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domenica 20 novembre 2016

Frantz, l'uomo che ho ucciso


Mariuccia Ciotta

Frantz, presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2016, è in sala. A Roma, al cinema Dei Piccoli.

Già Ernst Lubitsch nel 1932 aveva trasferito sul grande schermo la pièce di Maurice Rostand (L'homme che j'ai tué) con il titolo Broken Lullaby, star Lionel Barrymore, insuperabile. Ma François Ozon è tornato in quel cinema perduto con una “fotocopia” grondante ammirazione, e non solo per il bianco e nero del presente, mentre il passato è un falso a colori, piuttosto per la fragranza a proposito di nazionalismi che riconfigurano le frontiere.
Come può un padre tedesco nella Germania del 1919 accogliere un giovane reduce francese, anche se possiede una faccia lunga e pensosa da violinista e suona divinamente, proprio come il figlio Frantz, il fantasma, l'amico immaginario di Adrien (Pierre Niney, Yves Saint Laurent), che un giorno depose fiori sulla sua tomba nel paese uscito sconfitto dalla prima guerra mondiale.
Ozon, anti-identitario, si mimetizza, e, non più regista di sessuo-commedie tipo 8 femmes e Jeune et Jolie, sprofonda nella storia di Adrien, sensibile all'arte, visitatore inatteso in un piccolo villaggio tedesco dove incontra per prima cosa gli occhi trasparenti di Anna (magnifica Paula Beeer, premiata alla Mostra di Venezia). Ha intenzione di chiedere perdono. Ma di più, pretende di sostituire il morto, di essere lui. Frantz era così bello e indifeso nella trincea, e lo guardava attonito... L'intreccio amoroso sfuma in una sensualità pervasiva, oltre i giochetti a sorpresa di Ozon che si muove qui sulle corde dell'investigazione morale dentro un'atmosfera sospesa e misteriosa.

Quel che è vero scambia alchimie ingannevoli con i flash-back, il cinema dopotutto, e riserva rivelazioni e promesse impossibili da mantenere perché la frontiera, edificata dal mondo circostante, c'è sempre tra l'uno e l'altro. La carrellata sui feriti francesi in sovrapposizione a quelli tedeschi dice lo sdoppiamento di Adrien/Frantz, l'assassino e la vittima.
Racconto di un'amicizia mai nata e fortissima al di là dell'odio reciproco tra tedeschi e francesi - che brindano alla morte dei “figli” con la birra gli uni e con il vino gli altri - il film di Ozon spiega il composto chimico della futura Germania nazista tra le righe del poema di Rostand, un testo buono per ogni stagione.
La morte alimenta il desiderio di vivere, dirà Anna davanti al quadro di Manet, “Il suicidio”, esposto al Louvre, luogo frequentato dal triangolo erotico del Bertolucci di Dreamers. Da lontano si vede Truffaut, anche qui, Jules e Jim.



domenica 4 settembre 2016

VENEZIA 73. "Frantz", Ozon profumato di Lubitsch


Mariuccia Ciotta
VENEZIA

Già Lubitsch aveva trasferito su grande schermo la pièce di Maurice Rostand (L'homme che j'ai tué) con il titolo di Broken Lullaby (L'uomo che ho ucciso, '32), folgorante, star Lionel Barrymore. Ed è stato un azzardo per François Ozon dirigere il remake, Frantz (concorso).
Girare in tedesco, fuori dalla Francia “mi ha costretto a reinventarmi” dice il regista, ed è una fortuna perché al posto dell'effervescente satira sessuo-sociale coloratissima del suo cinema ha scelto un thriller emozionale in bianco e nero, aspirante al Leone d'oro.
Altro paradosso contro la guerra, come Hacksaw Ridge di Mel Gibson, Frantz si chiede se è possibile piangere sulla tomba di un tedesco ucciso sul fronte della prima guerra mondiale.
La storia è quella del giovane francese Adrien (Pierre Niney, Yves Saint Laurent), suonatore di violino, sensibile all'arte, che va a trovare in Germania, piccola città di provincia, la famiglia di Frantz, il nemico ucciso, con l'intenzione di chiedere perdono. Era così bello e così indifeso nella trincea, e lo guardava attonito, ma Adrien sparò e cadde su di lui, amorevolmente...


Ozon si muove sulle corde dell'investigazione morale dentro un'atmosfera sospesa e misteriosa, e scava nello sguardo dell'eterea Anna (Paula Beer), la fidanzata inconsolabile, che divide la casa con i genitori di lui. Adrien prenderà il posto della sua vittima, sarà il doppio di Frantz, e farà innamorare chi è destinato a odiarlo dispensando ricordi (flashback “realistici” a colori) di un'amicizia mai nata.
L'odio reciproco tra tedeschi e francesi si materializza, i primi brindano alla morte dei figli con la birra, i francesi con il vino. Macerie e risentimento sono il composto chimico che spiega la futura Germania di Hitler. Ma Ozon svicola e va verso il melodramma, l'amore che divide, e il passato che non si può modificare. Un po' Il nastro bianco di Haneke, ma con una sottile linea erotica che volteggia non solo tra Anna e Adrien. C'è anche Frantz, lo spettro, oggetto del desiderio di entrambi. E' la morte che alimenta il desiderio di vivere, come il quadro di Manet, “Il suicidio”, esposto al Louvre, luogo frequentato dal triangolo di Bertolucci in Dreamers, e adorato dal trio di Ozon. Da lontano si vede Truffaut, Jules e Jim.