domenica 16 febbraio 2014

"Pantani: ascesa e caduta". Morte accidentale di un ciclista



Roberto Silvestri

Il rischio, l’avventura, l’amore per la bicicletta. Un uomo straordinario che ci ha esaltato in luoghi straordinari combattendo come un boxeur di strada contro Tonkov, Ullrich, Armstrong, Indurain, Buenahora……

Il manifesto del film di James Erskine
Tra i grandi scalatori puri della storia moderna (da Gaul, Bahamontes, Massignan, Zilioli in poi) Marco Pantani è stato l’unico cavaliere tragico della postmodernità, come scrisse sull’Equipe il mitico cronista Spierra Chany che ne cantò le gesta sul Galibier, sul Ventoux (dove morì tragicamente Simpson, un altro cavaliere solitario…), sul Mortiloro, sull’Alpe d’Huez, a Courchevel. ..

Morì all’improvviso, a 34 anni, nel giorno di san Valentino del 2004. Giovanissimo. Forse 5 anni prima era già morto di furore misto a vergogna quando fu appiedato controvoglia a Madonna di Campiglio, perché nel suo sangue erano stati trovati valori troppo alti di ematocrito. Il Giro d’Italia del 1999 doveva essere la cavalcata del suo definitivo trionfo e invece fu la fine. L’anno dopo al Tour il litigio con Armstrong e l’abbandono… Ma chiunque fosse già stato testimone di analoghi drammi del passato, anche non ciclistici (l’impotenza di Mercx, per esempio, di fronte a calunnie simili, quella di Polanski, quella di Woody Allen) dovrebbe aver trasmesso ai nipotini la capacità di decifrare e decostruire le malefatte sempre gonfiate in malafede (c'è chi paga) dei mass media…. 
   

“Marcopantani” era come una rock star, che brucia tutto e subito la sua forza vitale. 30 vittorie, un Giro, una maglia rosa strappatagli a forza (per doping), un Tour… L’esposizione mediatica ai tempi di Pantani non aveva nulla a che spartire con l’epoca di Coppi, di Anquetil e Mercx, i campioni della radio e della televisione in bianco e nero. Era più inebrainte, era molto più esiziale.
Più di tutto il resto la sua ascesa adrenalinica  e la sua scomparsa dolorosa, sarà per una bandana in comune, ricorda l’exploit e poi epilogo londinese di Jimi Hendrix, trovato esageratamente rigonfio di eroina a Londra. Un’altra morte sospetta quella, quasi un sentore di omicidio. 

Lì un omicidio politico (Hendrix era un simpatizzante delle Black Panther, e Hoover li odiava, e quella overdose secondo i suoi due compagni di band, gli Experience, era proprio improbabile). Qui uno economico-finanziario, diretto o indiretto. L’intuito ci dice, ma non ho le prove, che un comitato d’affari operante (anche) nel mondo dello sport lo abbia potuto togliere di mezzo perché un artista del pedale, uno svisatore dello scatto bruciante come lui, è sempre ingombrante, ostacola la fluidità del business…Pantani non era d’altronde un romantico ‘isolato’ d’altri tempi, era molto ben radicato in quel mondo. Un uomo politicamente consapevole. Ne conosceva perfettamente bellezze e bassezze…solo che il sistema ciclismo degli anni 90, l’Unione ciclistica Internazioale, il dottor Conconi e l’Ioc avrebbero impedito che la verità venisse a galla.


Sono passati 10 anni da quando il corpo senza vita di Marco Pantani, campione di ciclismo, l’unico italiano ad aver vinto Giro e Tour nello stesso anno, il romagnolo che andava fortissimo in montagna (allenandosi da piccolo al massimo sulla Rocca delle Caminate: incredibile!) tanto quanto Ercole Baldini andava fortissimo sul passo e a cronometro, fu trovato nella stanza D5 del residence Le Rose di Rimini, 100 euro a notte, a causa di un edema polmonare e cerebrale provocato da un’overdose di cocaina.

Una morte sospetta sulla quale non solo la famiglia chiede da anni chiarezza, negando ogni accusa di doping illecito. I suoi tifosi, di Cesenatico e del mondo, guardano e riguardano le immagini delle tappe mostruose in cui il Pirata, con grande semplicità, si lasciava tutti dietro le spalle, in montagna, la sua specialità. Pantani è ancora un oggetto di culto. Per la semplicità del gesto atletico, per il suo corpo disincarnato come un punk, per la sua simpatia non ecumenica, ma ‘di parte’. Un po’ come Gaiscogne (che ha avuto diecimila persone al funerale, come Lady Diana o Senna, molte, molte di più di Margaret Thatcher…).

I fan scacciano inoltre da sempre i soliti sospetti infamanti. Le ipotesi sono due. La prima. Se quasi tutti i ciclisti si drogano da secoli con ogni sostanza registrata e extraterrestre, tranne Virenque, anche in questa specialità agonistica Pantani era il migliore di tutti, Armstrong escluso, e allora perché parlare di disonestà? La seconda. Se non si drogava affatto, come Virenque, non era poi troppo difficile far scattare, se necessario, una macchina del fango ad hoc e poi imbottirlo di cocaina. Vedete come è facile togliere di mezzo ogni impiccio e intralcio.




The human face, film di James Erskine (2001)
Dunque è molto, molto atteso, nel decennale della morte, questo documentario senza voci fuori campo e senza predicozzo moralistico (non è finanziato dalla Rai né da Mediaset), Pantani, titolo originale in inglese ispirato palesemente alla piece di Dario Fo Morte accidentale di un ciclista, diretto dallo specialista in indagini sportive James Erskine, che ha utilizzato materiali di repertorio, a cominciare da filmati di Pantani a 16, 17 anni, ha simulato alcune scene come in un docu-drama e ha collezionato una serie di interviste inedite a colleghi e a personalità dell’ambiente agonistico (Greg LeMond, a Minneapolis; Pino Roncucci, Roberto Amaducci; Piotr Ugrumov; Marco Velo), a studiosi, giornalisti, amici e familiari (come la mamma Tonina) per catturare lo spirito dell’uomo volante e non per sfruttarne sensazionalisticamente la tragedia. Ma. Il film purtroppo si vedrà in sala solamente nelle giornate del 17-18-19 febbraio, in un centinaio di cinema del circuito The Space.

Il film è coprodotto dallo stesso regista e dalla New Black Films, già responsabile di due precedenti lavori del cineasta britannico, One Night in Turin sulla nazionale inglese di calcio durante i Mondiali in Italia del 1990 (con Gascoigne e Lineker) e From The Ashes, sull’incontro di cricket Inghilterra-Australia disputatosi durante gli intensi scontri con la polizia razzista ben istigata a picchiare da Madame Thatcher. Tra gli altri documentari sportivi di Erskine i lavori su Ayrton Senna e su una grande tennista lesbica degli anni sessanta e settanta, la statunitense Billy Jean King (The battle of the Sexes, 2013). Di carattere non sportivo un doc sulla scomparsa delle api da miele, The human face con John Cleese, del 2001 (che analizza scientificamente come funziona la nostra faccia) e Emr (2007), Londra, Internet droga e cospirazioni burroughsiane. Stanno per uscire anche i nuovi lavori di Erskine, il thriller The White room, e un film a soggetto, ma sempre calcistico, Shooting for Socrates (una storia nordirlandese, tra guerra civile e ‘miti brasiliani del calcio’, ambientata nel 1985 e poi durante la coppa del mondo 1986 in Messico quando l’Irlanda del nord incontrò il Brasile….).  

ps. Ricordarsi che la Warner Bros dovrebbe far uscire un altro documentario, per completare il quadro sul ciclismo, la corruzione negli anni 90 e oltre, The Armstrong Lie, intervista a Lance Armstrong di Alex Gibney, il documentarista da Oscar (Taxi to the dark side) che dal 2008 stava lavorando a un ritratto agiografico del campione, sulla sua ossessione della vittoria, sulla sua capacità di sconfiggere il cancro. Doveva essere il ritratto di un eroe, seguito nella preparazione e poi con dieci telecamere al Tour de France 2009 e ancora nel 2010. Il titolo doveva essere The road back. Ora è The Armstrong lie, la storia di un sistema criminale che ha controllato monopolisticamente e fraudolentemente tutto il grande giro del professionismo ciclistico.


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