lunedì 27 febbraio 2017

Moonlight vince l'Oscar. Non senza qualche piccolo problema tecnico....




Roberto Silvestri



Come Three Times di Hou Hsiao Hsien, Moonlight  è in tre atti. Fanciullezza, adolescenza e maturità. Tre attori diversi. Come se il film lo cominciasse Harold Nicholas in Pie Pie Blackbird e lo chiudesse Jim Brown  di Black Gunn. La storia di Chiron, gracile ragazzo african-american di oggi, timido per natura, che diventa maggiorenne e sopravvive a Miami, nel quartiere invivibile di Liberty City.  Quello dove visse Muhammad Alì, il più delicato dei colossi, e dove, nell’agosto 1968, esplose la rabbia antirazzista (e qui i bianchi sono proprio fuori campo, inesistenti) perché ai neri perfino accostarsi a Miami Beach era proibito.



Tre attori, Alex Hibbert (“Little”, a 9 anni), Ashton Sanders (Chiron, teenager dai sentimenti eretici) e Trevante Rhodes (l’uomo, muscolarmente indurito dal carcere), costruiscono sul dramma di Tarell Alvin McCraney  una “suite di formazione e di resistenza” non lineare e a tratti anche fisionomicamente spiazzante, ma capace di cogliere in azione gli elementi più emozionanti, sensuali, culinari e balneari della complessa Mascolinità nera, in stato d’allarme e pronta alla metamorfosi: “al chiarore della luna ogni nigger diventa blue”. 

Il regista e sceneggiatore Barry Jenkins e l'autore del romanzo Tarell Alvin McCraney
La dolcezza, la gentilezza, addirittura il cuore sopravvivono a tutti i cliché del ghetto-movie o della ritrattistica pittorica di Kehinde Wiley, attraversati scrupolosamente e un po’ distorti: il bullismo scolastico vigliacco; le ‘esecuzioni’ per strada; un padre svanito nel nulla; la crudeltà di Paula, la mamma drogata amata e odiata; la partita di football che il direttore della fotografia James Laxton trasforma in danza; il bagno nell’oceano, che diventa, come il primo bacio sulla spiaggia, esperienza zen; la tempesta ormonale e l’amor fou di Chiron per il coetaneo Kevin (tre attori anche per lui), dal sorriso lascivo; incarcerazioni; tradimenti; la traumatica perdita anche del mentore Juan, lo spacciatore di droga cubano del quartiere che assieme alla dolce moglie Teresa lo protegge e gli insegna a nuotare e cucinare (è Mahershala Ali, in stato di grazia, che sa svelare la femminilità dei John Wayne: dentro il vero macho c’è sempre un micio). “Che cos’è un frocio?” chiede l’intimorito Little a Juan: “è la parola utilizzata per fare del male ai gay”. La ricerca di una identità perduta finirà cin la conquista: c’è del tenero in chi ha coraggio.



L’acido affresco storico sul pastore ribelle Nat Turner, Nascita di una nazione, doveva essere l’antidoto black a La la land, la notte degli Oscar, ma Nate Parker, fatto fuori dalla macchina del sangue, viene sostituito da questa produzione di Brad Pitt (un 12 anni schiavo spostato nel ghetto southern), versione queer di Boyz n the hood, un Boyhood nero pece. Anche se Barry Jenkins, al secondo film dopo un esordio in stile Linklater, imbratta di affondi cromatici-lisergici e ralentì poetici anche indigesti il naturalismo austero di Singleton. E non ha certo potuto contare sulla dozzina d’anni di riprese con uno stesso protagonista, come Linklater. 

Il direttore della fotografia James Laxton
Questa confusione di registri, di corpi e di luoghi comuni a volte davvero strabici, ha inebriato la critica Usa (e infatti il film ha sconfitto La La Land anche se con dopo non poche difficioltà procedurali) e spiazzato quella europea, meno sconvolta dall’escalation di violenza contro i neri e consapevole di quanto le atmosfere dei romanzi di James Baldwyn (Go Tell It on the Mountain, per esempio) contribuiscano a far giocare la cinepresa con gli elementi più volatili dell’animo, gesti, tic, sguardi, rap. 

A proposito di Baldwyn. Il documentario di Raoul Peck su di lui, I’m not your negro, anche senza vincere la statuetta, dà un senso in più, politico-culturale, alla vittoria di Jenkins. E non solo perché racconta lo scontro secolare della comunità african-american per affermare i propri diritti, diventare uguale tra diversi e conquistare pari dignità. E’ stato proprio lo scrittore e intellettuale radicale la vittima preferita degli strali lanciatigli durante le lotte del 68 non tanto dai colleghi bianchi (e Norman Mailer soprattutti) ma proprio dall’ala più maschilista e “armata” della controcultura nera. Se andiamo a rileggerci il saggio di Eldridge Cleaver in Anime in ghiaccio ci renderemo conto di cosa voleva dire essere nero, gay e rivoluzionario proprio tra i rivoluzionari dell’epoca.   Rispetto a loro Mahershala Ali rappresenta l’evoluzione della specie. Come nel passaggio tra Sonny Liston e Muhammad Alì.


Naomi Harries
Alla fine il film ha vinto tre statuette. Miglior film (i produttori sono Brad Pitt, Sarah Esberg, Dede Gardner, Andrew Hevia, Jeremy Kleiner, Tarell Alvin McCraney, John Montague, Veronica Nickel, Adele Romanski), sceneggiatura non originale (Barry Jenkins) e attore non protagonista(Mahershala Ali) 
Suicide Squad oscar per il trucco


































Nella lista dell'Academy Awards anche due italiani che vincono per il migliore make-up, Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini, insieme a Christopher Nelson per Suicide Squad. Per i costumi vince Animali selvaggi (Coleen Atwood). Montaggio sonoro Arrival (Sylvaine Bellemare). Sonoro e montaggio Hacksaw Ridge (O'Connell e Gilbert), Viola Davis di Barriere vince come migliore attrice non protagonista, Il Cliente di Farhadi come migliore film straniero, Piper di Barillaro come migliore corto d'animazione; Zootropolis di Moore-Spencer-Howard miglior lungometraggio di animazione; Il libro della giungla migliori effetti speciali ; The White Elmet di Einsiedel è il migliore documentario corto; Sing di Deak è il migliore corto live o soggetto; Manchester by the sea vince due statuette: a Casey Affleck come miglior attore e a Lonergan per la migliore sceneggiatura; infine le sei statuette di La La land: a Damien Chazelle per la regia;  Raynolds-Wasco per la scenografia; Linus Sandgren per la fotografia; Hurwitz per la migliore colonna sonora e per la migliore canzone (City of Stars) e Emma Stone come attrice protagonista.






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