lunedì 2 dicembre 2013

"Venere in pelliccia", il gioco perverso di Roman Polanski

manifesto del film
Mariuccia Ciotta


L'estasi nel martirio del concedersi schiavo, godimento estremo fino all'umiliazione e alla morte, Venus im Pelz dell'austriaco Leopold von Sacher-Masoch si trasforma nel divertissement all'acido di Venere in pelliccia (Venus à la fourrure) diretto da Roman Polanski, sui nostri schermi proveniente da Cannes e ispirato all'adattamento teatrale di David Ives, co-sceneggiatore del film.

Wanda von Dunajew, la perversa complice di Severin, il “masochista” del romanzo, si materializza nella voluttuosa Emmanuelle Seigner, attrice e moglie del regista, primadonna in un film a due voci, lei e Mathieu Amalric nelle vesti di Thomas, regista teatrale dalle ambizioni sproporzionate al suo calibro, un po' ridicolo e molto frustrato.
Emmanuelle Seigner in "Venere in pelliccia"

La dimensione erotica originale si infrange subito, dichiaratamente, fin dall'ingresso in scena di Vanda non più Wanda - quella della Venere allo specchio di Tiziano, ispiratrice di von Sacher-Masoch - ragazzona in guepière, fradicia di pioggia, fuori il temporale tuona, arrivata in ritardo ai provini. L'abbigliamento da avanspettacolo contrasta con la pièce, e Thomas la guarda disgustato, Vanda dimostra ignoranza abissale, è l'ennesima attricetta da quattro soldi sfilata sul palco per tutta l'esasperante giornata del regista. Chi può interpretare la femme fatale ottocentesca tra le squinzie ruminanti chewing gum?
Polanski, lui sì perverso, si attrezza a manipolare la materia grezza della post-modernità e a estrarre oro dalle rape in un crescendo di capovolgimenti inattesi. La sua Vanda perde man mano consistenza umana, diventa l'Ava Gardner di Il bacio di Venere, la statua vivente di Kurt Weill trasferita sullo schermo da William A. Seiter ('48).

Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric
Gioco di smontaggio e rimontaggio del cinema, ancora una volta, dopo Carnage, sezionato nello spazio chiuso delle quinte, il film si inoltra nel luogo rarefatto dell'immaginazione. Vanda non esiste, il suo nome non figura nell'elenco dei provini, è venuta dal nulla, fantasma del regista. E, calata nella parte, l'improbabile aspirante recita alla perfezione le battute della pièce con un'altra voce, morbida tanto l'altra era urticante, diventa sceneggiatore e regista, corregge lo sgomento Thomas, modifica l'arredamento di scena, controlla le luci, comanda. Impugna la frustra virtuale e punisce l'ometto incapace - i registi senza memoria, arroganti e dal budget milionario – in un aggiornamento dello schiavo amoroso.
Thomas cadrà ai piedi non tanto della donna ma di Polanski, che smaterializza sempre più la sua Emmanuelle, trasfigurata in un'apparizione onirica, attraversata da lampi elettrici, Baccante e vendicatrice, musa crudele e poi di nuovo Vanda in un'intermittenza vertiginosa di ruoli. 
Emmanuelle Seigner in "Venere in pelliccia"
 

Di lato, c'è anche lo sbeffeggiar di genere, maschio/femmina seduttivi secondo copione, l'attrice polposa che vuole la parte a tutti i costi e il regista che non resiste mentre la moglie lo chiama al cellulare. Spazzatura che Polanski mette in bella vista per esasperare l'effetto del tocco magico di un cinema mai servo dello spettacolo.
Così torna lo spirito di Wanda von Dunajew iniettato nella pietosa disoccupata con la giarrettiera che si muta in Salomé danzante nei sette veli a pretendere la testa dei tanti Thomas. 
Roman Polanski

 




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