venerdì 17 maggio 2013

Minervini, là dove il cuore non batte



Mariuccia Ciotta
Cannes

Nella selezione ufficiale un film “italieno” diretto da Roberto Minervini, italiano trapiantato negli Stati uniti,  Stop the pounding heart, titolo che, anche se fuori concorso,  si affianca a La grande bellezza di Paolo Sorrentino. L'opera fa parte di una trilogia texana (The Passage e Low Tide) e scandaglia il profondo sud americano e la sua identità protetta a colpi di Bibbia.  Comunità isolata, una specie di villaggio Amish, ma coi jeans e i televisori, e al centro una famiglia di allevatori di capre, ma non siamo dalle parti del “caprolavoro” di Michelangelo Frammartino che infiltrava i tempi distesi mollemente sulla campagna con tocchi di humour e digressioni vertiginose. Qui prevale l'indagine zavattiniana,  lo spionaggio emotivo tra le trecce bionde di Sara, adolescente isolata dal mondo e chiusa in un recinto non virtuale con le sue affettuose caprette. La macchina a mano centra le spalle della ragazzina nei lunghi percorsi tra i campi e sfiora il “nuca-movie” dei fratelli Dardenne.  A ispirare Minervini, però, ci sono Rossellini e Bresson con i loro quadri anti-spettacolari e la cura per la composizione spaziale.
 L'inchiesta documentaria è  la mission di Stop the pounding heart, che dipinge “una realtà aperta all'interpretazione” piuttosto che il giudizio  di merito sulla teen-ager soffocata dalle preghiere impartite dalla madre ai figli, una moltitudine di bimbi di ogni età. Sara, fratelli e sorelle non frequentano la scuola – troppe insidie -  l'educazione è impartita dalla famiglia, lezioni di tiro al bersaglio comprese. No matematica, no letteratura, no filosofia, si studiano solo i testi sacri e le “massime” dell'integralismo cattolico, tipo “la donna non sarebbe mai esistita se Adamo non avesse avuto bisogno di una serva”. Detto in altro modo “la vita della donna dipende dall'uomo”, non viceversa, e quindi che Sara si predisponga a un destino di moglie servizievole, il che non è facile, confessa la madre tutt'altro che autoritaria, anzi amorevole e comprensiva di fronte ai turbamenti della ragazzina. La fede, sostiene, è una conquista difficile, non un pranzo di gala. I flirt non sono ammessi perché il cuore va donato una sola volta e per sempre, ma ecco che spunta un rodeo-boy, Colby, che detiene le redini dell'unico gioco in campagna, cavalcare i tori, sia veri che meccanici, e apre spiragli improvvisi, forse divertirsi non è poi così peccaminoso. E il film si immerge nella lenta genesi del dubbio, accarezza il profilo della severa Sara che ci insegna meticolosamente a mungere le capre, a ricavarne il formaggio e a venderlo al mercato sotto gli occhi di un padre burbero e gran lavoratore. 
Roberto Minervini

La ricognizione di Minervini là dove si fermano “i battiti del cuore” è un estenuante salmodiare, una verifica certa sui  personaggi interpretati da attori non professionisti che si guardano allo specchio senza sbalzi d'umore o ribellioni.  Ma certo Stop the punding heart è un film dell'orrore e ci rimanda alla sorgente dei primatisti bianchi, quelli che “fuori lo stato, la vera America siamo noi”, quelli che sparano e fanno sparare le prime cartucce ai loro bambini, magari con fucili tutti rosa,  come si è visto in occasione della Rifle Association riunita a congresso il giorno dopo la strage di Boston. E c'è da chiedersi il perché dell'immagine finale del film dove Sara, che non vorrebbe sposarsi, dopo l'ultima, interminabile predica, appare in abito bianco ad ampie balze e l'aria rapita. Un'immagine conciliante. L'enigma dei minorenni di oggi è tale da impedire il “punto di vista”, in tutti i sensi, del cineasta? Si racconta l'irraccontabile e si resta pietrificati di fronte alla mancanza di consapevolezza dei teen-ager, disumani, senza desideri né speranze, altro che la “gioventù bruciata” di Kazan. Ed è il difetto dell'ultimo film di Sofia Coppola, annientata dalla banda delle predatrici di Beverly Hills (ma anche di Roma, a giudicare dalle cronache di ieri), o forse sedotta dalla loro allegra insensibilità. Invece, nell'illustrare la “realtà aperta all'interpretazione”, Jia Zhangke, documentarista cinese eccelso, in Tian Zhu Ding (concorso) inanella  racconti “ispirati a fatti realmente accaduti” con la massima potenza, scatta istantanee della Cina di oggi sulla follia prodotta da corruzione, povertà, sessismo, prostituzione, e dove bambini e adolescenti reagiscono con l'annientamento di sé e degli altri. Il quadro si capovolge, dal film senza punctum al film che non ammette il dissenso dal mondo così com'è.   

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