domenica 9 febbraio 2014

Verso l'Academy Award. Omar, il rivale palestinese di Paolo Sorrentino


Un manifesto di Omar di Hany Abu-Assad
Roberto Silvestri

Quando questo film palestinese, di regia e di produzione,  è stato visto a Cannes (nella sezione Un Certain regard) erano vivide nella mente le immagini shock del commando nero di “macellai” islamisti, alla caccia di infedeli colpevoli, da decapitare con l'arma bianca in piena London town, pericolosa sovrimpressione blasfema tra metodi del nemico imperialista e guerra santa, Guantanamo in dissolvenza incrociata su Bin Laden assassinato da un commando. Questo ci permetteva di mettere a fuoco, collegandolo a un fatto di cronaca così sconvolgente, il coraggio e le contraddizioni di questa “fiction di popolo” ambientata però non in Afghanistan, ma a West Bank e Nazareth.

Adalm Bakri e Leem Lubany

Omar, diretto dal palestinese Hany Abu-Assad, nato a Nazareth nel 1961, che già si era distinto nel 2005 con Paradise now, storia di due ragazzi indocili, dopo un momento di incertezza, al grande gioco sacro della martiriologia (vinse il Golden Globe), adesso è uno dei quattro film che contenderanno tra poche settimane a Paolo Sorrentino l’Oscar per il miglior film straniero, al posto del film francese Vita di Adele che pure aveva stracciato tutti sulla Croisette (anche i Coen, ignorati dall’Academy Award) ma che i 6000 membri della giuria hanno ignorato totalmente, se non altro per fare un altro dispetto a Steven Spielberg, che a Cannes era presidente della giuria principale.

A destra Hany Abu-Assad a sinistra un poster del film

Questo nuovo film di Hany Abu-Assad, cineasta palestinese, che vive da anni in Danimarca dopo aver lavorato come ingegnere aeronautico in Olanda, Omar, che poi ha vinto nel maggio scorso la sezione cannoise "Un Certain Regard" (presidente della giuria proprio il danese Thomas Vinterberg che è un altro dei contendenti all’Oscar per il miglior film straniero) è la storia di tre amici per la pelle, ventenni palestinesi, che, usciti dalla disperata strategia suicida del corpo-bomba, vogliono contribuire alla causa della liberazione nazionale formando una cellula isolata di soldati della libertà che si conquisti sul campo la possibilità di far parte del giro adulto della resistenza. Come? Nel modo più istintivo e meno politico che esista. Preparando un agguato e uccidendo, con un colpo da cecchino scelto, un soldato israeliano di frontiera (oltretutto disarmato). Il codice d’onore della guerra di guerriglia forse ammette anche questo. 

Un manifesto del film con Leem Lubany e Adam Bakri

Omar (Adam Bakri) fa il panettiere e, come l'uomo-gatto hitchcockiano, attraversa spesso e disinvoltamente l'alto muro che separa il suo villaggio dalle case degli amici Tarek e Amjad e soprattutto dalla fabbrica della sua piccola amata bruna studentessa-lavoratrice-operaia, che però dimostra già un certo feeling anche per Amjad, capace di imitare Marlon Brando nel Padrino come neanche il boss Genovese, scatenando un corto circuito emotivo che sarà fatale a Omar... 

Leem Lubany e Adam Bakri
Infatti non sempre le cose vanno lisce. Scoperto sul muro del salto, e ferito, poi umiliato da una ronda, alla fine è catturato, denudato e torturato dagli israeliani in cerca di una confessione del delitto.

Adam Bakri e Leem Lubany
Intermezzo. Queste sequenze violente e sconvolgenti procureranno guai al film, in Italia. Chi avrà il coraggio di distribuire scene così anti-israeliane se non torturandole con le forbici? Mica siamo nell'America della Bigelow! Infatti finora il film non è uscito.

Leem Lubany (Nadia)

Omar, nel frattempo, resiste. Non so niente. Sigaretta bollente sui genitali. Non so niente. Coltello roteante ovunque. Non so niente. Al culmine del trattamento gli scappa un fatale: “Non confesserò mai”. E' già una ammissione di colpa. Lo minacciano. 90 anni di reclusione. E non basterà neppure una visita di Kerry per essere graziato da un’amnistia, come abbiamo visto. 
Però Omar esce dal carcere. Cosa ancora più pericolosa. Gli amici pensano che abbia tradito. L'amata lo lascia senza più scrupoli (tanto è incinta di Amjad, molto meno romantico di Omar che considerava il culmine del piacere erotico scambiare con la ragazza bigliettini segreti d'amore). Anche il salto del muro con la corda inizierà ad essere difficile, estenuante. 

Adam Bakr
I grandi dei nuclei islamisti diffidano sempre più di lui. Che in realtà, dopo una seconda carcerazione, e un collare di sicurezza alla caviglia, ha stipulato un patto infame con il poliziotto capo israeliano, Rami (è Waleed F. Zuaiter, l'unico attore professionista del cast). Gli consegnerà Tarek morto. Ma nell'ultima scena del film...l'onore sarò salvo. Anche in questo film si dimostra che l'onore vale molto di più di qualunque tattica e strategia politica. L’onore è individuale. La politica è il tentativo di un grande balzo avanti per moltitudini intere. E' un finale di moda. Per un Lincoln palestinese bisognerà aspettare ancora un po'.

Adam Bakri e il Muro

Cast e regista di Omar a Cannes. Leem Lubany la seconda da sinistra, Adam Bakri il primo a destra

Ps. Gli altri attori del film sono Samer Bisharat (Amjad), Eyad Hourani (Tarek) e Leem Lubany (Nadia). La distribuzione internazionale è della The Match Factory. La produzione è della ZBros LLC, una casa di produzione palestinese-americana. E' il primo film della storia ad essere stato finanziato interamente da investitori palestinesi attraverso l'Enjaaz Film Initiativ. Che i film palestinesi non siano molto attesi e neanche molto conosciuti lo dimostra il fatto che in questo blog  i contatti per Sorrentino sono stati circa 1750, mentre quelli per Omar meno di 40. Finora...


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