Il testo è una rielaborazione di quello pubblicato da Alfabeta2
Mariuccia
Ciotta
Roma,
nome di un quartiere
della media borghesia di Città del Messico dove si svolge l'azione,
nella casa del regista, mobili, librerie, soprammobili autentici e
anche, meticolosamente viscontiano, il contenuto dei cassetti. Alla
ricerca del tempo perduto che torna in un folgorante presente. Il
filo narrativo lo tiene in mano Cleo (Yalitza Aparicio) la domestica
della “famiglia felice” con quattro ragazzini e un cane. Sguardo
sbilenco e anti-celebrativo, prospettive dalla cucina, ai margini
della storia, così inanellata emozionalmente da inventare una realtà
già passata.
Cleo
e la signora Sofia (Marina de Tavira) vedranno i loro uomini
dissolversi nella polvere messicana. Uno con la sua macchina over
size, che entra a malapena nel cancello di casa, se ne andrà con
l'amante ad Acapulco, la città perversa di La signora di Shangai,
l'altro abbandonerà Cleo incinta. Due facce nere del Messico di
Echeverria, da un lato il “padrone” e dall'altro la manovalanza a
servizio della borghesia, il “fidanzato” di Cleo, Fermin (Jorge
A. Guerrero), cultore delle arti marziali, arruolato nelle fila dei
Los Halcones, i Falchi, gruppo paramilitare di estrema destra,
sostenuta dalla Cia, che il 10 giugno 1971 replicherà il massacro
degli studenti avvenuto nel '68. La polizia non intervenne, più di
100 studenti uccisi. Il giorno di El Halconaro è ricordato dal
bambino Alfonso, dieci anni, in un negozio di arredamento, quando
Fermin e i suoi camerati inseguirono uno studente e gli spararono in
testa. Cleo lo guarda uccidere, Cleo partorisce una bambina morta,
Cleo salva dall'annegamento i bambini. E tutto passa nei suoi occhi,
presenza oscurata dalla vita degli altri e che Cuaron restituisce
alla centralità del racconto, unica verità nella penombra. Lei, la
“sguattera” india, come la ricorda il bambino che sarà il
visionario regista di Gravity, ispirato da Abbandonati
nello spazio di John Sturges, visto allora in un cinema di Mexico
City. Da astronauti si vestirono tutti i bambini, quel carnevale, i
poveri se la cavavano con uno scatolone in testa.
Roma
(Leone d'oro 2018) ricorda Y Tu Mama Tambien, quel vagabondare
tra le cose ai margini, insignificanti dettagli di un'esistenza senza
carta di identità. Sono le cosiddette “code” o “stasi”, si
inquadrano soli oggetti, senza umani, ed è ciò che caratterizza tra
l'altro - ci spiega Paul Schrader - lo stile trascendentale. E
anche il lavoro da cameriera. Quando Cleo è ricoverata in ospedale
per il parto nessuno conosce i suoi dati anagrafici, nemmeno il suo
vero nome, che la figlia non avrà mai, cadaverino immobile in
secondo piano, sullo sfondo della camera operatoria. Yalitza
Aparicio non sa che il copione le ha tenuto nascosto la morte del
neonato, e che il livido corpo sfocato è stato cancellato dalla
storia. L'emozione passa così nel riflesso dello sguardo annichilito
di Cleo. Lo stesso accade nella corsa sospesa tra sabbia e cielo
verso le onde che hanno travolto i bambini della signora Sofia.
Cuaron la riprende mentre corre con l'espressione mutevole in un
progressivo orrore senza mai inquadrare il mare e spinge l'occhio
nella frenesia della possibile scoperta, i cadaveri galleggianti,
fino alla messa a fuoco quando Cleo come un'apparizione fatta di
nuvole, presenza divina, circonda i naufraghi e li salva. Tra quei
bambini ce n'è uno che si chiama Alfonso e che ha visto quella corsa
dal mare verso la terra, l'orizzonte capovolto come lo è l'omaggio
di Cuaron non alla “buona serva” ma a quella parte del Messico
che è la sua.
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