Mariuccia
Ciotta
In
prima fila nelle classifiche dei “dieci miglior film dell'anno”, Carol di Todd
Haynes, proveniente da Cannes e dal festival
di Roma, finalmente ha raggiunto gli schermi martedì 5 gennaio, in
ritardo sulla data ideale, Natale, del quale indossa i luccichii
dorati, la luce soprannaturale e un clima di beato languore.
In
duetto con Lontano dal Paradiso, melodramma
nell'eco di Douglas Sirk, il regista torna agli anni '50, al clima
repressivo del dopoguerra, inizio della presidenza Eisenhower, ma di
quell'epoca si percepisce appena il terrore maccartista, tranne che
per una battuta colta per le strade di Manhattan - “Vi sentite più
liberi con il comitato per le attività anti-americane?”. Non è la
sovversione dei rossi a sconvolgere gli scenari imbiancati di New
York, questa volta le “streghe” sono reali, Carol (Cate
Blanchett) e Therese (Rooney
Mara), protagoniste del romanzo The
Price of Salt di Patricia
Highsmith, che applica il genere giallo alla
relazione “immorale”. La sua. Il libro è autobiografico e la
scrittrice si firmò Claire Morgan, prima della nuova edizione
inglese del 1990 a Londra.
Otto
anni dopo il suo ultimo film (e quattro dalla stupenda miniserie
Mildred Pierce),
Haynes volge lo sguardo alle sequenze oniriche di Un
posto al sole (George Stevens) e alla luce
accecante anni '70 di Sugarland Express
(Spielberg) con le sue fughe on the road. Un film sbalzato oltre il
suo tempo, denso di richiami intrecciati, allusioni, sovrapposizioni,
non certo estranei al regista di Io non sono
qui, ritratto di Bob Dylan interpretato da
una Cate Blanchett androgina tanto quanto qui è soffice e profumata.
Rimasto
dodici anni in attesa, e prodotto non senza difficoltà e passaggi di
mano dal duetto britannico Film 4 -Number 9 Films e dalla newyokese
super indipendente Killer Film di Christine Vachon e Pamela Koffler,
Carol ci riporta a un
altro dopoguerra, agli anni Venti, e al silent-movie It
(1927) con Clara Bow nella parte di una commessa dei grandi
magazzini, proprio come Therese, ventenne addetta al reparto
giocattoli dei department stores
Frankenberg, attratta alla vigilia di Natale da una lady quarantenne
di lusso, Carol.
Al
suo posto, nel film di Clarence G. Badger
c'era il latin lover Antonio Moreno nella parte del seducente e ricco
ricco proprietario dei grandi magazzini per cui spasimava la commessa
Clara Bow: “Caro Babbo Natale - pregava – portami lui come
regalo”. Il dono perfetto qui invece è Carol, avvolta nella carta
da regali di soffice pelliccia. Ma in campo c'è sempre la differenza
di classe. La “It-girl” era una maschietta smaliziata, tutto
pepe, intraprendente e pronta a sbeffeggiare l'aristocrazia
vittoriana, mentre la Therese di Todd Haynes è soggiogata dal
rossetto brillante e dal profumo inebriante della signora, composta
in una rigida etichetta. Inversione di ruoli. E' Carol, la ricca, a
caccia della commessa dal visetto appuntito, vestita sempre con abiti
a quadretti (tipico delle ingenue del muto), spinta dal desiderio di
disertare le noiose cene mondane a base di ostriche e champagne.
Ancora repertorio da cinema muto dove la signorina vittoriana è
stanca di trine e merletti, e invidia l'intraprendenza della funny
girl, la proletaria lavoratrice, la maschietta.
La
scintilla tra le due, insomma, sembra guizzare dalla voglia di
invertire le parti (accadrà) più che da un impulso sensuale,
affidato invece alla macchina da presa, carezzevole nella luce calda
(la fotografia è di Ed
Lachman,
lo stesso di Lontano
dal paradiso)
sui volti e nei movimenti fluidi alla ricerca di dettagli, una tazza
di tè, una spazzola, un guanto (i costumi sono di Sandy
Powell,
Lontano
dal Paradiso, Hugo Cabret)).
Todd Haynes
sa come trattare le donne e anche le queer (Velvet
Goldmine),
ma qui la sceneggiatura di Phyllis
Nagy leviga
troppo i caratteri, aiutata dalla musica al miele dell'americano
Carter
Burwell (Twilight,
Fargo, Big Lebowsky ed
Essere
John Makovich).
Eppure
l'avvolgente e aspro tocco di Haynes prevale su tutto e viola la
pretesa di perfezione, così nel film s'insinua il detour, l'immagine
se ne va per vie traverse... i vetri appannati della macchina
argentata, le fotografie scattate da Therese, principiante fotografa e futura
fotoreporter per il New York Times
con Cate Blanchett spettrale, i capelli biondissimi stinti nel bianco
e nero, la suspense in attesa della scena clou, il sesso. Quasi una
madre che porge il seno alla figlia, la ragazzina che si concede ai
baci in un letto di motel.
Le
fotografie scattate da Therese sono firmate, e non dalla commessa dei
grandi magazzini, ma idealmente da Vivian Maier, una Mary Poppins di
grande talento rimasta sconosciuta fino a pochi anni fa e alla quale
è dedicato il documentario Alla ricerca di
Vivian Maier di John Maloof (colui che la
scoprì) e Charlie Siskel, (2014). Todd Haynes sovrappone la sua
Therese all'artista-bambinaia, mentre nel romanzo autobiografico di
Highsmith l'”altra” è un'apprendista scenografa, impiegata
provvisoriamente ai grandi magazzini. Salti mortali e
“travestimenti”.
Il
film prende più di una strada verso Chicago, obiettivo delle due
donne estasiate e sospese nel tempo, perseguitate da un detective
privato che registra la notte di sesso. Colpa, punizione, espiazione.
Ma l'indecifrabile legame tra le due donne finalmente deflagra quando
nella bellissima sequenza finale Therese avanza nel décor prezioso
del salone, gli occhi fissi sulla signora dell'alta società,
circondata da damerini e calici di cristallo, e la pretende con un
solo sguardo.
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