Ripubblico qui sotto un articolo uscito sul manifesto il 26 marzo del 2012, in occasione della presentazione alla stampa romana - quando il compianto cinema Trevi era vispo e vegeto - del documentario di 84' a lui dedicato da Sabrina Digregorio, Finding Joseph Tusiani - The poet of two lands. Ha collaborato alla sceneggiatura Fabio Pagani. Le musiche sono di Katia e Marielle Labeque e di roberto Fiore (che con Andreas Pizzo ha curato il suono in diretta). Il montaggio è di Giorgia Costantino.
I legami con la cultura italiana nel mondo e dunque con la cultura del mondo in Italia, si rafforzerebbero e i rapporti con la nostra emigrazione secolare (e con il recente e prezioso flusso di immigrati) sarebbero più fecondi e rispettosi se film magnifici come questo venissero trasmessi dalla televisione pubblica, così ricca di canali tematici spesso sprecati, invece di subire un'oculatissima pratica di disinteresse e annientamento. E' la cultura la prima tecnica di difesa, che ci permette, in certe occasioni, di non abbassare a non abbassare la guardia. Contro la corruzione, la mafia o la pandemia. E ricordiamo che proprio ieri nel paese nativo di Tusiani, San Marco in Lamis, parte della cittadinanza ha sfidato papa e stato, affollando pericolosamente una chiesa per il rito pasquale, in piena peste Covid19. Avessero sentito le parole di un loro connazionale colto e sensibile, invece che gli improperi quotidiani di politici spoetizzanti, forse non avrebbero neanche concepito un gesto così oscurantista, clericale e criminale.
Sabrina Di Gregorio ha successivamente realizzato un altro film-ritratto-autoritratto Full circle- The Kostabi Story (2012), sempre tenendosi nella zone di confini tra fiction e non fiction, e coinvolgendo nel racconto sull'artista più inguaribilmente tardopop, critici internazionali e star della controcultura come Suzanne Vega, Michel Gondry e un davvero inedito Ornette Coleman.
Qualche giorno fa è stato presentato a Roma, nella sala Trevi della Cineteca Nazionale, Finding Joseph Tusiani - The poet of two lands, un film di Sabrina Digregorio realizzato nel 2011. La giovane cineasta pugliese ha usato un procedimento spiazzante per rendere omaggio, con finezza, a un prestigioso poeta americano - originario di San Marco in Lamis (Foggia) dove nacque nel 1924 - ma non conosciuto come merita, anzi vero «buco nero» della nostra cultura.
Scrittore di lingua inglese, latina, spagnola, italiana, ha pubblicato anche sette raccolte di poesie in dialetto del Gargano. E' autore di due romanzi ed è traduttore dei classici italiani del medioevo, del rinascimento, del barocco, del Risorgimento e della contemporaneità.
Professore emerito al Lehamn College di New York, primo «americano» a vincere il Greenwood Prize della Poetry Society d'Inghilterra, Joseph Tusiani è un intellettuale «impegnato» che spiega come questo aggettivo sia stato piuttosto frainteso in Europa. Non vuol dire «essere di parte». Ma essere «parte di».
Professore emerito al Lehamn College di New York, primo «americano» a vincere il Greenwood Prize della Poetry Society d'Inghilterra, Joseph Tusiani è un intellettuale «impegnato» che spiega come questo aggettivo sia stato piuttosto frainteso in Europa. Non vuol dire «essere di parte». Ma essere «parte di».
Figlio di una sarta e di un calzolaio (che conobbe nel Bronx giù adulto, a 24 anni), Maria e Michele Pisone, testimone attivo del new deal rooseveltiano, Tusiani fece parte di quel gigantesco movimento proletario, anche migrante, che dal 1861 a oggi, ha costruito la potenza economico culturale Usa anche opponendosi, con ogni mezzo necessario, ai disegni e ai crimini, alle intimidazioni e allo sfruttamento dei conglomerati industriali che sottosviluppano il mondo approfittando di ogni tipo di crisi, economica ma anche pandemica, per mangiare i pesci più piccoli e accrescere i profitti.
Arturo Giovannitti |
Insomma come raccontare questo omaggio originale al compaesano Tusiani, l'autore del lungo poema The Return, scritto dopo il suo primo ritorno nel paese dove era nato e si era laureato in lettere (a Napoli nel 1947)?
Il genere è un classico, il «documentario biografico». Lo standard vorrebbe una impostata voce fuori campo, più didascalie esplicative, uso di materiale di repertorio, meglio se raro, per fare «tessuto musicale d'epoca», e alcune poesie declamate da professionisti. Niente di tutto questo.
Sabrina Digregorio |
Il genere è un classico, il «documentario biografico». Lo standard vorrebbe una impostata voce fuori campo, più didascalie esplicative, uso di materiale di repertorio, meglio se raro, per fare «tessuto musicale d'epoca», e alcune poesie declamate da professionisti. Niente di tutto questo.
Sabrina Digregorio (già autrice di due documentari, Melfi e In bilico-Voci narranti e di un film d'animazione in 3D, Il paese della quiete), mette in scena piuttosto un ammaliante «road movie» della memoria e nella storia, in forma di intervista - intima più che bio-bibliografica - tra lo scrittore e l'attrice Daiana Giorgi (nei panni di una studiosa di letteratura) che si snoda dalla agiata casa anni quaranta di Manhattan di Tusiani, East 72nd street, alle viuzze-quinta teatrale del paese natio, sfiorando le idee-forza della sua poetica, lo sradicamento, la lotta, l'amore, il lavoro, la voce, il montaggio indocile tra «le due terre», la seduzione...
Un dialogo «obliquo» che non si permette le facili semplificazioni del «post hoc ergo propter hoc»: non è il dolore dell'emigrazione, la follia della guerra, l'orrore del razzismo, l'autolesionismo del sessismo, a causare, a provocare la costruzione del «verso indignato», ma è il pulsante materiale extra semiotico al lavoro, il gioco asimmetrico tra razionalità e irrazionalità, Pasolini avrebbe detto tra "ideologia del pensiero e ideologia della forma", qualcosa insomma che sfugge alla pedanteria del ragioniere: allo spettatore il compito di unire i tanti tasselli, ora che una ricca cultura dell'immagine lo ha dotato di un «know how» degno di un pittore cubista o espressionista. Tutt'al più qualche suggestione sonora per aiutarlo, dall'epopea agra di West Side Story ai primi collage postmodern di Erik Satie. E una serie di interventi affidati a esperti e critici non accademici, da furio Colombo a Richard Pena, da Derek Bowen a Gertrude Bocchimuzzo.
Tusiano è il «Simbolo di una emigrazione rara e alta, che si conosce poco e non si celebra mai» ha ricordato Furio Colombo, introducendo la proiezione di un film a cui ha collaborato, visto che lo conobbe nei 20 anni di permanenza americana, anche da direttore dell'istituto culturale italiano di New York e, senza troppo aiuto da parte della sinistra light e hard, di ri-tessitore dei rapporti con «l'altra Italia», quella una e bina. Emigrazione «rara e alta», come hanno confermato i rappresentanti della Regione Puglia e dei «pugliesi nel mondo» alludendo anche ai disoccupati e ai senza mestiere che hanno fatto l'America: «Saranno sempre le babucce di velluto a discendere le scale della storia, mentre le scarpe di legno le risaliranno». Parola di Voltaire.
Tusiano è il «Simbolo di una emigrazione rara e alta, che si conosce poco e non si celebra mai» ha ricordato Furio Colombo, introducendo la proiezione di un film a cui ha collaborato, visto che lo conobbe nei 20 anni di permanenza americana, anche da direttore dell'istituto culturale italiano di New York e, senza troppo aiuto da parte della sinistra light e hard, di ri-tessitore dei rapporti con «l'altra Italia», quella una e bina. Emigrazione «rara e alta», come hanno confermato i rappresentanti della Regione Puglia e dei «pugliesi nel mondo» alludendo anche ai disoccupati e ai senza mestiere che hanno fatto l'America: «Saranno sempre le babucce di velluto a discendere le scale della storia, mentre le scarpe di legno le risaliranno». Parola di Voltaire.
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