sabato 24 febbraio 2024
Storia obliqua del cinema 2. Come farei un film su Mussolini. Laura Salza incontra Samuel Fuller (a Cannes per “Il grande uno rosso”)
Ho ritrovato questi preziosi fogli in cantina. Si tratta di un articolo non pubblicato dal manifesto 44 anni fa (in quel caso per mancanza di spazio, anche per le poche pagine, allora, dedicate alla cultura e all'arte dal quotidiano comunista). E' l'incontro della giornalista Laura Salza con Samuel Fuller è avvenuta il 18 maggio 1980 all'Hotel Montfleury di Cannes, alle cinque di pomeriggio di una giornata grigia e piovosa. Il grande uno rosso era stato presentato sulla Croisette due giorni prima, in concorso, e accolto senza l'entusiasmo meritato, almeno dallo zoccolo duro festivaliero.
Ricordo invece di aver visto il film crescente emozione ben tre volte in quei giorni, inseguendolo nelle varie repliche all'Ambassade o allo Star di rue d'Antibes (allora era possibile senza perdere il ritmo, rivedere i film apprezzati, passare lunghi pomeriggi in spiaggia e intervistare per ore i cineasti preferiti anche se non sei nessuno. Oggi il festival sembra piuttosto un campo di lavori forzati per addetti ai lavori compiacenti. La dittatura pr ti concede al massimo 10 minuti, e se proprio conti qualcosa).
Molto più entusiasmo era stato riservato dalla stampa scandalistica a uno dei protagonisti del film, l'ultimo rampollo della celebre famiglia Carradine, Bobby, di cui si era scoperto l'affettuoso legame con la bella Tessa Taylor (figlia della super star Robert) in vacanza in quei giorni in Costa Azzurra.
Essere liquidato dai critici di fascia A come il “solito Fuller di serie B” non sminuisce la bellezza di Il grande uno rosso, oggi considerato tra i più potenti e autentici film sulla seconda guerra mondiale, visto che era anche frutto di sconvolgenti esperienze dirette. Ma il fatto “e una certa schizzinosità dei grandi esperti ai quali non interessava intervistarlo, aveva un po' innervosito” - scrive Laura Salza - il grande regista che finalmente era riuscito a girare il film della vita.
Steven Spielberg nel 1998 dedicherà a Fuller le scene iniziali di Salvate il soldato Ryan, quelle della carneficina dei soldati americani durante lo sbarco in Normandia, perché furono tagliate dai produttori di Il grande uno rosso per la loro insostenibile crudezza.
Laura Salza, nata nel 1944 e morta nel 2015, “bellissima, affettuosa, spiritosa, appassionata” come scriveva nel neccrologio Nuova Informazione (organo della Federazione nazionale della stampa) era una giornalista politicamente impegnata (vicina alla sinistra del partito radicale) che scriveva di cultura, moda, spettacolo sui periodici Rizzoli. Evidentemente le avevano respinto la proposta (“a chi interessa Fuller?”) e ci aveva girato l'intervista con gentilezza e affetto per un'impresa che considerava molto vicina. Poliglotta (parlava perfettamente il russo), grande viaggiatrice, personalità esuberante divisa tra lavoro e militanza politica e sindacale negli anni 1970-’90 è andata in pensione nel 2005. Era stata sposata con Lucio De Carlini, segretario della Camera del Lavoro di Milano. (r.s.)
di Laura Salza
All'inizio del nostro incontro Sam Fuller sostiene di aver già bevuto setto, forse otto Bloody Mary, il suo cocktail preferito. Ecco forse la spiegazione per le sue grandi risate e delle romanze improvvisamente intonate che hanno inframmezzato l'intervista. Che infatti comincia con la lirica.
Fuller: Caruso? Forza ragazza, parliamone. Quando ero piccolo, prima nel Massachussetts, poi a New York, dove ci siamo trasferiti, mia madre aveva tutti i dischi originali. Dischi di quel materiale che si rompe. Delicatissimo. Ho una nipotina, Samantha, che è abituata ai dischi di plastica e non glieli ho mai fatti vedere. Insomma: ho tutti i dischi di Caruso incisi prima della prima guerra mondiale. Ho anche qualche opera e le registrazioni di concerti tenuti negli anni Venti. Mi piace Caruso, come mi piace il Bloody Mary. Io vado all'Opera. Verdi e Puccini? Non posso fare paragoni. Sono grandi compositori? Il meglio! Le racconto un episodio. Siamo nel 1953, 1954. Io sono nel mio ufficio alla Fox. Una specie di bungalow. Nel bungalow accanto sono al laovro due compositori che scrivono canzoni. Io lavoro e sneto il piano. Scrivono la musica per A Many Splendored Things
Salza Ah, per L'amore è una cosa meravigliosa di Henry King? Love is a many-splendored thing?
Fuller .:No, no. Il libro dal quale il film è tratto si chiamava A Many Splendored Thing. La donna che l'aveva scritto, Han Suyin, era era un autore sstraordinario, che non aveva bisogno di scrivere “Love is...” perché tutto il libro parlava d'amore. Perciò l'aveva intitolato A many splendored thing. Duque sento i due compositori (il paroliere Paul Francis Webster e il musicista Sammy Fain ndr), da-da-da. Poi un giorno sento qualche nota in più: dadadada, dadadata, dadada. E un giorno: daaaaaang; poi ancora un attimo di silenzio e ancora due o tre note. Io mi dico: questa musica l'ho già sentita. Insomma hanno preso l'aria di “Un bel dì vedremo”, hanno separato le note inserendone alcune e il gioco è fatto: era nata un'aria nuova. Ma loro lo sapevano che, sotto, c'era la grande intuizione musicale di Puccini ed erano sicuri che quella musica sarebbe piaciuta al pubblico. Avevano ragione (e qui Fuller si mette a cantare: un po' di Puccini, un po' di L'amore è una cosa meravigliosa, accompagnandosi con il tintinnio dei cubetti del ghiaccio del suo Bloody Mary).
Io chiamo immediatamente la mia segretaria, “figli di puttana, sono, ladri, ladri, ladri e figli di puttana”. Glielo ho anche detto, ma loro mi hanno risposto tranquillamente: “Nessuno se ne accorgerà”. Come infatti è avvenuto. Quella canzone piace perché è quella canzone, non perché assomiglia a Puccini. E anche Verdi. Quando ero giovane, alla fine dell'anno scolastico c'era sempre una safilata davanti ai genitori, che venivano a ritirare il diploma finale. L'ambizione di tutti era di aprire la sfilata portanto la bandiera americana. Mia madre, che voleva che avessi quell'onore, per alcuni pomeriggi mi fece fare la prova in casa. Io, attento, la seguivo. Così quando a scuola si è trattato di scelgiere, il compito è stato affidato a me, che sapevo farla benisismo. Lo sa perché mia mamma mi aveva fatto esercitare? Perché lei in casa la musica ce l'aveva, prorpio quella che suonavano a scuola. Era la Marcia trionfale dell'Aida. Noi, nel Massachussetts, Verdi lo conoscevamo. Io sono sicuro che in Italia non lo conoscete. Voi lo usate per le cerimonie scolastiche?
Salza: No
Fuller: Stupidi figli di puttana. E' un autore così bravo! (canta la marcia dell'Aida agitando il bicchiere, nel quale è stato versato un altro Bloody Mary, mentre dall'altoparlante del Montfleury continuano ad essere chiamati i boss del cinema cercati al telefono. Fuller ogni volta si interrompe. Ma non è il suo nome quello chiamato).
Quello che cerco di dire è che, al loro paese, gli autori sono poco amati. Verdi, in Italia, sarà considerato un autore di arie, mntre in alcuni paesi lo considerano un grande compostore, e in altri un genio.Io sono stato allevato al suono della musica italiana. Allora, quando ero piccolo,i dischi costano 60 cent. Cinque dolalri di oggi. Caruso era famoso negli Stati Uniti. Io mi ricordo “Ridi pagliaccio...” (canta l'aria allargando le braccia).
Salza: Lei ha visto Caruso cantare?
Fuller: No, per forza, ero troppo giovane. Mia madre sì. L'aveva visto e sentito cantare in Cavalleria rusticana e Pagliacci, due opere che vengono presentate sempre insieme perché sono brevi. I biglietti per andare al Metropolitan, allora, si potevano acquistare dal barbiere. Costavano 5 dolalri, 60 di oggi. Erano molto cari ed era poca la gente che poteva permetterseli. Anche mia madre faceva fatica a trovare i soldi. Ma, come lei, c'erano altre 10 mila donne, 10 mila uomini che risparmiavano per andare a sentire Caruso. Risparmiavano perché sapevano che quell'uomo avrebbe dato loro della gioia.
Salza: E lei, regista, dà gioia ai suoi spettatori?
Fuller: Oh no. A me piace che la gente, guardando i miei film, si senta colpevole.
Salza: Parliamo di Il grande uno rosso. C'è una scena del film che ricorda Furia umana (White Heat), interpretato da James Cagney. Un uomo ha appena sparato a un altro quando entra in scena un terzo che annuncia la fine della guerra. Quando lei ha girato questa scena e l'ha scritta, ancora prima, nel libro Il grande 1 rosso, aveva in mente il film di Cagney o l'ha inventata?
Fuller:Non ho visto il film di Cagney. Poi lui faceva tutti gangster-film. Io l'ho vissuta in Cecoslovacchia quella scena. Avevamo combattuto fino alle 4 del mattino. Anzi fino alle 4 e 10'. Una battaglia vera, non da film. A quell'ora, dal bosco, arrivano verso di noi 300, 400 uomini che urlano. Urlano che dobbiamo raggiungere tutte le postazioni rimaste senza contatti radio per riferire che a mezzanotte e un minuto è stata annunciata la fine della guerra. Noi avevamo combattuto fino a pochi minuti prima e fino a pochi minuti prima – a guerra finita – avevamo sparato ai tedeschi. Nei giorni successivi ci furono grandi imbarazzi: perché i tedeschi e gli americani e gli inglesi cercavano di dimostrare che gli altri avevano sparato dopo la mezzanotte, che gli altri erano colpevoli. E' un ricordo molto vivo, che mi ha dato l'idea per il libro e per il film: perché il voglio dimostrare l'ipocrisia della guerra. Basta un pezzo di carta firmato perché un soldato non sia più un soldato ma un assassino. Ma se tu non conosci quel pezzo di carta? Se vivi in un bosco dove non c'è inchiostro, non c'è carta, non c'è orologio, che si fa? Cè anche un precedente storico.Nel 1815 ci vollero 19 giorni di combattimentoprima che l'americano Andrew Jackson e il canadese Lafitte fossero informati che la guerra tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non era stata dichiarata. Era circolata la voce. Tutti ci avevano credeuto.
Salza: Lo stesso accade oggi in Giappone. E' solo di poco tempo fa la notizia che su un'isola giapponese è stato trovato un soldato che non sapeva dcella fine della guerra...
Fuller:Ogni due o tre anni trovano uomini che sono ancora nascosti sulle montagne, che se seontono tintinnare un bicchiere come faccio io si nascondono. Sentono rumori e non pensano che sei tu che stai andando a fare l'amore con il tuo uomo in una zona appartata. Gli hanno insegnato che l'americano è pronto a tutti gli inganni: perché dovrebbe credere a un elicottero che passa sopra la sua testa annunciando con l'altoparlante che la guerra è finita? E se fosse il nemico? Il governo giappnoese ha ammesso che ci sono ancora parecchie migliaia di persone, sulle isole deserte dell'arcipelago giapponese, che ignorano la fine della guerra. Quando vivi normalmente, sai che la mattina ti alzi, vai in bagno, bevi il tuo succo d'arancia, fai colazione. Che cosa dovresti temere? Ma quando sei in guerra e ti hann oinsegnato che ogni momento è buono perché qualcuno ti uccida, come fai a non sospettare di tutto? E' un po' la storia di quelli che gridano “Al lupo! Al lupo!..” Credo che ci fosse la stessa situazione in Italia, anche se io non ci ho mai combattutto. Io ho combattutto in Sicilia.
Salza: La Sicilia non è in Italia ?
Fuller:No. Se lei ha visto il film, ricorda la frase di Vinci che dice: “Io non sono italiano. Io sono siciliano”. Era difficile allora spiegare, in Sicilia, che noi andavamo a liberare l'Italia. E questa opinione, oggi, l'ammettono anche i generali. Basta guardare la cartina geografica e le zone occupate dai tedeschi. Che senso aveva partire dalla Sicilia? Noi, in Algeria, eravamo stati addestrati per sbarcare su un'isola che si chiama Sardegna. Mentre eravamo sulle navi ci comunicarono che andavamo invece a liberare la Sicilia. Che cosa significava a noi non importava, cosa potevamo saperne? Quanti nemici, questa era l'unica domanda che ci importava fare. D'altronde, il mio comandante era uno abituato a mangiare bene, a bere bene, a fare il bagno tutte le mattine, a giocare a bridge e a poker: dopo poteva andare a trovare i motivi giusti per spiegare a 12 mila soldati perché andavamo in Sicilia e non in Sardegna? Nel mio libro la scena in cui Vinci viene preso in giro per le sue origini siciliane è molto più lunga. Anche il mio film era molto più lungo. 4 ore e 20 minuti. Ma l'abbiamo dovuto tagliare, tagliare, tagliare. Quello che c'è nel film io l'ho vissuto. Sulla nave che mi portava in Sicilia, c'era un sergente simile a quello che ho messo nel libro e nel film. Si faceva gioco di un mio amico da anni, Nat Callura, di Filadelfia, di origini italiane, sotto le armi con me. Lo chiamava in tutti i modi, peggio dlele parole che ho portato sullo schermo. Callura non diceva mai niente. Un bel giorno succede che dobbiamo fare un'azione, andiamo a Caltagirone e questo sergente, un figlio di puttana che non dimenticherò mai (non è Lee Marvin , che nasce da 5 o 6 sergenti messi insieme) disse: “Mandate un uomo, mandate lui” idicando Callura. Ma Callura dice che ha paura e se la fa addosso. Allora lui, il sergente, fa vedere che lui, non essendo siciliano, è coraggioso. E va lui a fare l'azione, nella quale lascia la pellaccia. Molti sergenti sono morti così, non perché uccisi dal nemico, ma uccisi dai soldati che non li sopportavano più.
Salza: Torniamo al Grande Uno Rosso. Solo lei e Jerry Lewis (che ha girato The day that clown cried) avete fatto un film sui campi di concentramento nazisti...
Fuller: Alt, alt. Lei, gli altri, parlando di campi di concentramento in Europa, io di quelli negli Stati Uniti. Molti hanno parlato dei campi europei. Ma dopo Pearl Harbour, gli americani hanno raccolto tutti i giapponesi in campi in California e in Arizona. Io ho fatto un film su questa verità che è costata molto ma che pochi hanno avuto il coraggio di ricordare, di riferire le cose che dico. E si capisce perché. Quando si è colpevoli, si preferisce tacere. Io ho parlato con il mio giardinere (è il Giako del film). Mi ha dato l'indirizzo del campo d concentramento in California in cui erano rinchiusi suo padre e sua madre. Cosa faccio dire io nel film al giovane catturato da un giapponese? “Come puoi combattere qualcuno che ha gli stessi occhi che hai tu? Come puoi combattere al fianco di quelli che mettono nei campi di concentramento la gente con la faccia come la tua?”. Ho avuto molte rogne per quella sequenza. Mi hanno chiesto tutti dove avevo preso queste informazioni. Ho riposto. Me lo ha detto il mio giardiniere, viene da me tre volte la settimana, potete chiedere a lui. Nessuno ha mandato nessuno a controllare. Ho fatto un film in cui un soldato americano uccide un prigioniero comunista. Bene. Quando usì il film la stampa reazionaria mi ha attaccato perché facevo vedere un soldato che uccide un prigioniero di guerra. E la stampa comunista (per esempio il People World) mi ha accusato perché facevo vedere un soldato americano che uccide un prigioniero di guerra. Ci sono persone di ben scarso valore, che non danno nessun contributo alla civiltà, ma rappresentano solo partiti politici. (Su una immaginaria macchina da scrivere Samuel Fuller fa finta di trascrivere gli ordini: John George, 27 anni, deve essere fucikati stanotte perché fascista, no no, John Geroge, 27 anni, deve essere ucciso stanotte perché comunista, no no, John George, 27 anni, deve essere ucciso stanotte perché socialista, no perché è del partito del New Jersey o di qualche altro cavolo. Sghignazza. Si prende ilk naso e fa gli occhiacci.
Io i partiti li ho cacciati fuori dalla mia vita. Ho i miei amici. Esco a cena con loro., bevo con loro. Non voglio funzionari. Lei lo sa cosa sono i funzionari?Sono i premier. I cancellieri. I dittatori. Sono persone molto importanti. Ma adesso lei è fortunata, tutti quelli che sono qui sono fortunati sono fortunati, perché c'è la bomba H, la c osa più bella del mondo. E' così bella che non ci sarà più una grande guerra, non può più esserci. Tutte quelle persone importanti non possono più permettersi di arricchirsi con la guerra. Con la bomba H, dicono gli scienziati, ci sarebbe solo distruzione. Naturalmente dal 1946 ci sono state guerre, ma piccole. Corea, Vietnam, Afghanistan, Shoganistan, Smakisistan, Fazanistan, ah, ah. Ma è questa, ancora una volta, l'ipocrisia. Perché i morti sono sempre lontani. Chi è vivo è vivo. Chi è morto è morto.
Un giorno si farà un film con i veri nomi. Come Mussolini. Un uomo con un a testa, con le orecchie, con gli occhi. Un uomo che ha fatto la storia. Un rivoluzionario. Un grande capo socialista, un giornalista, un gangster leggendario, come Jesse James, il più grande dittatore. Che un giorno, guardandosi attorno, ha visto qualcuno che mangiava piatti di spaghetti più grandi dei suoi. Perché io no? Si è chiesto?E allora è andato dai grandi capitalisti a dire: non preoccupatevi, ci sono qui io, li scriveràò io i discorsi per Vittorio Emanuele, sono più bravo. Gli operai mi ammireranno. Le donne saranno dalla mia parte. Creerò un'organizzazione che controlelrà tutto. E si mise la camicia nera (grandi scoppi di risate).Era sposato, Trovava molte donne. Questa è proprio una bella storia di un uomo venduto, che non avrebbe mai pensato, un giorno, di finire appeso per i piedi. La più fortunata è stata la moglie: perché l'amante per i piedi, gliel'ha appesa qualcun altro. La fine di questa storia dovrebbe coincidere con quello stupido discorso fatto da quello stupido di Vittorio Mussolini, quando ha dovuto giustificare le stragi fatte dagli italiani in Etiopia. Come hanno dovuto fare gli americani per il massacro di My Lai, in Vietnam. Hailé Selassié era già andato a Londra a chiedere aiuto. Aveva detto che l'Italia stava diventando troppo forte e che aveva trovato un grande e forte amico, la Germania. Ma gli americani non gli hanno dato ascolto, perché non amano i re, i monarchi. Ecco l'ipocrisia degli uomini: se selassié si fosse presentato come un uomo qualunque sarebbe stato ascoltato dagli americani. Insomma Vittorio, che era stupido, disse c he quei morti in Etiopia non facevano impressione: che erano come tanti fiori rossi sbocciati all'improvviso. Che macabra immagine gli avevano suggerito quei cadaveri....
Samuel Fuller potrebeb parlare per ore. Gli piace discorrere di storia, ma le prime gocce di pioggia ci costringono a lasciare la terrazza dell'hoter Montfleury e a rientrare. Ha ancora un'intervista in programma, dobbiamo lasciarci. Ancora un minuto per ricordare che ha lavorato in n film di Wim Wenders sulla vita di Dashiel Hammett. Un'esperienza che gli ha lasciato una grande voglia di ridere.
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