Mariuccia Ciotta
Il regista Daniele Vicari |
Il documentario, prodotto da Indigo Film e Apulia Film Commission (e un po' Raicinema, Skandal Production - albanese - e TeleNorba) è stato poi distribuito nelle sale da Microcinema e ha girato il mondo: più di quaranta festival internazionali da Mosca a Pittsburg da Tirana a Detroit raccogliendo premi e consensi. Le musiche sono di Theo Teardo.
E' un thriller denso di emozioni nella ricostruzione dell'avvenimento che, preceduto da arrivi più contenuti e riusciti, anticipò gli sbarchi massicci sulle coste italiane, prima grande prova dei respingimenti di massa, e che ci mostra un «clandestino» gioiosamente accalcato sull'imbarcazione, fin sopra i pennoni, ragazzi perlopiù in vestiti casual, urlanti «Viva l'Italia», spinti dall'idea di libertà e di un paese conosciuto sugli schermi tv.
Daniele Vicari intercala le immagini dell'epoca con le testimonianze di alcuni esuli che sfuggirono al rimpatrio forzato (tra di loro Kledi Kadiu, il ballerino di Amici) e che ci raccontano oggi come i ventimila (ma nessuno li contò) viaggiarono stretti l'uno all'altro, cibandosi solo di zucchero da canna, erano partiti all'improvviso senza portare nulla con sé.
Immagini bibliche, una massa di corpi esultanti che si tuffano in mare per raggiungere la banchina, e che vengono accolti con stupore dai baresi. Primi soccorsi, acqua, molti si fingono malati per sfuggire alla calca e al sole che batte infernale, qualcuno ritrova amici e fratelli.
E poi la deportazione nello stadio della città, dove gruppi di violenti sequestrano il cibo lanciato sulla folla, impossibile distribuirlo diversamente, e l'atmosfera che si fa cupa, alcuni sfonderanno le porte e fuggiranno. Nel racconto di un «sopravvissuto», c'è un poliziotto che piange a sentire la storia del piccolo albanese in cerca di lavoro e di libertà.
Il sindaco di Bari è contrario al trasferimento nello stadio e propone una tendopoli sul molo, ma dal ministero arriva l'ordine di spazzarli via, di sequestrare i 20mila, di ricacciarli indietro. La dolce nave diventa così uno struggente poema per immagini e parole, fotogrammi di un reale che ci perseguita, soprattutto nell'incursione in scena dell'allora presidente della repubblica, Francesco Cossiga, che in un scena da film horror si scaglia contro il sindaco di Bari, il disumano e l'umano, e lo minaccia di ritorsioni perché ha accolto quei ragazzi, i nostri vicini, i fratelli dell'altra sponda. Sarà difficile trovare un'inquadratura più crudele e insostenibile.
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