domenica 4 settembre 2016

VENEZIA 73. Mel Gibson in grande forma e la guerra giusta del soldato Desmond



Mariuccia Ciotta
VENEZIA

Fuori concorso ma in vetta alla 73ma Mostra di Venezia, Hacksaw Ridge diretto da Mel Gibson con un cast tutto australiano, a parte il protagonista, Andrew Garfield, già allenato ad arrampicarsi sulle pareti nelle vesti dell'Uomo ragno, e qui sulle corde intrecciate di una scala che porta all'inferno di Okinawa nelle vesti di Desmond Doss, il primo soldato disarmato della storia a meritarsi la medaglia d'onore del Congresso.
Il sangue piace all'attore-regista di Braveheart e La passione di Cristo, autopsia di fotogrammi aperti, vene sanguinanti e arterie che schizzano l'essenza umana, liquami e materia cerebrale, pance sventrate, arti mozzati... Seconda guerra mondiale. Eppure Gibson fa ricorso al Mago di Oz, al suo incanto, per raccontare la storia vera di Desmond Doss, avventista del settimo giorno, che si arruolò con la promessa di non toccare il fucile e per questo finì sotto corte marziale, prima di ottenere il ruolo di “soccorritore militare” tra il disprezzo, e i pugni, dei commilitoni.
Sotto il cielo radiante dell'isola giapponese, i fantasmi ballano insieme ai caduti di Iwo Jima, ai quali Clint Eastwood ha reso omaggio, dalla parte dei “musi gialli” con le sue lettere zeppe di lacrime, e che Mel Gibson, a sorpresa, fa salvare dal suo supereroe non da fumetto. Oltre ai suoi compagni, Doss soccorse anche due nemici.

L'incrocio con Salvate il soldato Ryan è non tanto nella carneficina, scrupolosamente documentata da Gibson, ma nella luce calda del fuori campo (di battaglia), nell'America di F.D. Roosevelt con le sue promesse oltre la Grande Crisi di casette color pastello, girl e boy biondi, e paesaggi aperti come la Virginia di Desmod Doss. Non si uscì dalla Depressione grazie alla “guerra giusta”, come si racconta, e lo vediamo attraverso gli occhi di un ragazzo obiettore di coscienza, che il sabato, anche sul fronte, non “lavorava” (“ma i giapponesi sì”) e che si rifiutò di uccidere. Il New Deal finì lì. Dorothy non tornò mai più nel Kansas. Gibson lo sa e dispiega l'assurdo. Entrare in guerra senza sparare un colpo, combattere il “demonio” senza mai assomigliargli.
In una cittadina gioiosa dai cromatismi brillanti, Desmond bambino quasi spacca la testa per gioco con un mattone al fratello, quasi spara con la pistola al padre (Hugo Weaving, Matrix) alcolizzato, violento ma buono, sotto shock per la Grande guerra, e, innamorato dell'infermiera che non può che chiamarsi Dorothy (Teresa Palmer, Lights Out) entra nell'esercito per “servire la patria”, ma senza il rischio di far male a qualcuno. Il film segue il canone del genere con il sergente grintoso (Vince Vaugh) “signorsìsignore” di Full Metal Jacket nella versione scanzonata di Heartbreak Ridge e racconta di come il “codardo” finì per salvare 75 feriti dalle baionette del nemico, calando uno a uno i soldati con una corda a cappio in una notte, stringendo la bibbia al petto, giù per il dirupo fino alla postazione della 77ma divisione di fanteria, mentre i giapponesi infuriavano tra i cadaveri alla ricerca dei sopravvissuti.
Gibson fa fuoco e fiamme in un parossismo che diventa irreale, su un terreno cosparso di umanità, in controluce stroboscopica e ritaglia nel buio la faccia di Andrew Garfield, posseduto da una forza sovrumana, non fanatico religioso né pacifista integrale, soltanto “soccorritore”. Desmond sfilerà tra le ali di un esercito sfinito, i compagni anneriti dalle bombe, come un angelo. Forse anche in memoria del padre del regista che si trasferì dallo stato di New York in Australia per evitare ai figli la guerra (neanche “giusta”) in Vietnam. Sui titoli dei coda di uno dei film più belli visto al Lido, il vero Desmond Doss ci dice che davvero chiedeva a dio di trovarne “ancora uno” di quei corpi maciullati e ancora vivi.






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