di Roberto Silvestri
LA PORTA DEL CIELO
BAB
EL SHAMS
Yousry Nasrallah, Egitto 2004
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Yusry Nasrallah (a destra) |
Se neppure Michael Moore ha
osato mettere in mezzo Israele/Sharon, ditta d'appalto centrale (e molto
mercenaria) nell'attuale strategia politica e petrolifera di Bush jr. in
Medioriente, ha avuto questo coraggio l'egiziano Yusry Nasrallah, esponente di
punta della «nuova onda araba» (nessuno la conosce in Italia), mai dogmatica
nel pensiero e libertaria nelle immagini e dunque mal vista da chi controlla
tutte le fonti d'immaginario e ci assicura che, Tel Aviv a parte, tutto il
resto è integralismo antisemita.
Ma Nasrallah ha fabbricato un
film che parte dalla Nakba, dalla catastrofe, cioé dalla espulsione dei palestinesi dalle loro case e
dai loro villaggi nel 1948, che ha il piacere e il dolore del racconto, che non
ha paura della vita, che sconcerta, che non giudica nessun terrorista, neanche
nemico, a priori. E’ più lungo di quattro ore (esattamente 4 ore e 48 minuti) ed è tratto dal best seller
storico-poetico del libanese di origine palestinese Elias Koury, La porte du Soleil.
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Il regista (a sinistra) e l'autore del romanzo, il libanese Elias Khoury |
L'opera, bellissima è stilisticamente duplice, metà meló egiziano, metà moderno
dramma alla libanese, costruito come le storie dentro le storie di Le
mille e una notte. Ci spiega 50 anni di lotte, speranze, amori, tragedie,
eccidi, umiliazioni, vittorie perfino, e utopie indistruttibili. Se ci fossero
tv come si deve sarebbe roba ghiotta. Perché il suo formato non è ortodosso,
l’opera non è televisiva come La meglio gioventù, piuttosto è un Novecento
1 e 2.
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Yusry Nasrallah |
Film epico e caleidoscopico, per i punti di visti espressi, non dimentica nessuna
delle generazioni che sono state protagoniste obbligate, dal 1946 ad oggi,
della tragedia palestinese. Il vecchio sceicco cieco Ibrahim, l'insegnante
coranico pio fino al fanatismo ma anche coltissimo e dolce, esegeta di Saladino
e Nasser, e depositario di un segreto. Sa dove è quel luogo, inaccessibile
perfino a Sharon, nascosto da una grotta dove vive e prospera, fiorita, tutta
intera la Palestina multietnica e polireligiosa... E poi sua figlia Nahila, che
è già indocile al suo ruolo di sposa obbligata dodicenne, e vuole negli anni
`50 del rock'n'roll imitare invece le simpatiche maschiette del kibbutz, e
terrà testa infatti alle torture dei soldati occupanti, con il coraggio e con
l'astuzia. Due personaggi che ci raccontano dei palestinesi fleur d'ajonc,
gli indistruttibili, che pure spintonati e decimati e che si sono visti l'acqua
rubata, gli alberi d'olivo sradicati, i villaggi interi cancellati (circa 500)
dalla cartina geografica (ce ne daranno mai una mappa, o tremano i cartografi
di Tel Aviv?), i vestiti requisiti e ordinati secondo quella certa logica
aberrante ereditata controvoglia dai nemici del nemico inglese... Eppure sono
rimasti sempre, sono lì, attanagliati alla terra. Finché non li uccideranno
tutti tutti tutti. Due paesi due nazioni. Una sottoterra, però.
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Lo scrittore libanese Elias Khoury |
E poi la diaspora. Il marito di Nahila, Younes, che diventerà il simbolo stesso
del partigiano mobile e invincibile (sempre al di qua e al di là del confine,
sempre rocambolescamente tra le braccia della moglie, a far figli lasciando di
sasso i servizi segreti, che col sasso si vendicheranno di un suo piccolo
rampollo); le sue imprese di guerra ma anche i suoi gesti di pietà (un
attentato incompiuto perché i bambini allora non si uccidevano); e il «dottor
Khalil», abbandonato dalla madre nel disordine della fuga e poi a Beirut, vivo
per miracolo a Sabra e Chatila, insomma i simboli plausibili di coloro che sono
costretti alla deriva e all'approssimativo approdo.
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Elias Khoury |
Younes, all'inizio del film, è in coma e viene soccorso nella Beirut dell'84,
proprio dal medico (o forse è solo un infermiere abile nella sopravvivenza?)
che ama una guerrigliera di Habbash, Chams, dal passato atroce (un marito
sadico) e che poi gli stessi compagni d'arme giustizieranno per un delitto
passionale che lei compie contro l'altro suo amante combattente... La prima
parte, a flashback intrecciati come un paniere mediterraneo, racconta le gesta
dell'eroico Younes che, dall'età di 16 anni è costretto a prendere le armi,
prima contro gli inglesi e poi contro gli israeliani, perché diventa sempre più
clandestino nel proprio paese, nel proprio villaggio, tra i propri ulivi, nel
proprio campo profughi di Beirut. Nella seconda parte del film, più libera e a
fraseggio più sconcertante, il film diventa misterioso e a sviluppo «vegetale».
E appare perfino Beatrice Dalle, in una Beirut post-bellica dove si prepara la
messa in scena di un bellissimo Genet sull'eccidio di Sabra e Chatila. Il film, dopo l'anteprima mondiale a Cannes fuori concorso, e il solito giro mondiale dei festival che ha sempre contraddistinto le opere di Nasrallah, è stato distribuito in Egitto dalla Misr di Chahine in sole tre copie e durante una delle feste religiose più importanti del calendario islamico che generalmente richiudono le famiglie in casa, a guardare soap operas e serie tv. Nasrallah e Chahine, dopo l'insuccesso commerciale del film hanno raffreddato molto la loro amicizia e relazione artistica. Ma questo è stato affermato dalla stampa israeliana, che evidentemente non conosce i problemi distributivi dell'Egitto, controllato scientificamente (e non solo a livello cinematografico) dai monopoli nordamericani.
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