Roberto Silvestri, da Pordenone
Marion Davies nel poster di Pordenone 38 |
Giornate del cinema muto numero 38.
Fino al 12 ottobre.
Una festa unica che si svolge
quest'anno dal 5 al 12 ottobre nel teatro Giuseppe Verdi, restaurato
anzi rifatto ex novo e molto male, trasformato in una specie di
gigantesco Vespasiano di marmo bianco, durante la gestione cittadina
della Lega di una volta.
Al primo piano del teatro poster,
merchandising, rarità bibliografiche e dvd del cinema muto,
introvabili altrove. Ho comprato un Protazanov a 16 euro. Gvozd' v
sapage. Del 1932. Censuratissimo da Stalin perché prendeva in
giro, fin dalle scaturigini, i processi stalianiani diretti da Andrej
Januarevic Vyzinskij. Qui si svolgono le presentazioni dei libri e
dei progetti che riguardano il 'silent movie'. Mercoledì Marco
Giusti presenta il suo lavoro su Polidor e Polidor, ovvero un
saggio che costa 20 euro su un grande clown e comico delle origini,
Ferdinand Guillaume (1887-1977) che con Fellini girò Le notti di
Cabiria e La Dolce Vita, e sul fratello Edouard,
Perché il clima di Pordenone è
diverso dagli altri?
Non è solo un appuntamento (tra i più
prestigiosi del panorama italiano cinematografico, se non il più
autorevole) diretto da un americano a Roma, Jay Weissberg. Rispetto
al predecessore inglese, lo storico David Robinson, il giornalista di
Variety ha abolito completamente le lunghe o brevi presentazioni dei
film serali, consegnando tutto quel che c'è da dire sui singoli
film, sulle specifiche cinematografiche e sui “movimenti” e le
sezioni al catalogo (13, 14...), ricco e esaustivo.
Ma è proprio l'unico “festival”
che si svolge in Italia nel quale la lingua principale è l'inglese.
Un meeting e un melting pot di
specialisti che vengono da tutto il mondo, restauratori, filologi del
cinema “primitivo”, prima che di appassionati e di storici
generici e di critici e di pubblico che comunicano con la lingua
mondiale. Qui al bar, tra un bicchiere di bianco e l'altro, prima di
pranzo, due anziani del posto col Gazzettino in mano parlano
di.. cinema e non di contanti o carte di credito?. “C'è un film
bellissimo”.... “Dove, al cinema muto?” “Ma che cinema muto!
a Cinemazero... con quell'attore di cui parlano tutti...
bravissimo.... ah si Ad Astra... mi hanno detto che è bellissimo”.
Tutto in dialetto. Sorprendente.
Il cinema muto, a lungo andare, fa
benissimo anche al cinema sonoro... E lo rende anche più
comprensibile. Venendo qui scopriamo che le idee iconiche che
credevamo moderne sono invece antichissime. Sguardi in macchina e a
colloquio con lo spettatore? Ben prima di Billy Wilder e J.-L. Godard
ritroviamo il vezzo brechitiano in Il bacia cuoio cioé
The Leather Pusher di Harry A. Pollard con Reginald Denny (Usa,
1922), gentleman boxeur costretto ai guantoni dopo il crack
finanziario del padre miliardario. Il suo manager, a dieci minuti
dall'inizio del film, racconta la trama a chi è arrivato un po'
tardi allo spettacolo... Questo Reginald Denny, bellezza charmant, è
una star dell'epoca muta che ha avuto anche tanta parte nella storia
dell'industria bellica, perché ha inventato cose ingegneristiche che
più tardi sarebbero state utilissime per costruire i droni. Il
rapporto tra cinema e ingegneria non si limita dunque alle scoperte
radar di Hedi Lamarr o alle origini universitarie di Alfred
Hitchcock...
Prendiamo poi In the sage brush
country di William S. Hart, il primo grande cowboy di Hollywood.
Il cattivissimo, una sadica 'jena ridens' messicano, rapinatore con
tanto di sombrero, rapisce la bella ariana e la vuole concupire. Lei
si barrica, lui prende l'ascia e sta sfondando la porta, proprio come
Jack Nicholson in Shining. Kubrick era molto più colto visivamente
di quanto potevamo immaginare. Arriva l'eroe Hart (che in realtà
vuole liberarla, ma per rapinarla...) e.... Il film è del 1914.
L'eroe è sempre inizialmente non un 'senza macchia e senza paura',
ma proprio un fuorilegge che si caracolla con il suo gilé fantasia
(Marilyn Monroe non a caso farà una frecciatina contro Hart in
Quando la moglie è in vacanza), un rapinatore o un criminale
inferocito e incarognito dalla malvagità generale, che poi ritrova
sempre un surplus di umanità in più. Rispetto ai buoni ipocriti e
ai cattivi inguaribili che lo circondano, siano donne di malaffare e
traditrici dagli occhioni prensili o loschi individui incrociati nei
saloon che vogliono solo raggirarlo. Sarà l'unico, lui e il suo
fido, velocissimo cavallo pezzato King, capace di farsi ipnotizzare
dal messaggio che angeliche creature ingenue, in genere adolescenti
bionde, candide d'espressione e di bianco vestite, sanno trasmettere.
E' quello che succede in “The aryan”, del 1916, notare il titolo,
piena epoca Nascita di una nazione, nel quale in nome di istanze
patriottiche (la guerra anche commerciale contro il Messico) si
riappropria della sua identità wasp e tradisce i suoi complici
criminali che sono tutti brutti, ispanici e indiani. Non c'è che
dire, Hart è proprio il simbolo dell'imperialismo razzista senza
vergogna In un bellissimo corto sonoro e a colori del 1939,
“Tumbleweeds” di William Berke, Hart, ormai anziano, ma sempre
vestito da cowboy, rievoca la grande corsa alle terre rubate ai
Coman
Dicevamo atmosfera unica. Piuttosto
calorosa, anche per sottolineare gli accompagnamenti musicali, non
più solo il pianista solista ma spesso piccole band, di raffinatezza
inusuale. Qui non ci sono claque, uffici stampa obbligati ad
applaudire calorosamente, né interviste da piazzare, purtroppo.
Dicevamo del programma, fittissimo, di
questo numero 38. Una cinquantina gli appuntamenti cinematografici,
divisi in quindici sezioni. Quelle personalizzate, oltre a Hart e
Reginald Denny riguardano Mario Bonnard, ovvero i giri europei di un
cineasta italiano dopo la grande crisi della nostra industria per
colpa della grande guerra; le super star francesi Mistinguett (le
gambe più “assicurate” della storia, ma anche le mani erano di
rara potenza seduttiva) e Suzanne Grandais. Oltre alla prosecuzione
della monografia John Stahl.
Una riguarda una cinematografia
nazionale poco conosciuta e interessante, l'Estonia.
Quattro sono invece più
storico-critiche: lo “slapstick europeo”, ovvero il contributo
comico del nostro continente, e soprattutto dei clown e dei
surrealisti gestuali di Francia e Inghilterra, alla nascita della
grande comicità “Chaplin-Keaton-Lloyd “; la “pubblicità nel
muto” ovvero come si facevano gli spot attorno alla prima guerra
mondiale; i “corti del cinema di Weimar”, che aiutano a
comprendere meglio un periodo molto complicato della storia tedesca e
del suo immaginario. E i “film sul cinema” ovvero come già in
epoca 'sorda', si producevano documentari per raccontare i retroscena
artistici e industriali della messa in scena, come funzionava uno
studio system e il sistema di censura e anche come francesi, tedeschi
e inglesi glorificavano il proprio ingegno secolare documentando il
contributo specifico, artistico e scientifico, alla nascita della
settima arte, tornando indietro nel tempo fino al XVII secolo e alle
Lanterne Magiche, per poi passare a Reynaud, Grimoin-Sanson, Marey,
Gaumont, i Lumiere e Muybridge, Edison...
Una, di interesse più strettamente
museografico, riguarda i tesori dell'Archive de la Planete, ovvero
della collezione fotografica e documentaristica parigina Albert-Kahn.
Infine le sezioni tradizionali del festival: il Canone rivisitato,
cioé la riproposizione di grandi classici (come il Faust di Murnau
con un Emil Jennings che spiega a Joaquim Phoenix e perfino a De Niro
che c'è modo e modo di strafare e che si può andare anche oltre le
righe, ma bisogna essere sempre diabolicamente e subdolamente
sorprendenti mai compiaciuti di sé), le riscoperte, i ritratti
(Keaton) e gli eventi speciali, che sono gli appuntamenti popolari di
grido, per i film celebri o spettacolarmente stuzzicanti,
accompagnati dalla grande orchestra, quest'anno: The Kid di Chaplin
del 1921; Carmen jr. di Alf Goulding satira esilarante dell'opera di
Bizet con la piccola Baby Peggy Montgomery (Usa, 1923); The Lodger di
Hitchcock inglese, Dogs of war di Robert F. McGowan (Usa 1923) e
Fragment of one Empire di Fridrik Ermler (Urss1929) che, a proposito
di furti contemporanei, è il film famoso per il Cristo in croce con
la maschera anti gas, e racconta la storia di un sottufficiale che ha
perduto la memoria nella grande guerra e che si ritrova dieci anni
dopo e a memoria ritrovata in una San Pietroburgo diventata
Leningrado e in una Russia ex zarista, ora socialista, costruttivista
e avanguardista. Ricorda qualcosa? Goodbye Lenin del 2003, e del
post DDR, no?
Tra i film più sorprendenti visti nei
primi giorni vogliamo ricordare un “documentario ricostruito”,
realizzato in perfetto stile 'terzo cinema' nel 1918 dall'argentino
“bianco”, lo scrittore progressista Alcides Greca, El Ultimo
Malon, sulla feroce repressione
di una insurrezione indigena del 1904. Poveri, sfruttati, umiliati e
senza terre dopo la rapina coloniale, un migliaio di indios Macovi,
dopo essersi sbarazzati di un capo asservito, attaccarono armati alla
meno peggio la città di San Javier, nella provincia di Santa Fé,
sicuri che dopo i riti propiziatori sincretici, “le pallottole del
nemico si sarebbero trasformate in fango”. Non fu così. Oltre 50 i
morti. Una storia autentica nella giungla del Chaco narrata assieme
agli stessi reduci della insurrezione. Senza pietismi né
paternalismi.
Il film cinese e
nazionalista del 1932 (il sonoro in alcuni paesi è arrivato tardi)
La lotta, Fen Dou di Dongshan Shi, ambientazione Shanghai, qualità
fotografica stupefacente (di Zhou Ke) che a parte la romantica e
struggente storia d'amore puro tra un operaio bello, onesto e virile
e Rondinella, una orfanella sedicenne, ostruita dalle gelosie del
violento padre adottivo di lei e da un lussurioso e corrotto amico di
lui, e il richiamo patriottico alla lotta antigiapponese dopo
l'invasione della Manciuria, propone interessanti lezioni morali alla
Lu Shu, e una alta qualità visuale, tra urnau e Pudovkin, affidata a
movimenti di macchina di grande potenza emotiva e alla scenografia
verticale, quasi una la grafica della 'lotta di classe', con i ricchi
sfruttatori ai piani alti e giù gli operai e più giù i contadini,
portatori però di valori tutt'altyo che passatisti. Per esempio il
professore di origini contadine polemizza con le vecchie idee, per
esempio con l'antico detto (confuciano?) di farsi i fatti propri, e
interviene con astuzia e violenza per impedire ogni sopraffazione e
sfruttamento ai danni di chiunque.
Naturalmente
uno dei momenti magici del programma è quando sfilano le “dirty
women” d'inizio novecento, le cameriere in sciopero violento e
perenne, le ragazzine che non accettano un destino simbolicamente e
praticamente subalterno: le Cunegonde, le Rosalie e soprattutto
Leontine, con la sua grinta dadaista e distruttiva, da suffragette a
tutto campo, capace di trasformare salotto, cucina, strade, negozi e
commissariati di polizia in un quadro action painting ante litteram.
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