domenica 1 dicembre 2013

Touki Bouki 2. Mille Soleils di Mati Diop, la nipote (davvero) di Djibril

Magaye Niang in Mille Soleis


 di Roberto Silvestri

Mati Diop, cineasta senegalese
I cineasti figli di papà. Le dinastie di registi occidentali. Non ci sono solo i Gassman e i Tognazzi, gli Steno e le Sofie Coppola, i Thomas Harlan e Samantha A. Fuller. Anche l'Africa ha le sue dinastie di cine-griot viaggianti. Anche il Senegal. 

Un album di Wasi Diop
Il compositore Wasi Diop che fa molta musica da film ha una figlia filmaker che è nipote del suo illustre fratello, morto prematuramente. Lei si chiama Mati Diop e ha 31 anni. E' anche attrice emergente (per Claire Denis e Antonio Campos)  e direttore della fotografia. E ha prodotto in Francia alcuni corti e medi prima di questo Mille Soleils di 45' che ha avuto molto successo al festival di Marsiglia (è il luogo della anteprima mondiale non è casuale) e al recente festival di Torino, dove è stato proiettato nella sezione Tff Doc. 

Stephanie Biddle, star in Karmen di Joseph Gaye Ramaka
Già dal titolo si capisce che questo lavoro è dedicato con amore allo zio, all'autore di La piccola venditrice del Soleil - il Soleil è il quotidiano più diffuso a Dakar - allo zio Djibril Diop Mambety, famoso anche per Hyènes, da Durrenmatt, per come riuscì a ottenerne i diritti, e per aver interpretato in Italia svariati western spaghetti.  

L'idea di partenza del film nasce però dal capolavoro di Djibril, il suo esordio nel lungometraggio dopo i corti Contras City e Badou Boy del 1968-1969, Touki Bouki, il film più sperimentale della storia africana, che, secondo il padre di Mati contiene anche la storia profonda di tutta la famiglia, radici comprese. 

Magaye Niang e Myriam Niang in Touki Bouki (1973) di Djibril Diop Mambety
E parte il film, fiction e non fiction, perché anche Freud fantasticava prendendo appunti, raccontato in prima persona singolare femminile come insegnano a fare nelle scuole di cinema più avanzate (e lei viene dalla rinomata Fresnoy).

Una proiezione notturna proprio di Touki Bouki-Il viaggio della jena, in uno slargo di Dakar. L'anno scorso. A destra e a sinistra sfilano le automobili. In mezzo qualche sedia e uno schermo arrangiato. C'è molto pubblico, anche bambini e ragazzi. Ma perché in piazza? Non ci sono cinema a Dakar? Uno d'essai ce n'era...Quello fondato dal cineasta senegalese Joseph Gaye Ramaka. Non saranno mica riusciti a incendiarlo davvero i fondamentalisti islamisti furiosamente ostili al suo Karmen, una versione afro davvero troppo libertaria e sensualmente possente della Carmen di Bizet! 

Mati Diop
Comunque, parentesi a parte, aspettando la fine della proiezione per incontrare e festeggiare un attore del film, il protagonista maschile Magaye Niang, e chi ne curò la colonna sonora, la super star Wasis Diop, fratello di Djibril e suo braccio destro musicale, il pubblico è folto, interessato, plaudente e divertito. 

Myriam Niang in moto
Magaye Niang è arrivato fin lì e non senza difficoltà. Abita all'altro capo della città. Vive solo. Di lavoro fa di nuovo il pastore. Ha una bella mandria di zebù dalle lunghe corna che attraversano disinvoltamente la tangenziale. Stivaloni e cappello da cowboy. Sembra Richard Boone, per la grinta. O Eli Wallach. A fine lavoro si mette in marcia. 

Ecco chi ha rubato la moto di Mory. Mille soleils
Ma entrano nel film come fosse un incubo antiche scene cruente e gore di mattatoio, quasi provenienti da quell'altro film più celebre... Il tassista, però, chiede troppi soldi. Magaye deve anche andare a piedi. Poi incontra i vecchi amici, un po' di racconti e aneddoti, di discussioni politiche accese (il Senegal vive una crisi sociale e economica non da niente), una bella bevuta in un retro bar pieno di uccelletti fastidiosi... 

Mille Soleis
Insomma Magaye arriva solo alla fine della proiezione. Dice ai ragazzini, "sapete che sono io il protagonista del film che state vedendo?" E loro ridacchiano e lo prendono in giro: "Ma questo è un bel ragazzo e tu sei un vecchio con la barba!" Poi però Wasis Diop lo presenta. E' vero. Era lui. E lui racconta, quaranta anni dopo, quell'esperienza assai poco fiction. C'era la sua vita, la sua storia lì dentro. Tanto che gli viene voglia di chiamare Myriam al telefono, pochi minuti perché costa un'occhio, la donna che ha amato ma che ha lasciato partire. E che adesso vive in America, dopo una parentesi francese che l'ossessiva ripetizione di un hit di Josephine Baker rendeva obbligatoria. La commozione i due riescono a metterla fuori campo. Ma non è meno dolorosa. 

Touki Bouki, il piano è riuscito. Si parte!
Ma. Che cos'era Touki Bouki-Il viaggio della jena? Cosa aveva di speciale. Era un film a soggetto, ma libero di fraseggio, a colori, lungo 85', girato nel 1973 dall'enfant prodige del cinema senegalese, l'altissimo e bellissimo nobile wolof in stato d'allarme Djibil Diop Mambety, e proiettato a Dakar per la prima volta, ma per soli 4 giorni, nel 1975. Suscitando entusiasmo tra i giovani, ma anche strepiti e clamori tra i conservatori. Eppure era stata una prima scelta della Quinzaine di Cannes e aveva vinto un premio al Festival di Mosca. 

Touki Bouki
Cosa scandalizzava? Lo stile spezzettato. Quella sintassi che lo spettatore deve reinventare mettendo insieme come fosse un puzzle scene di documentaristica flagranza (le donne che cucinano e lavano i piatti, i poliziotti e i postini stancamente al lavoro, la vita nei quartieri poverissimi) con flash onirici e surreali, imperfezioni tecnichi e  metafore politiche, romanticismi e sesso sugli scogli alla Russ Meyer o Desiré Ecare, fluidità di racconto e improvvisi detour ellittici...Il dramma e l'ironia spinta fino al sarcasmo e alla satira. Insomma. Il racconto di un griot, che è insieme fiaba e saggio critico, carezza sensuale e Brecht, urlo e sentimenti delicati. Una storia d'amore fino all'ultimo respiro. Godard c'entra. Da Marsiglia arrivava Jean Paul Belmondo, il ladro charmant che casualmente uccide un poliziotto, fugge con Jean Seberg ma si dovrà separare da lei, quandò resterà stecchito sul selciato, al termine di A bout de soufle.

Magaye Niang oggi
Si raccontava infatti di due ragazzi anticonformisti e dotati di notevole capacità profetica, l'ex pastore Mory e la scatenata studentessa Anta (Myriam Niang), che nella prima del film - o è una mia allucinazione? - vediamo guidare la motocicletta gigantesca di Mory, con le corna di zabù sul manubrio - decidono di partire per Parigi perché in Senegal non c'è prospettiva di lavoro e di crescita.

Magaye Niang
Un mondo è finito ma un altro mondo non si è in grado di costruire. A Mory rubano la moto. I soldi non ci sono. Si cercano. Si trovano. Furti e truffe metropolitani, l'ultima ai danni di un ricchissimo omosessuale che si porta Mory nella camera di un hotel di lusso. Alla fine lei, elegantissima come Bette Davis parte, su un piroscafo da favola, inseparabile baule dietro, diretta a Marsiglia, che sembra proprio quello di Irving Rapper in Perdutamente tua, altre che barcacce improbabili. Ma lui resta. Forse non è riuscito del tutto a tagliare i ponti con il suo passato. Forse deve cercare la moto (non la troverà più). Forse vuole fare il pastore e portare l'America a Dakar, invece che inseguirla vanamente.

Mati Diop
Niente di speciale? Raccontato a parole un film non vuol dire molto. Bisogna vederlo raccontarsi. E se lo vedete, Touki Bouki, vi renderete conto perché questo film, all'epoca come oggi, fa lo stesso effetto bomba dei saggi-film di Godard, e non solo sotto e sopra il Sahara.Il cinema africano nacque in ritardo (tra gli anni 50 e 60), naturalistico e didattico. Troppi cittadini resi analfabeti dal colonialismo. Bisognava recuperare raccontando i fondamentali (storia, etica, politica, religione, modernità contro tradizione, rapporto uomo donna...) in immagini. Era la generazione dei padri. Sembene Ousmane, per esempio, visto che siamo in Senegal. 

Mati Diop
Ma Djibril apre una seconda fase del cinema africano. Che si svoncola dal colonialismo e dal neocolonialismo anche nelle forme. Yuossou 'Ndur e Manu Dibango sono altro dal rock e dal pop. Ritmi e metafore sono differenti, non meno seducenti. Così Djibril lascia il testimone alla nipote Mati. Ne vedremo di magie, scientificamente impostate, prossimamente.   




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