Roberto Silvestri
VENEZIA
Ieri giornata interamente
dedicata ai problemi dello spirito che, come si sa nella cultura
cristiana, sia cattolica che protestante, sono strettamente collegati
a quelli della carne, intralciando la retta via verso al salvezza e
la pace eterna dei credenti vacillanti.
Intanto un lungo, finto,
western in quattro capitoli, dai nomi testamentari di “Genesi”,
“Esodo”, etc, che potrebbe essere il prototipo di un filone
(senza troppo futuro) “western calvinista”, cioé l'epopea
olandese, anzi paneuropea Brimstone di Martin Koolhoven (in
concorso). Ci racconta (però senza disciplina stilistica, rigore
narrativo e lucidità etica) e abusando della libertà gore e
splatter che Tarantino ha sdoganato, ma che lui sa controllare
meglio, e attraverso lo scontro mortale tra un padre incestuoso e
killer e sua figlia in fuga (la muta e non sempre guerrigliera Dakota
Fanning), tra il Predicatore (Guy Pearce) e Liz, tra il lupo e
l'agnello, l'odio e l'amore, il diavolo nero e la dea bionda, qualche
cosa di poco conosciuto sui meccanismi interpretativi letteralisti
della Bibbia. Quelli che hanno condotto la Chiesa Riformata Olandese,
in diaspora coloniale, e certe sue componenti perverse e maligne
(sintetizzate da Robert Mitchum in Il fiume dell'odio di
Charles Laughton) non solo al bigottismo e al
fondamentalismo più pericolosi, con annessa sottomissione totale
della donna, ma addirittura all'abominio dell'apartheid e del
segregazionismo razziale boero, giustificati dalle parole del Signore
(con annesse citazione dei versetti specifici), così come l'incesto
e la pedofilia, misteriose vie di trasmissione patrilineare del
potere, per sfuggire al fuoco dell'Inferno e salvaguardare, nel
contempo, la purezza (da non contaminare con estranei) della razza
prediletta, che è solo quella colorata di bianco. Alla fine,
“unhappy end” come si usa in Europa, vince il maligno (nei panni
di uno sceriffo screanzato e criminale) e dunque se il film ha
abusato di sostanza tossica immaginaria e anche un pochino di
pornografia della violenza, è colpa dell'America e dei profughi
europei, i più bastardi e proletari, che l'hanno colonizzata.
Ma chi ha visto Safari
sa che non è così. Che il marcio parte proprio dal cuore ricco
dell'Europa. Il documentario del veterano austriaco Ulrich Seidl
segue infatti in Sudafrica dieci spudorati cacciatori borghesi
austro-tedeschi, uomini e donne, vecchi, giovani e di mezza età,
tutti in divisa e casco coloniale, che sembrano usciti dal film Il
conte Max e che, ospiti di un resort costoso e lussuoso, cacciano
nel latifondo privato del proprietario, incurabilmente nazistoide
come sua moglie, ogni genere di animale non feroce, soprattutto
bufali, impala, gnu, antipoli, zebre e giraffe, li abbattono (“non
mi piace usare la parola uccidere, perché gli animali si uccidono
nei mattatoi”) e spiegano perché, come e con quale tipo di fucile
e proiettile trovano sfogo (perfino erotico) nell'esecuzione di
questi esseri viventi ma “inferiori nella piramide della
creazione”. Si fotografano così con la carcassa del “selvatico”
dopo essersi congratulati per la precisione del loro colpo fatale,
tagliano e conservano le pelli dei malcapitati (particolarmente
spesse quelle delle giraffe), ne mangiano la carne (“il filetto
dell'antilope nera è delizioso, si taglia come il burro, altro che
le mucche della Carinzia, sarebbe come paragonare la notte con il
giorno”) e non mancano di sentimentalismo animalisti quando
affermano: “i leoni e i leopardi non li cacciano, dicono che si
stanno estinguendo”.
Invece fuori gara è
passato, ma è ancora difficile da giudicare, l'esperimento di Paolo
Sorrentino nella serie tv. Cioé
le prime due ore di Il
papa giovane, che ipotizza
l'ascesa al soglio pontificio del primo pontefice nordamericano, ex
orfano oggi Pio XIII (interpretato per la verità dalla star inglese
Jude Law). Sarà un pontificato rivoluzionario e scandaloso
(come sembra dalla prima parte del lavoro) o solo gesuiticamente più
che corretto (come potrebbe far presagire la seconda parte, e i
movimenti del pontefice vero?). Pio XIII sarà un santo o un
giustiziere? Farà fuori la nomenclatura nera, la curia romana, che
da sempre governa il Vaticano e controlla il vertice (o lo
annichilisce se necessario o costringe al ritiro)? O saprà solo
sostituirla con una struttura più efficace e moderna?
Più ancora del Congresso
di Washington, del Texas solitario e tenebroso o della sede di un
network tv, San Pietro e dintorni è il set prediletto per osservare
all'opera il Male (dove il Bene dovrebbe regnare) e i cattivi, dove
meno te li aspetti. Ci offre un imbattibile catalogo delle malvagità
umane in azione, tra lobby potenti, ipocrisia anche sessuale,
mercimonio, gruppi di potere scatenati e in conflitto, coperture di
attività criminali e opere pie esenfisco. Le vie del Signore sono,
infatti, misteriose e dunque, come spiegherà Silvio Orlando
piangente, nel ruolo del cardinale più maligno, e ci sembra di
sentire Andreotti, “per fermare sua santità sarò costretto a fare
cose molto malvagie”. Vedremo quali. L'infallibilità del pontefice
ha infatti funzionato finché un papa Pio definì il duce “l'uomo
della divina provvidenza”. Oggi che Francesco apre ai gay, lui
stesso si schernisce: “chi sono io per giudicare”? Non siamo più
ai tempi del primo papa sciatore e di Papocchio, quando il
tono della satira radicale, ma ben al di qua dell'oltraggio,
accontentava sia clericani che anticlericali. Fu Woytila la prima
super star del Vaticano. Il Santo che ha polverizzato, grazie anche a
Solidarnosc, la cortina di ferro e senza nascondersi dietro una
maschera, se non di fard, come il suo omologo messicano. Ma i
traffici loschi di Marcinkus, la connivenza con Videla e tutti gli
anti comunisti del mondo, la rete dei vescovi e dei sacerdoti
pedofili, la santificazione di criminali, come il clero latifondista
spagnolo durante la guerra civile, hanno via via quasi distrutto la
Chiesa cattolica negli ultimi anni e oggi per ridargli dignità e
autorità etica c'è bisogno anche di un serio contributo artistico.
E chi meglio del nuovo Fellini, diversamente a-clericale, come Paolo
Sorrentino potrebbe aiutarla? Cosi il film ricorre a un continuo
cambio di registro, passando dal grottesco al gangster movie, dalla
satira al giocoso, dal mistico all'onirico, dal femminista (la nomina
di Diane Keaton a segretario particolare) al morettiano (la partita
di calcio delle suore), dal mafia-movie al digitalmente spettacolare
(riempire piazza san pietro così è più facile). Questo Papa sembra
maneggiare tutte le tastiere possibili e immaginabili del bene e del
male. Ottimo escamotage per strutturare una serie tv (che di
malvagità si inebria sempre) che rispetto al film per il cinema può
percorrere nei suoi segmenti variabili sorprendenti, infinite e
perfino sovversive. Mentre il film di due ore obbliga alla sintesi e
alla scelta del punto di vista, la serie permette una libertà
infinita di fraseggio. Vedremo nel prosieguo quale virtuosismi papa
Law potrà permettersi. Lui che sembra molto esperto in scienze della
comunicazione. Il suo migliore affondo è quando ridicolizza il suo
capo marketing, una bionda in carriera che viene da Harward (e
giustamente un cattolico prende in giro una università fondata dai
protestanti), smaniosa di stampare la sua effigie ovunque, perfino
sui piatti, contrapponendole la strategia del mistero di Bansky,
Mina, Salinger, Daft punk e Ferrente: più si scompare e più ci si
sacralizza. Il subcomandante Marcos (oltre che il lottatore mitico
della cultura messicana, El Santo) ne sono i più radicali esponenti.
Un solo dubbio. Forse per spiazzarci. Ma davvero le guardie svizzere
salutano proprio come i carabinieri e i corazzieri?
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