Roberto Silvestri
Il Cinema Ritrovato, festival svoltosi in questi giorni a Bologna,
ha ricordato con una bellissima monografia incastonata nel suo fitto programma
un grande regista Americano specializzato in thriller, western, noir,
melodrammi, film di guerra e satire al vetriolo. William Augustus Wellman,
sangue irlandese, gia’ ladro d’automobili, ex giocatore semiprofessionista di
hockey su ghiaccio, ex pilota decorato di aerei da guerra, e poi dal 1923,
grazie a Douglas Fairbanks, uno dei piu’ liberi, alcoolizzati e meno “classici”
narratori della cosiddetta Hollywood classica
(quella degli anni 30, 40 e 50). Credo che sia l’unico cineaste a potersi
vantare di essere stato cacciato da tutti i grandi Studi (tranne da Walt
Disney) e di aver litigato con quasi tutte le star, a cominciare da Gregory
Peck. Anche se Henry Fonda, John Wayne, Ida Lupino e Barbara Stanwyck sono
stati tra i suoi migliori amici. “Wild Bill”, nomignolo di guerra, se lo portera’
ben stretto anche in tempo di pace. Un suo lontano antenato, Francis Lewis, era
stato tra i firmatari della ‘dichiarazione di indipendenza’. E, tra gli
indipendenti a Hollywood ,
Wellman e’ stato uno degli ultimi.
Il grande pubblico italiano conosce il regista del
Massachusetts soprattutto per l’aspro gangster-film Nemico pubblico, con
James Cagney (1931); per la prima versione di E’ nata una stella, amara
radiografia del mondo del cinema (1937) e per il western realista The Ox-Box
Incident- Alba fatale che, nel 1943, accompagna l’inutile tentativo
di Henry Fonda di opporsi a una triplice impiccagione sommaria. Titoli
altrettanto dark, aspri e brutali sono Ali, che nel 1927 vinse il primo
premio Oscar al miglior film, e che si avvaleva dell’esperienza di pilota del
regista che, entrato prima nella Legione straniera e poi autista crocerossino,
riusci’ a volare nella squadriglia Lafayette e combattere nei cieli della
Grande Guerra. E poi Beau geste, Buffalo
Bill, I forzati della gloria, Cielo giallo, Il sipario di ferro, Bastogne , Donne verso
l’ignoto…
Negli ultimi anni il critico Andrew Bergman, Film Forum, a New
York, e la cineteca di Lione e Parigi hanno saputo risarcire il cineasta della
‘generazione di ferro’ (Ford, Walsh, Dwan, Vidor, Hawks e King) con saggi (We’are in money) e retrospettive
complete (sono pochi pero’ i suoi film muti sopravvissuti) e analizzare meglio
l’originalita’ delle sue oltre sessanta opere, al di la’ di pregiudizi e
fraintendimenti.
Considerato in Europa per lungo tempo un cineasta “liberal”, amato
da Graham Greene che lo segnalava anche come uno dei piu’ seri e preparati
divulgatori della psicoanalisi nel cinema, certamente Wellman, soprattutto
negli ultimi anni di vita (1896-1975), e come altri ex liberal come Ronnie Reagan
o Walt Disney, non ha nascosto una forte ostilita’ al comunismo e ai “rossi”,
anche se su posizioni piu’ anarchico-libertarie. Il critico e regista francese
Bernard Tavernier lo ricorda infatti al fianco di un ex black-listed, Abraham
Polonski, quando si tratto’, nel 1969, di difendere il bellissimo western Uccidero’
Willie Kid dall’Universal che lo aveva prodotto e da Lew Wasserman che non
voleva piu’ distribuirlo perche’ lo considerava troppo radicale,
controverso e filo-nativi d’America. Ma gia’ in Heroes for sales (1933)
prodotto da Hal Wallis il protagonista, Tom Holmes (Richard Barthelmess), un
proletario disoccupato, derelitto e disperato, con seri problemi di droga e che
ha appena perso la moglie, si trova anche alle prese con il settarismo,
l’opportunismo e l’estremismo dei militanti comunisti che lo credono uno di
loro. Uno gli dice: “Che ne pensi della situazione? Il paese non puo’ andare
avanti cosi’. E’ la fine dell’America”. Ma lui risponde: “No, forse e’ la
nostra fine, ma non quella dell’America. In pochi anni saremo piu’ grandi e
piu’ forti di prima. Non ha sentito il discorso di Roosevelt? Lui ha ragione.
Ci vuole molto piu’ di un pugno in faccia per mandare al tappeto 120 milioni di
persone”.
Regista cult per Stanley Kubrick, che metteva tra i top ten la sua
strana commedia noir Roxie Hart (1942), con Ginger Rogers, in Italia
“Condannatemi se vi riesce”, non e’ mai stato considerato invece un “autore” da
Andrew Sarris, il guru della critica newyorkese radical che nel suo epocale “American
Cinema” rimprovera non solo all’artigiano
Wellman di aver girato troppi brutti film, ma di essere stato pessimo anche in
quelli buoni. Nei “Dieci film che dovreste vedere prima che vi ammazzi!”
Quentin Tarantino invece mette al quinto posto The Ox-Box Incident il
claustrofobico e cupo dramma western tutto girato negli studio Fox, ricordando
la grande interpretazione di Henry Fonda che mesi prima di girarlo indossava
gia’ i panni e i modi di fare, di parlare e di agire del suo personaggio, Gil
Carter. Quel che unisce i due cineasti (appena appaiati involontariamente
dalla Biblioteca del Congresso che ha acquisito, come tesori nazionali, sia Pulp
fiction che il super rooseveltiano Wild boys of the road, che pero’
e’ del 1933)
deve essere proprio il senso dell’umorismo o meglio la loro capacita’ di
attivare contemporaneamente anche tutti gli altri sensi. Fatto incomprensibile
per Sarris. Lo aveva capito Walsh che, citando il comico W.C.Fields, diceva che
l’idea di humour di Wellman e’ “un paracadute che non riesce ad aprirsi”.
C’è poco da ridere infatti anche del fatto che ben 6 delle 14
opera d’arte di Wellman presentate a Bologna non siano mai state viste in
Italia: Beggars of Life, 1928; The Man I Love, 1929; The Star
Witness, 1931; Other’s Men Women, 1931; Wild Boys of the Road,
1933 e Midnight Mary, 1933. Nel primo, ci sono i treni e c’è la pioggia
(due inseparabili compagni d’avventura di Wild Bill): Louise Brooks non
ha nulla e cerca cibo travestita da ragazzo; il secondo e’ una specie di Tokyo
Fist, una love story ambientata nel romantico mondo della boxe; il terzo e’
un dramma operaio e il protagonista e’ un macchinista del treno; nel quarto
siamo in piena depressione e i nostri eroi in cerca di lavoro vengono trattati
come i disoccupati africani da noi; nel quinto e’ Loretta Young a trovarsi nei guai, anche
processuali, e qui il catalogo del femminicidio e’ gia’ completo. Devo
riconoscere alla censura fascista, e alla distrazione democristiana, una certa
competenza. Erano film veri, davvero pericolosi e sovversivi. C’e’ da
chiedere a tutti i centri sociali e ai cineclub di mettersi in contatto con
Gianluca Farinelli e con la Cineteca di Bologna che lui dirige per far girare
questi capolavori senza i quali, di epoca rooseveltiana, si continuera’ a ignorare
in Italia sia il succo che la polpa. Non bastano i film di Frank Capra perche’
da quelle opere non si comprende il nucleo profondo, piu’ Schumpeter che
Keynes, della politica economica democratica di quegli anni: senza lotte dal
basso, niente sviluppo. Senza intervento pubblico nell’economia niente mercato
vispo. Gia’, Roosevelt era imprevedibile,
sorprendente e rissoso, almeno quanto Wellman. Che, non lo appoggiava affatto.
Ma almeno aveva il coraggio di mostrare quel che faceva e soprattutto quel che
facevano i suoi avversari. Piu’ la gente moriva di fame, piu’ le grandi
corporation incameravano profitti, divorando i capitalisti medi e piccoli, come
avevano imparato a fare dai Morgan, i Rockefeller e i Carnagie durante le
“grandi crisi” di fine ottocento. E se il popolo si ribellava, come allora,
giu’ botte da orbi. Basta isolare dal gruppo lo stupefacente Wild Boys of
the Road che e’, invece, il film preferito di Martin Scorsese (America
1929, sterminateli senza pieta’ ne e’ un remake-omaggio). Tre ragazzi della
piccolo borghesia provinciale, Eddy, Tommy e Sally (che e’ Dorothy Coonan, ex
ballerina di Busby Berkeley ,
poi moglie di Wellman per 36 anni), sono scaraventati sulla strada, ma contro
voglia, non come Kerouac, dopo il grande crack. Eddie dovra’ svendere la sua
decappottabile fiammante per togliere dai guai il padre. Vedendo il garage
vuoto si mettera’ a fischiettare l’inno dei disperati della depressione,
:We’are in the money”. E poi, novello hobo, salta su un treno a fare a pugni con i
frenatori della compagnia privata e poi con i poliziotti che aspettano i
disoccupati senza biglietto alla stazione per stritolarli. Ma non sara’ cosi’
semplice. Questi poveri sono molto meno arrendevoli di quelli di De Sica in
“Miracolo a Milano”…anche se naturalmente sara’ molto criticato l’happy end del film. Ma lo
spettatore astuto sa sempre cosa buttare via da un film. Facciamo un gioco. Se doveste realizzare una
retrospettiva dei film dove il tumulto e lo scontro moltitudine/polizia sono
non tappezzeria ma sostanza, quanti film vi verrebbero in mente? Sciopero,
qualche Chahine.e poi? Ecco perche’ Wellman e’ un regista da recuperare e da
amare molto.