giovedì 29 gennaio 2015

John Wick, il killer che con una matita ammazza tre uomini alla volta



Keanu Reeves in John Wick

Mariuccia Ciotta


Sui nostri schermi arriva il mistero John Wick, film d'azione estroversa interpretato da Keanu Reeves, l'attore che è presente in questi giorni al Sundance Film Festival 2015 con Knock Knock di Eli Roth (Hostel). 
Premesso l'effetto deja vu, filone revenge-movie, molta critica, anche americana, definisce il film “godibilissimo”, formalmente elegante, stilizzato nei cromatismi azzurro ghiaccio e ad alto potenziale adrenalinico.
il beagle trucidato
Non un capolavoro, dicono, ma un titolo che, come
The Iceman dell'israeliano Ariel Vromen, in uscita il 5 febbraio, si inquadra nel revival dei classici del genere. Opere dirette da autori come John Boorman (Point Blank), John Woo (The Killer) fino a Jean-Pierre Melville (Le cercle rouge), fonte di ispirazione dichiarata dei registi esordienti Chad Stahelski e David Leitch (non accreditato), entrambi stunt-actor, incontrati da Reeves sul set di Matrix.
Il mistero non riguarda il contenuto del film ma quello del cinema, addetti ai lavori e spettatori che hanno premiato John Wick con un incasso al box-office Usa di 43 e più milioni di dollari (è uscito il 24 ottobre 2014) a fronte dei 20 di budget.
Certo, c'è il divo sensuale dal volto hawaiano dei fratelli Wachowski (Matrix), di Gus Van Sant (Belli e dannati), di Bernardo Bertolucci (Il piccolo Buddha), di Kathryn Bigelow (Point Break), c'è il marmoreo Willem Dafoe, oltre a un cast rispettabile, e c'è anche il gusto della parodia per l'”eroe di ritorno”, in cerca di vendetta che, pensionato, dissotterra l'ascia di guerra... Ma. Le picconate inferte sul pavimento dal feroce sicario John Wick per recuperare i kalasnikov dormienti è più un omaggio involontario ai Looney Tunes che al Park Chan-wook di Old Boy
Motivo scatenante, la vendetta: una Mustang del '69 rubata e un cucciolo di beagle spalmato sul pavimento, crimini spavaldi commessi dal figlio viziato di un boss della mafia russa, Viggo Tarasov (Michael Nyqvist) istallata a Manhattan, che cercherà di evocare la mitologia del revenant apparso in controluce: “Non è tanto quel che hai fatto - urla il padre all'ignaro rampollo mentre lo riempe di botte - ma a chi l'hai fatto!”. A chi?
A John Wick, l'ex infernale assassino al soldo del malavitoso di Mosca, spietato e leggendario, capace di uccidere tre uomini con una matita. Ah, Takeshi Kitano, lui sì che ridicolizzava gli yakuza. Keanu Reeves, invece, con il suo sguardo tenero, si maschera imprudentemente da superkiller, abito scuro e cravatta, “pronto alla cassa da morto”, e chiama la sua controfigura (Stahelski, il Neo di Matrix) a dirigere un film che assomiglia a un provino per armi da fuoco, cascatori, crash test, esplosioni e ultimi tecno-trucchi mirabolanti.
Un parco giochi allestito dagli ex stuntmen che hanno chiamato lo sceneggiatore Derek Kolstad per imbastire una trama d'appoggio ai loro virtuosismi acrobatici. Gli stessi del buttafuori di Seattle Tommy Wick, anche lui dipendente di un boss mafioso, protagonista del precedente lavoro di Kolstad, The Package (2013) e che esce dalla pelle tatuata di Steve Austin, ex wrestler, per entrare in quella delicata di Keanu Reeves. Sempre Wick si chiama, ma la scrittura del pigro sceneggiatore non si addice al “replicante” John, in bilico tra crudeltà indicibili e l'espressione pensosa e addolorata del vedovo piangente sui filmini idilliaci dell'amata moglie morta prematuramente di malattia incurabile. E che gli ha lasciato, unico legame ultraterreno, il cagnetto Daisy.
Va bene farsi pestare a sangue dalla banda dei bulli mafiosi, va bene perdere l'auto vintage da 007, ma il cane no, neanche un killer estremo può sopportarlo. E quindi John Wick torna a fare il macellaio di esseri umani, questa volta, però, giustificato. E' dagli albori del cinema griffitthiano che chi dà calci ai cani è il più cattivo dei villain. John, prima di trovarlo, ne ammazzerà così a centinaia, di cattivi, in un modulo ripetitivo e soporifero, da automa a caccia dell'assassino del suo cucciolo. Che è il giovane debosciato viveur, biondino ovviamente, vergogna del padre di “alta levatura criminale”, condivisa con John Wick, complice devoto di stragi epocali. Carogna incontra carogna. La formula è la stessa di Pretty Woman, prostituta d'alto bordo e arrivista incontra ricco speculatore finanziario specializzato in armi da guerra. C'è poco da scegliere.
La più acerrima nemica di John Wick, l'attrice Adrianne Palicki
Sullo sfondo di una fascinosa New York notturna, il film ruota su se stesso e si inoltra nella macchietta del cinema d'azione di altri tempi con l'eroe vendicativo, tema “redenzione del peggiore”, senza mai un fotogramma stupefacente, dietro all'eco svaporata di Kill Bill! o di La sposa in nero.
Tragica caduta per il grande Keanu Reeves, reduce da un periodo depressivo, e che qualcuno (se stesso?) ha voluto rilanciare nella forma del macho alla Schwarzenegger, quando John Wick è semmai un gay-movie represso nell'abbondanza di corpi muscolosi e avvinghiati e ripetutamente perforati. Resta il successo al botteghino e il compiacimento critico per il blockbuster che accarezza l'inerzia creativa e percettiva, il cinema post-post-moderno. Un “alias” snaturato e impostore, come lo è il piccolo molosso bigio che il sicario grondante di sangue si prende nell'happy end al posto del compianto beagle.
La Mustang del desiderio



Nessun commento:

Posta un commento