lunedì 15 luglio 2013

Sono entrato nel mio giardino. Avi Mograbi e l'isola che non c'è (ancora)

Roberto Silvestri

97 minuti colorati e in bianco e nero di pura passione per le immagini di combattimento, ma 'avulsa', ereticamente rispettosa del punto di vista 'nemico'. Esce in questi giorni nelle sale francesi, con il titolo Dans un jardin je suis entré, paradossalmente prima che in Italia, il nuovo film (quasi un leggiadro, onirico viaggio sul tappeto volante della Storia), il più personale e intimo, di Avi Mograbi, documentarista israeliano di profondità e 'obliquo'.  

Di profondità  vuol dire praticare l'estetica del bastardo e dell'ibrido (anche nei supporti: digitale, 35mm, 16mm, 8mm...), essere ostili a uno stile e a uno sguardo unico e sempre identico, qualunque argomento si affronti. Obliquo vuol dire "non di regime", fuori schema, indisciplinato, aperto, scandaloso ma inacchiappabile. Non essere ostile allo stile altrui. Mescolare realismo e surrealismo, documento e fuori campo 'poetico'.

Mograbi pretende di misurarsi non solo con una griglie di domande (troppo facile). Il suo cinema avanza risposte. E le discute. L'azzardo della prospettiva. E' questo il grande cinema politico, come diceva Emile De Antonio (il documentarista americano di origine torinese nemico numero uno di Hoover e Nixon). La fuoriuscita dall'intrigo israelo-palestinese, e dalle sue macerie ben visibili nel film,  non può oggi essere che basato sul reciproco mescolamento e aiuto. Altro che Abraham Yehoshua, con i muri e gli steccati. Come direbbe Kropotkin. Sulla mutua assistenza. Non basta riconoscersi, bisogna sopportarsi e fiancheggiarsi. In fondo la Gestapo non chiamava gli ebrei morituri muslim?

Insieme, la profonda obliquità, permette di raccontare, in prima persona singolare maschile una esperienza credibile e socializzabile, siamo ai prolegomeni di una teoria rivoluzionaria se si riesce  anche a farla diventare sentimento, personalissimo e collettivo. Se ci fate caso sono di questo tipo i doc più odiati dalle tv, commerciali e statali. Perché sono fuori legge, escono dall'unico format consentito, che è quello che sforna 'parole d'ordine', ideologia grafica, spazzatura ipnotica.Quel che ha rovinato il povero cervello intossicato dei Caldiroli.

E' dal 1989 che Mograbi rappresenta, e anche in questo suo dodicesimo lavoro, un'altra Israele. Come in Z32 - visto alla Mostra di Venezia - in cui si indagava il conflitto israelopalestinese attraverso il rimosso di un giovane militare israeliano. Proprio come, al contrario, Bouzid, Mahmoud Ben Mahmoud, Nacer Khemir o Michel Khleifi sperimentano un altro cinema arabo, immagini dense, pregne, libere che guerreggiano nel simbolico, non per frasette coraniche fatte e soprattutto strafatte.
Il filmaker israeliano Avi Mograbi (a sinistra) e il suo professore di arabo, Ali al-Azhari

Sono entrato nel mio giardino è un gioiello che fu proiettato in anteprima mondiale a Roma, sezione CineMaxxi, durante la gran festa di Mueller 2012. Ma nessun distributore nazionale lo ha finora acquistato. Sarà proibito dalla Bossi-Fini ammirare in tv le diversità che convivono e migliorano reciprocamente... Il film di non fiction è dedicato a  Marcel, cugino del padre di Mograbi, originario di Beirut. "Ebreo di religione, ma arabo di cultura, di lingua, di musica, di gusti, di speranze e di sogni", come si definivano tutti gli ebrei che dal Marocco all'Egitto sarebbero entrati in diaspora, istigati all'emigrazione in Israele o altrove, soprattutto dopo la guerra dei sei giorni. Ma anche prima.

Nel 1948 (appena nasce lo stato di Israele) Marcel parte per Tel Aviv, ma presto torna a Beirut, riparte, ritorna... Considera infatti tutto il medio oriente, da cosmopolita drastico, una geografia emozionale compatta e euroafroasiatica, e Alessandria, Beirut, Damasco, e Tel Aviv le sue città. Nel 1967, dopo l'aggressione di Nasser a Israele, non sarà più possibile, da ebreo, risiedere nelle terre costrette dal bopolarismo politico all' ostilità perenne. L'ombra di Marcel sovrasta il film. Ma non di lui si parla.

Desiderare che una ostilità, un conflitto, una collera, che sembra infinita e crescente, cessi. Di questo tratta il film. E dell'identità multipla.  Le radici familiari di Mograbi, lo provano ingiallite fotografie, sono sia in Libano che in Siria, paesi arricchite un tempo anche da fiorenti (e radicate nei secoli) comunità ebraiche. Dunque niente di meglio che farci conoscere il suo professore di lingua araba, Ali al-Azhari, uno studioso maturo che vive in una casa piena di libri, ed è suo amico da oltre 30 anni. E' nato a Nazareth, ha passaporto israeliano, è straniero nella sua terra dalla Nakba, ha una moglie ebrea ed è di religione islamica. Mograbi vuole studiare bene l'arabo. Perché? Si è innamorato di una donna che vive a Beirut, non può vederla anche se vive a 3 ore di automobile da lui. Il Libano è vietato ai passaporti israeliani e viceversa. «Incontratevi a Malta» è il commento di Alì...
Avi Mograbi, Yazmin e Ali al-Azhari al festival di Roma 2012

Non credo che tutti gli israeliani conoscano l'arabo e vogliano studiarlo come Avi. E' un segnale di razzismo? Così come i nostri colonialisti in Somalia. Quanti conoscevano le lingue somale? Li ebbe a rimproverare, per questo, perfino Craxi. Quanti di noi conoscono, per rispetto, le lingue sinti e rom? Perché non si studiano a scuola?

Ali al-Azhari sogna, come Mograbi, un Medio Oriente dove ebrei, atei, arabi, agnostici, cristiani di ogni tipo convivano in armonia. Si parla molto in questo 'double movie'. E' un duetto - tra l'ironico e il malinconico - questo doc, un 'buddies-movie', se vogliamo inserirlo in un genere hollywoodiano (e Lemmon e Matthau, il wasp e l'ebreo, un po' somigliano ai nostri eroi, che devono battibeccare per forza tra di loro, con l'arma, spesso triste, dell'umorismo).

Nonno Irahim a Damasco nel 1920
Fioccano gli aneddoti nella cucina del regista, in automobile gironzolando per Tel Aviv, nel salotto di Ali, di fronte al mare e sulla strada per la Galilea. C'è Ibrahim, il nonno di Mograbi, con grandi baffi e tarbouche in testa (quella specie di fez rosso), in una foto scattata a Damasco nel 1920 e Ali non può che commentare: "Era più arabo di me", mentre sfogliano avidamente annuari e guide degli anni trenta dove si mescolano nomi di arabi e ebrei. All'inizio del film Mograbi sogna un incontro con il nonno nella Damasco degli anni ruggenti e magari uno scambio di case (tu vai a Tel Aviv e io nella proibitssima Damasco). Ma in che lingua si sarebbero parlati? L'ebraico di Ibrahim era vacillante quanto l'arabo di Abi... 

Esce fuori un flano pubblicitario, nell' Indicateur Gédéon 1930, la bibbia professionale del medio Oriente: «Occasion exceptionnelle véritable pour 15 jours seulement». E' quello della merceria gestita da MM. Toufic e Mograbi, 72 rue Herzl, Tel-Aviv. E che dire dell'agenda di Damasco del 1936 (che intreccia il calendario musulmano, cristiano e ebreo)? C'è il rischio della nostalgia per i pascià, come se si rimpiangessero i governi assolutisti del passato.
L'intifada vista dai palestinesi (2005)

Per fortuna entra in campo la piccola Yazmin, la figlia, molto sveglia, anche davanti alla cinepresa, che Ali ha avuto da una giovane moglie ebrea. Ha 10 anni. Vive in Galilea, in un villaggio strappato agli arabi. L'olio palestinese è diventatao olio di Israele. A scuola i compagni le fanno pesare la sua origine 'mista'. Il parco è 'proibito ai non israeliani'. La cosa non garba aYazmin,  umiliata nella sua doppia identità e incattivita Dans un jardin je suis entré. Appunto.   

Le risposte non sono condite di retorica, però. Quando Yazmin viene condotta nei luoghi che appartenevano alla sua famiglia araba, e ora sono insediamento israeliano, e i cartelli, in perfetto stile coloniale, ammoniscono che non sono graditi gli stranieri, e il parco giochi per bambini appare sinistro, altro che gioia, e feriscono gli sguardi ostili lanciati dal fuori campo, e la casa non è più quella di Ali, anche se è la stessa, e qualche automobile passa veloce, la piccola non regge alla tensione. Piange e scappa. E' nello scarto tra utopia e crudezza del presente che diventa possibile un nuovo incontro. Scarto non è differenza. E' campo di tensione. E le nuove generazioni saprammo come lavorare sulle tensioni dello scarto.

Mograbi naturalmente parla a lungo anche del suo amore libanese, ma 'parigino' di set, della difficile passione per una donna 'dell'altra sponda'. Come un film davvero riuscito, perché fa mondo,  quell'amore non è fuori dal mondo, ma ne crea un altro, accanto, di mondo: «La non separazione tra juifs et arabes, è un mondo dove questa storia d'amore si colloca».
L'intifada vista da un soldato israeliano

Ed eccoci a Beirut, nel quartiere dell'Ippodromo, dove la famiglia Mograbi viveva prima dell'emigrazione, e da dove una voce off femminile scrive a Habibi, a Avi, ormai lontano, rientrato nello stato che si autoimprigiona con un muro e con lo slittamento indecente tra stato e religione (analogamente al wahabismo saudita), e ci immerge nella bellezza e dolcezza della terra del cedro: «Les Palestiniens ont été expulsés d’une géographie, de leur pays. Nous, les juifs arabes, nous avons été déracinés du temps, nous ne pourrons jamais revenir». Eppure. Qui nasce una doppia forma di resistenza basilare. Dai piccoli no di ciascuno di noi. Dalla deriva, dalla fuga. Da un doppio gioco dell'immaginario. Dal non voler più vivere chiusi. 




Avi Mograbi (in ebraico: אבי מוגרבי‎) è nato nel 1956. Ha studiato filosofia all'università di Tel Aviv e arte  al Ramat Hasharon Art School. E' stato aiuto regista di molte produzioni commerciali locali e straniere e ha lavorato nella pubblità prima di esordire nella regia. E' anche produttore, sceneggiatore, montatore e operatore. "Per uno solo dei miei occhi", uscito anche in Italia, è stato in competizione a Cannes nel 2005. 

Filmografia in inglese: 

Deportation (1989, corto);
The Reconstruction (1994)
How I Learned to Overcome My Fear and Love Ariel Sharon (1997)
Happy Birthday, Mr. Mograbi (1999)
August: A Moment Before the Eruption (2002)
Wait it's the soldiers, I have to hang up now (2002, short)
Detail (2004, short)
Avenge But One of My Two Eyes (2005)
Z32 (film) (2008)
Once I Entered a Garden (2012)










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