Roberto Silvestri
Venezia
Un dialogo estivo, il
dramma teatrale senza azione, scritto a colori, e in francese,
la lingua prediletta dai sentimenti d'amore, da Peter Handke, Les
Beaux Jours d'Aranjuez, è il
nuovo lavoro in 3D di Wim Wenders (in concorso). Opera che ci
sorprende per la sua apparente semplicità (proprio come quel
classico concerto alla chitarra di Segovia, che ci fece scoprire
Aranjuez), anch
e se il legame con la scrittura di Handke è antico,
conflittuale e profondo. Perché qui è come se il regista tedesco
rendesse anche un omaggio alla Francia, e alla sua cultura e lingua.
Al cinema straparlato di Rohmer e di quel francofono folle di de
Oliveira (c'è Paulo Branco produttore) e perfino alle conversazioni
in giardino ai margini della foresta di Michel Lonsdale e dei suoi
radicalissimi amici in Detruire
dit-elle di Marguerite
Duras... E ci sorprende il “divertimento” anche perché a che
serve il 3D quando la prospettiva spaziale è così chiara (stanza
che da sul giardino, sotto il gazebo di fronte due persone parlano,
un cane sotto il tavolo, sullo sfondo un paesaggio che fa intravedere
in lontananza Parigi mentre uccelli e insetti attraversano il cielo e
la foresta), da non esserci bisogno di marcare la tridimensionalità
dello schermo, che è ahimé sempre e solo piatto? Però la
tecnologia 3D è così avanzata che ormai l'occhialetto non dà più
fastidio e questo gioco che trasforma un esterno in “palcoscenico
naturale” a poco a poco avvince. Anche se non siamo nell'Empedocle
di Straub-Huillet, è chiaro che il modello inimitabile da imitare è
quello. Rigidità di un testo, libertà dei corpi, tragicità della
natura. E tutti e tre implicati in un gioco panteista.
Un
duetto d'attori, dunque, scandaloso perché intimo, e inquietante
perché va in profondità, a scoperchiare “strati geologi profondi”
non della femminilità e della mascolinità in generale, ma
certamente di questi due personaggi specifici, curiosi e complici in
un gioco che li disancora dalle loro corazze simbolico-sessuali. Un
gioco tecnicamente arduo, perché bisogna afferrare e non mollare lo
sguardo e il tono di voce giusto, con Reda Kateb e Sophie Semin che
devono interpretare se stessi ed essere il loro doppio, conversando
in un giardino assolato tra la dolce brezza, di viaggi in Spagna e di
esperienze sessuali di gioventù, di maschile e di femminile,
dell'essenza dell'estate, di vento, uccelli e boschi, mentre lo
scrittore crea i dialoghi che ascoltiamo, più sesso lei, più
turismo colto lui, ed entrambi alle prese con “racconti immorali". E veste i due personaggi che dialogano, diversificandoli o combaciandoli,
a seconda della loro distanza o vicinanza emotiva, sullo sfondo di una villa
che si apre su una terrazza, davanti alla scrivania, alla macchina da
scrivere (ma con l'ipad al fianco e un juke boxe in corridoio che
funziona senza pagare e dove Nick Cave la fa da padrone). Ma
l'estate sta finendo......
Nessun commento:
Posta un commento