Ethan Hawke |
Mariuccia Ciotta
“Siamo i migliori addestratori di
talebani” è la battuta chiave di Good Kill
proveniente dal concorso di Venezia 2015, dove è stato
accolto da fischi e applausi, platea divisa in due, ammirazione e
disgusto per il film sulla “guerra dei droni” diretto da Andrew
Niccol, grande sceneggiatore, premiato per lo script di The Truman
Show. La reazione contrastante probabilmente è dovuta al falso
piano che sovrappone il nostro “eroe”, Tommy Egan (Ethan Hawke),
alla “voce narrante”, il regista, mosso dalle migliori
intenzioni: denunciare il “programma speciale” del Pentagono.
Nevada. I tormenti del maggiore Egan
che sgancia bombe a distanza sull'Afghanistan, seduto nel suo studio
fresco di aria condizionata, disegnano sulla faccia di Hawke una nube
grigia per i 100 minuti del film, l'espressione di un soldato in
crisi morale ubbidiente a ordini ingiusti, colpire dall'iperspazio
“obiettivi mirati” dagli effetti collaterali inevitabili,
le vittime civili.
Tommy Egan, ex pilota di F16, amante
nostalgico del volo, schiaccia il pulsante della sua play-station
mortale in stato di semi-catatonia, ubriaco di vodka e di sensi di
colpa, e poi torna nella casetta a schiera, piantata nel deserto, a
due passi da Las Vegas, la rutilante città dell'azzardo che
testimonia “la fine della civiltà”, un affastellamento di hotel
tematici, da Parigi alle Piramidi, un mondo disconnesso dalla realtà
come i giocatori di droni. E che Niccol riprende, gigantesca e tetra,
spettrale nelle sue luci abbaglianti in alternanza alle inquadrature
gialle di un altro deserto, immagini virtuali da bombardare con
missili reali.
“Good Kill”, bel colpo, commentano
i commilitoni di Egan quando fanno centro e le abitazioni del nemico
esplodono in una nuvola di terra e fumo. Eppure, anche loro, capitano
compreso, soffrono ad ammazzare fuori campo, e a parte un paio di
“mastini” incalliti piangono se una donna o un bambino finiscono
in pezzi. Tommy Egan più di tutti, ed è così assente in famiglia -
suo figlio lo imita a colpi di joystick – che la moglie, una ex
ballerina di Las Vegas biondissima e sexy (January Jones) lo lascerà
per andarsene a Reno, la capitale del divorzio. Solidale con lui, una
bruna soldatessa latina dal cuore tenero, miss Suarez, che non
pensava di finire così davanti al monitor a centrare auto e cortili,
mercati e funerali. Già, perché ad alzare la temperatura arriva la
Cia, più spietata dell'Air Force, e ordina “l'intervento
aggiuntivo” ovvero il bombardamento dei soccorritori accorsi sul
luogo del disastro e le incursioni dei droni anche in paesi, come lo
Yemen, non in stato di conflitto aperto con gli Usa. “Questi si
chiamano crimini di guerra. – commenta la soldatessa - Siamo
diventati come Hamas”.
Ed è a questo punto che partono i
fischi. Cosa ci sta raccontando Andrew Niccol, che la guerra dei
droni è ingiusta mentre quella degli F16 che sganciano bombe sui
villaggi afghani invece sì? Tommy Egan sogna infatti di tornare a
sorvolare i cieli perché adesso si sente un “codardo” quando
prima rischiava la vita, come se allora, in Iraq o in Medio Oriente,
la battaglia fosse alla pari. “Finché loro non si fermano, noi
non possiamo fermarci, pensate all'11 settembre” sentenzia il capo
squadra. Ma. Il regista non ha a cuore “come ogni cittadino
americano” la salvaguardia dell'America a tutti i costi. Andrew
Niccol, che ha sempre indicato nei suoi film l'utilizzo di tecnologie
“disumane” - dall'esordio Gattaca
a S1mOne e a
In Time - è neozelandese.
In Good Kill dice
le certezze e i dubbi di un insider a stelle e strisce. E
la mostruosità etica dei cacciatori alla consolle, sulla scia delle
proteste dilaganti - anche statunitensi - sull'uso dei droni a fini
militari.
Dispiegato nella montante schizofrenia
del protagonista che ormai fuori di sé lancia un missile “privato”
contro uno talebano stupratore seriale, il film, al quale il
Dipartimento sicurezza americano ha rifiutato la consulenza, è un
potente “j'accuse” contro la pratica degli aerei fantasma. Good
Kill, che entra nelle
stanze chiuse dei bottoni letali e svela il ruolo della Cia,
ufficialmente negato, nella missione Falco, è un intenso,
sconvolgente affondo sulla guerra in forma malinconica, quanto
sanguinario e travolgente è Nobi di Tsukamoto e disperante il
documentario di Oppenheimer, The Look of Silence, sui killer
viventi ed esultanti dell'Indonesia di Suharto.
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