mercoledì 6 settembre 2023
Diario della Mostra di Venezia n.80. 29 e 30 agosto
Roberto Silvestri
La Preinaugurazione
Già la pre-inaugurazione esibisce segnali se non “eversivi” piuttosto antipatici. Intanto. Per la presenza più visibile del solito della polizia inassetto ninja e di sbarramenti di sicurezza e sistemi di controllo e tracciabilità degli ospiti non più giustificati. Esempi. Per quale motivo, a Covid-19 addomesticato, sussiste l'obbligo di prenotazione digitale dei posti che istituisce rituali sadici come la sveglia “blasettiana” alle 6 di mattina? Perché a sale non completamente piene si impedisce l'ingresso degli accreditati in fila, come avviene a Cannes?
Inoltre per la presenza rituale-non-rituale del ministro della cultura Sangiuliano che nel suo breve intervento fa già venire i brividi quando invita a guardare i film, come fa lui, “con gli occhi e il cuore dei bambini”. E uno ripensa immediatamente alle leggi censorie degli anni 50 (quelli sì di piombo) con Luigi Gedda e i comitati civici e i magistrati compiacenti a far crociate bigotte contro il cinema “adulto”, che corromperebbe i sani costumi “italici”. Così film molto importanti furono fatti a brandelli o messi direttamente al rogo.
E poi, altro segnale indigesto: perché “italianizzare” in modo così imbarazzante la manifestazione? Perché ben sei film nazionali in gara? Una esagerazione. Direbbe Castellitto jr. : manifestazione di strapotere, non di potenza vitale. Però. Pure Cannes lo fa. Certo ma Cannes ha da anni scelto la strada dell'autopromozione tricolore glamour, anche perché Unifrance sa produrre opere di qualità in ogni parte del mondo, Stati Uniti inclusi. RaiCinema e Cinecittà no. Solo colpa dello sciopero a Hollywood o qualcosa di più inquietante?
Per esempio è stato cancellato uno degli appuntamenti culturali più fecondi della manifestazione. Il “classico del cinema muto” con raffinato accompagnamento musicale, che gemellava la Mostra del Lido alle Giornate del cinema muto di Pordenone, una delle poche manifestazioni cinematografiche italiane di prestigio davvero internazionale. Ma sempre temuta, ignorata, boicottata dalle amministrazioni di destra della città friulana, che non ne comprende (per primitivismo capitalistico?) il senso. Al suo posto lo star system. La provinciale con la diva maggiorata Gina Lollobrigida, certo obbligatorio omaggio a una attrice amata e che ci ha lasciato quest'anno. E magnifico affondo, più che calligrafico e più che neorealista, di Mario Soldati, il più liberal degli antifascisti, contro quella parte monarchica del paese, di conti e marchesi che nessuna riforma agraria osò espropriare, dunque ancora viva e potente negli anni 50. Classe dominante che controllava immaginario, economia e sessualità del nostro provinciale paese, come se si fosse ancora nel medioevo (il film di Costanzo sul caso Montesi tornerà su queste radici malate dell'Italia dei femminicidi di oggi). Ma forse gli occhi di un bimbo sono attratti solo dalle forme procaci della povera ma bella protagonista, la Lollo, aggredita e minacciata costantemente da uomini sadici e donne perfide, e perfino dal bel giovine che l'ama e che lei adora. Il documentario di Orson Welles “Portrait of Gina” è dedicato all'italico vizio di affossare e dimenticare le nostre grandi personalità artistiche, dalla Duse a Caruso, e conferma dunque una interpretazione adulta di Lollobrigida, che faceva parte dell'elite senza potere, per dirla all'Alberoni. Nella parte finale del documentario, quando Welles riesce a intervistare la super star che conquisterà anche Hollywood, ecco la scena che - secondo Marco Giusti – segnerà la censura del piccolo film. “Io pago molte più tasse del produttore dei film”. Gli artisti potranno anche essere in vita 'leggende viventi del popolo' ma si devono sfruttare fino all'osso, da vive e da morte. La mostra “I Mondi di Gina” è visitabile fino all'8 ottobre 2023 presso l'Istituto Centrale per la Grafica - Palazzo Poli di Roma, in via Poli 54 (lato fontana di Trevi). Ore 10.00 – 19.00 dal martedì alla domenica (ultimo ingresso ore 18.00). Lunedi chiuso. Ed è stata ideata e curata in tutta fretta dal sottosegretario del MIC Lucia Borgonzoni e dalla Presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia. Entrambe presenti alla preinaugurazione della Mostra d'Arte Cinematografica numero 80.I documentari di Welles, girati nel suo periopdo do esilio dagli Stati Uniti (malati di maccartismo) sono tutti stupendi, acuti, curiosi, divertenti come questo. Ne ha girato uno sugli esistenzialisti parigini, uno sui baschi, considerati i più osteggiati"indiani d'Europa", uno sulla corrida, e l'atavico sacrificio rituale dei tori (nello straordinario film su "Guernica" di Yervant Gianikian si vedranno le immagini di una corrida organizzata per raccogliere fondi pro esercito repubblicano durante la guerra civile) e su Isidore Isou, il poeta lettrista che gli spiega come ampliare la vocalità, cioé la coscienza sonora delle lettere che eistono già e di quelle che non esistono ancora...In un film cino-tibetano presentato fuori concorso, "Il leopardo delle nevi", di Pema Tseden, morto a 53 anni poco prima della Mostra dopo aver portato a Venezia ben tre film, sul rapporto non sempre semplice tra allevatori e bestie feroci e carnivori, c'è una piccola lezione di alfabeto tibetano e scopriremo che le loro 30 lettere hanno sonorità affascinanti e profonde.
Mentre scriviamo arriva la brutta notizia della morte del regista genovese e genoano Giuliano Montaldo. Uomo di cinema di prsigio mondiale, di cultura finissima,di umorismo contagiante e di altissima passione civile. Lui utilizzava gli attori giusti per ogni personaggio, senza chiedergli il luogo di nascita. Era un grande artista. Non un burocrate dell'ufficio passaporti, che avrebbe impedito a Adam Driver di interpretare Enzo Ferrari, come pretenderebbe Pierfrancesco Favino. A cui consiglio la visione di un film tedesco girato in Italia nei primi anni 70, di Koch, Spqr. In questo film la protagonista tedesca chiede a Pier Paolo Pasolini di essere assunta in un suo film. Da memorizzare la risposta di PPP.
30 agosto 2023. Comandante e El Conde
A proposito. Edoardo De Angelis dirige il film d'apertura, scritto con Sandro Veronesi, Comandante. Apertura italiana vera, non come quella annunciata di Guadagnino, annullata per lo sciopero Usa di attori e sceneggiatori. Qui i soldi (15 milioni di euro) sono della Indigo e di RaiCinema. Un po' ci si inquieta anche davanti al bio-pic (vanno alla grande nei festival) che glorifica però un alto atto di civiltà umana e marinara. Salvatore Todaro, comandante fascista (nel fuori campo) della regia Marina Militare, nell'ottobre 1940 affonda con il suo sommergibile Cappellini un mercantile belga in navigazione fantasma nell'Atlantico che lo aveva attaccato. Cercherà poi di portare in salvo i 26 marinai fiamminghi sopravvissuti all'affondamento come prescrive la legge del mare, trainandone la scialuppa, finche non si spezza il cavo, e ospitando poi i profughi a bordo fino a porto sicuro (nelle Azzorre neutrali), non senza pericolo per il suo stesso equipaggio. Dunque Todaro viola gli ordini ricevuti, per un motivo eticamente superiore. Fa come Dirty Harry. Todaro tradisce. E' infatti un braccio destro di Junio Valerio Borghese, un combattente della X Mas, anzi l'autore del simbolo di quella brigada Wagner ante-litteram. E probabilmente se non fosse morto in guerra nel 1942, lo avrebbe seguito nella repubblica di Salò, tradendo il re, e perfino nella giravolta filoamericano, tradendo Duce e Hitler, per superiori valori (in quel caso discutibili: l'anticomunismo). Esplicito il senso del film. Se perfino un fascista radicale sa cosa sono le leggi del mare perché il ministro Salvini continua a ignorarle, promulgando leggi in contrasto con la nostra costituzione? Peccato che il gioco dei dialoghi troppo scontato e i movimenti della cinepresa in uno spazio così angusto e complicato come un sommergibile, troppo contratti, con un insistere ripetitivo sui primi piani (ricordate invece i virtuosismi di Petersen?) ci ricordino quasi più le barzellette tv di Walter Chiari sui sommergibili che i film che secondo gli storici del cinema 'inventarono il neorealismo' perché scaraventavano il mondo autentico a scardinare ogni canone, format e clichés. Erano girati negli anni della seconda guerras mondiale da Francesco De Robertis (Mine in vista, Uomini sul fondo, Alfa Tau), con la consulenza non casuale di Rossellini, o scritti, nel dopoguerra da Marcantonio Bragadin (Siluri umani). Un film che ha dunque il merito di ristudiare un momento aureo del nostro passato cinematografico. Ma, a proposito di Walter Chiari, cade su ridicoli snodi di trama, forse causati dai vincoli di coproduzione, come la presenza di un traduttore dal fiammingo in italiano, incomprensibile perché Todaro parlava francese (almeno così afferma) e i fiamminghi parlano piuttosto bene il francese. A meno che non sia un raffinato rimando al libello nazionalista di Baudelaire sulla “inguaribile stupidità” dei belgi e degli alti ufficiali della marina italiana. Vedremo altri alti marinai in conflitto con le leggi del mare nel Caine di Friedkin. Ma lì non c'è un errore di dettaglio, e l'occhio è mobile nonostante lo spazio angusto (aula di corte marziale). Però va un po' più alla radice delle cose. Da buon lettore di Norman Mailer, Friedkin cita quel che Red risponde a Martinez in Il nudo e il morto: “Io che cos'ho contro gli stramaledetti giapponesi? Credi che mi importi se si tengono questa giungla fottuta? Che differenza fa per me se Cummings si prende una promozione?” “Il generale Cummings è una bava persona” disse Martinez. “Non esistono la mondo ufficili buoni” proclamò Red.
A proposito di “ufficiali buoni” il generale Pinochet per metà Cile è una brava persona. Dopo il suo sanguinoso colpo di stato ha arricchito pesantemente le tasche della media e dell'alta borghesia. Perché gli Stati Uniti, commossi dallo zelo nell'eseguire gli ordini di Kissinger, da tanta generosità anticomunista, e da tanta mansuetudine nei loro confronti, hanno fatto in modo che la loro moneta valesse il doppio delle altre valute sudamericane, inebriando la bilancia dei pagamenti di Santiago. Insomma Pablo Larrain esagera un po' nel “vampirizzare” fin quasi a renderlo demoniaco, come se fosse Hitler, un piccolo servo dei poteri forti di origine basca, proprio come l'anarchico-socialista che ha ucciso, Salvador Allende. Le classi agiate cilene devono in qualche modo scusarsi agli occhi del mondo per aver sguinzagliato il loro cane. Ma da pit bull a Dracula, che è un po' il simbolo stesso del capitalismo finanziario (come scriveva in un bel saggio di tanti anni fa Franco Moretti), che rende “sempre più ricchi i ricchi”, senza preoccuparsi di godere mai alcun “bene diurno”, il passo è troppo lungo. Questo El Conde che non muore mai, e la sua compare Vampirella Margaret Thatcher, circondati da famelici familiari, nel grottesco in bianco e nero, troneggiano come insopportabili e sacralizzati e dunque invincibili divinità maligne. E non criminali comuni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento