondano, adornano invece, rivivificano solo ciò che è «nuova armonia», sperimentale, misterioso, insostenibile, incontrollabile.

Davanti alla potenza delle immagini, dell'altro cinema, dell'oltre il cinema, si ha paura.
Un film non sul piacere, non sul desiderio ma sull'incontro d'amore - sacro, profano o del terzo tipo - e sul perché non possa che connotarsi come eterno, come To the Wonder (Verso il meraviglioso) di Terrence Malick, in concorso alla mostra di Venezia 2012 e ora nelle sale, indipendentemente dalla qualità della sala che lo ha accolto in prima mondiale (Toronto ebbe poi più self control), spaccando il pubblico, imbarazza e scandalizza, fa discutere. Speriamo più di altro e di alcuni filmetti di successo.

Eppure la storia è boy meet girl. L'azione mette gli apici in epoché. Ma la forza del film è nella presenza, non nell'azione. Il monologo off, sfasato dalle immagini, stile web-cam, prende il posto di comando, animando l'inanimato ma con il procedimento che si usa nei dvd quando il regista sovrappone fuori campo la sua voce agli eventi.

Qui è come riempire di fumetti i silenzi e gli spazi dell'incomunicabilità di Antonioni. E usare per i fumetti un po' di sostanza conoscitiva «cattolica» (il che se irrita i cattolici impedirà la conquista del premio Ocic). E il monologo «vibratorio» che si costruisce tra le immagini e tra le immagini e i suoni, è affidato al personaggio più misterioso e bisognoso di finish, quello che aizza alla «ricezione attiva e creativa». Chi è? Cosa fa? Cosa pensa? Perché è infelice?

Ovviamente è la «donna amata». Che diventerà il nostro «Virgilio» spiegandoci le cose un po' come fa Roberto De Gaetano alla fine di La potenza delle immagini: «l'incontro d'amore sospende la situazione, si fonda sul 'vuoto', sul 'nulla', non ha nessun tipo di sostegno (né cause né effetti preordinati), quindi richiede fedeltà, perché la sospensione della situazione e delle sue coordinate può avvenire solo se c'è una credenza che fa dell'incontro un miracolo». Quello della vita eternamente affermata, più che il miracolo della vita eterna. Torniamo alla trama che, si dice, è vagamente autobiografica.

Xavier Brdem. Orizzonte basso
Il giornalista militante ecologista Neil (Ben Affleck), che se avesse più senso dell'umorismo sarebbe Michael Moore, alle prese con i disastri economico-sociali della Philips Petroleum Company, conosce e conquista a Parigi, ama davvero a Mont Saint Michel («La Meraviglia» circondata dalle acque di tanto in tanto) e porta fin nel mortorio di Bartlesville, Oklahoma, cittadina fatiscente e cancerogena del Middle, la giovane bellezza danzante Marina (Olga Kurylenko), ucraina sposata e divorziata, con figlia di dieci anni insofferente, Tatiana. Iniziano i primi problemi di coppia, forse Neil riapre una relazione con l'amica d'infanzia, la cowgirl Jane (Rachel McAdams) e il matrimonio con Marina consacrato solo nei sogni, non risolve le cose.
 
Tatiana scappa in Europa, alle Canarie dal padre «vero». Un sacerdote cattolico che si dà da fare tra i diseredati e i carcerati della zona, padre Quintana, cioè Xavier Bardem, mette in discussione la sua vocazione perché rimuginando sulla fede scopre che il vero peccato è la stasi, il non agire, non il rischiare, la scelta libera, il coraggio, a costo della semi-trasgressione (con una suora) e della punizione: il dio che perdona è l'asso nella manica di una religione davvero speciale...Intanto Marina tradisce Neil con uno smilzo come lei che le ha regalato un'arpa eolica...

La colonna sonora minimalista, si condensa a tratti in orchestrazioni sinfoniche barocche... E il movimento e il cromatismo barocco del film, il gioco di interno invisibile e di esterno fantasmagorico, i corpi che hanno qualcosa di scuro in loro, e contemporaneamente anche zone chiare e distinte, porta alla vertigine lo spettatore non attrezzato.

Bene, ricominciamo allora dai fondamentali, ricordando che, in base all'articolo «La frase, l'immagine, la storia» di Jacques Ranciere, paragrafo uno comma due: «opporre la vita autonoma dell'immagine, concepita come presenza visiva, alla convenzione commerciale della storia e alla lettera morta del testo» To the Wonder è comunque giudicato «non colpevole».
Orizzonte medio

Un giorno il giovane Steven Spielberg scopre stupefatto dall'esperto John Ford i segreti dell'arte cinematografica. L'immagine «mobile» (non «in movimento», non è il «movimento» che cattura il cinema, ma le figure mobili) - gli spiega il regista di Ombre rosse - deve rapportarsi alla linea dell'orizzonte. In ogni piano quella linea o è bassa o è alta, mai media.

L'arte del cinema d'azione, di guerra, che è un cinema-finestra e cinema conflitto, iscrive il personaggio dentro (linea alta) o contro (linea bassa) la natura, espulso o incastrato da una certa porzione di terra o di cielo, di acqua o di fuoco, svincolato o asservito (d)alle leggi che vorrebbero determinarne la sua collocazione o impedirne la libertà e la ribellione. Avventura contro civiltà, individualismo contro comunità, amore contro morte e soprattutto vertigine, informale, paesaggio del mentale, verso l'alto o verso il basso, mai equilibrio....

Seguite invece le piroette avulse di Marina, che piega l'aria, inseguita dalla web cam e giocate con l'orizzonte basso, alto e storto. E troverete il film eccitante, incalzante, epico, anche se non soddisferà mai... l'orizzonte di attesa dello spettatore.

Terrence Malick
Forse Spielberg si sente ancora troppo «giovane» e troppo moderno per cimentarsi nel western, a differenza di Terrence Malick, che fin dall'epoca di La rabbia giovane, sa come cavalcare le terre cattive e i mari in tempesta e come scavalcare oltraggiosamente quell'immaginaria Frontiera che è l'utopia mobile americana. E ha scelto l'Oklahoma, il luogo piatto e a orizzonte totale dove cominciò la corsa all'oro e la conquista della Frontiera, la terra dei derelitti bianchi, degli Oki, considerati peggio dei cani bastardi e dei nigger, cui toccò in sorte la peggiore delle terre coltivabile, come ci canta Woody Guthrie, migliore comunque di quella assegnata alle tribù dei Lenape e degli Anadarko, strappata poi ai nativi perché vi si scoprì il petrolio...

Ripensiamo, al buio, allo svolgimento di questo film. Perché ci ha turbato. Perché questo film non è più una finestra affacciata sul mondo. Ma una tavola opaca d'informazione, sulla quale si iscrive una linea cifrata, un tabulato di linee. Altri criteri per giudicare altri film. Ps. Bartlesville sarà orrenda, ma resterà nella storia della tv. Lì nacque la pay-tv. Nel 1957.    

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