sabato 2 novembre 2013

Jonathan Demme a Roma per il festival e per l'uscita di "Enzo Avitabile Music Life"

Roberto Silvestri

Jonathan Demme
Poi dicono che i festival del cinema non servono a niente ...
Questo film è sulla vita e i ricordi del sassofonista napoletano dai capelli più arruffati mai concepibili. Enzo Avitabile  ha raccordato la tradizione arcaica contadina della Campania con gli stili musicali più contemporanei. Questo progetto di una vita è stato sintetizzato e trasformato in ottanta minuti di note e fotogrammi (operatore Vincenzo Pascolo) - cioé in drammaturgia musicale fertile e ritmicamente incalzante - da un regista eastern-american che arrivò al cinema attraverso la "Roger Corman theory" ma anche grazie alla musica radicale, il rock, il punk e l'hip hop, quando band come i Talking Heads si misero a farne un imbrido che sembrò impossibile e fu invece leggiadro, nelle zone più derelitte di Manhattan.  
Ecco perché i film di Jonathan Demme, nato il 22 febbraio 1944 a Baldwyn, stato di New York, e  morto il 26 aprile del 2017, erano così unici e speciali, diversamente emozionanti.
Demme non ha mai smesso di intrecciare set musicale e set cinematografico, recandosi spesso a rinfrescare la sua tecnica narrativa lì dove il sound stava compiendo strane ed eccentriche evoluzioni: uno dei suoi ultimi lavori è The Power of Rock e poi, scendendo nella filmografia troviamo Justin Timberlake + The Tennessee Kids, il film che la Mostra di Venezia non giudicò degno del Lido, Neil Young Journey, Neil Young Trunk Show, Neil Young Heart od Gold; i  cinque documentari con Bruce Springsteen, i video con David Byrne oltre a Stop Making Sense, la clip anti apartheid contro Pretoria  Sun City, i videoclip con Suzanne Vega, New Order, Queen, UB40, Afrika Bambaata, la nuova generazione dei musicisti haitiani di Haiti: Dreams of Democracy, Robyn Hitchcock.....

Enzo Avitabile eJonathan Demme
Nel film c'è anche lo zampino produttivo di Antonio Monda (futuro direttore artistico del Roma Film Festival) e del montatore Giogiò Franchini. 
Ma come avvenne quel fatale incontro?
Successe che Jonathan Demme ricevette, nel 2010 a una telefonata di invito da parte di una piccola-grande rassegna italiana. Poche le speranze. Ma il 'Napoli Film Festival', oltre al luogo prelibato, azzecca anche il giorno fortunato. «Certo che vengo in Italia - rispose - lo faccio sempre volentieri, è la terra del mio amico Bernardo Bertolucci, ma verrò a una sola condizione. Visto che siete di Napoli fatemi incontrare il mio grande idolo, Enzo Avitabile!». 

Come faceva Demme a conoscere anche Enzo Avitabile? Colpa e merito di una radio privata del New Jersey, dai gusti raffinati e senza paraocchi localistici, che, captata dal regista di Il silenzio degli innocenti mentre attraversava il George Washington Bridge, aprì la sua già vasta conoscenza melodica e armonica. Certo poteva anche avergliene parlato il suo consulente musicale piuttosto esperto di world music, Gary Goetzman.

Comunque sia i due artisti si vedono, si frequentano e si piacciono ancor più. Solidarietà per gli oppressi e eterna lotta perché lo sfruttamento scompaia dalla faccia della terra e identica attenzione alle produzioni della marginalità, incorrutibile dall mercato, li avvicinano esteticamente. Demme conosce dunque la casa nel quartiere di Marianella dove Avitabile è nato e cresciuto,  e i ricordi (non sempre felici), gli amici, i parenti e i vicini di casa del sassofonista scapigliato, compositore, poeta, cantante, jazzista italiano che ha suonato con Afrika Bambaata, Tina Turner e Manu Dibango, da anni esponente tra i più 'aperti' e contaminativi della world music. 

I lettori dei giornali specializzati o dei quotidiani radicali lo conoscono bene, e il manifesto-dischi pubblicò un suo album anni fa con i Bottari di Portici. 

La strana coppia organizza così una serie di jam session da tenersi in una intensa settimana dentro un magnifico, antico spazio circolare, grandi tappeti persiani per terra, con alcuni maestri del mix musicale contemporaneo mediterraneo-caucasica, e oltre: il chitarrista e cantante cubano Eliades Ochoa, del Buona Vista Social Club, il compositore e strumentista magico di oud irakeno Naseer Shamma, il chitarrista e compositore spagnolo di flamenco, jazz e fusion Gerardo Nunez,  il virtuoso pakistano di sitar Ashraf Sharif, Khan Poonchwala, il percussionista indiano Trilok Gurtu, il musicista sardo Luigi Lai, suonatore di Launeddas, il cantante popolare napoletano, esperto sia di ritmato che di stile libero, Zi' Giannino Del Sorbo (morto nel 2017), la cantante palestinese Amal Murkus (che ricorda commossa l'omicidio di Vittorio Arrigoni), il trio armeno Drivan Gasparayan,  il compositore e strumentista iraniano Hossein Alizadeh (che ha lavorato anche con Moshen Makhmalbaf, il cantante e polistrumentista mauritane Daby Touré e il celebre clavicembalista italiano di musica classica Bruno Canino di cui Avitabile è fan scatenato.  
Jonathan Demme (a sinistra) e Enzo Avitabile


E il film, Enzo Avitabile Music Life è fatto (Venezia 69, fuori concorso). E lo abbiamo poi in tv (Rai Cinema e Rai Trade coproducono). I set musicali sono strepitosi. Ogni rigidità modale fa un piccolo sforzo e il tecnicismo diventa poesia in progress, mista e corale... Le riprese, anche audio, veloci, imperfette, di cuore, improvvisate, come i documentari che piacciono a Demme, e non solo quelli musicali. E si inventa all'impronta, ma come nel free jazz, sempre solo se si conosce bene la partitura invisibile che conduce alla spontaneità e alla casualità. 

Immagini intense, non necessariamente belle, ma impressionanti e ricche vengono catturate tra una panoramica del Vesuvio e i materiali d'archivio della nostra indignazione. Filo rosso il racconto della vita di Avitabile, compreso l'intervento rischioso agli occhi che gli ha salvato la vista, ma lo ha allontanato dalla scena per un po'. E quello della infaticabile ricerca musicale, politica spirituale (anche un passato zen) e umana (dopo la morte della moglie giovanissima) di Avitabile, studioso di tutte tutte le scale e i 'modi' extraoccidentali, da quella indiana a quella bantu alle decine di altre: dal piccolo centro di Marianella dove è nato, al conservatorio dove si diploma in flauto, dalla camorre con cui si convive tuttora, al paesaggio partenopeo esplosivo, anche in senso proprio (Plinio il vecchio...) e non solo culturale e calcistico, dalla cantina dei primi gig d'illuminazione ritmica (James Brown) a una versione partenopea di I have a dream... 
Ma l'Italia è una vecchia passione di Demme. Il premio Oscar (Il silenzio degli innocenti), l'ex trash-director di Femmine in gabbia che aveva rubato piani, focali e inquadrature nel 1974 a O Cangaceiro di Giovanni Fago, sbirciato a Manila la notte prima delle sue riprese d'esordio (grande scuola il trash), pupillo di Roger Corman, l'artista che ci ha spiegato che «dirigere vuol dire ascoltare» un attore, una storia, un grido di lotta (come quello che ancora ci arriva dalle terre sommerse di Katrina), e non solo i Talking Heads, torna così in Italia a indagare sulla ricchezza della sua cultura melodico-armonica alta, bassa, popolare e aristocratica. Un detour che altri registi Usa hanno compiuto in questi in questi anni, ma soprattutto quelli italian-american, Scorsese, Turturro, Ferrara... 
Demme è cittadino dello stato libero Music. Tutti ricordano il suo Mambo italiano che la zia di George, Rosemary Clooney canta in quasi italiano all'inizio di Qualcosa di travolgente. E resta senza parole quando Avitabile inanella in pochi secondi una piccola storia del sax jazz, dal clarinetto di Sidney Bechet alla tromba di Miles Davis, culminata con John Coltrane, passando per Johnny Hodges, Charlie Parker, «Cannoball» Adderly e Buddy Colette....Quando Demme presentò il film stava finendo un film d'animazione (Zeitoun), un film drammatico Wally and Andre shoot Ibsen ed era in pre-produzione un'opera tratta dall'ultimo romanzo di Stephen King.


Fear of falling di Jonathan Demme


Fear of Falling

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